Index Attualità - Gennaio 1998


C’è l’Uomo Nero? Fa un reset

Per i media la Rete sembra diventata una specie di grande trappola di pedofili e maniaci a caccia di bambini. In realtà le persone collegate a Internet in Italia sono ancora troppo poche, parlare on line non da alcuna sicurezza e navigare non è poi così facile. Insomma i pericoli non sono dentro il monitor. Ma fuori dalla porta

Internet, bambini e pedofili: un ritornello fra i tanti che rimbalzano tra video e carta stampata. Quando lo sento mi torna in mente un episodio vecchio di alcuni anni. Per qualche tempo avevo ospitato una bambina di sei anni, traumatizzata dopo un’aggressione subita nel cortile di casa. Il violentatore era un bel giovane bruno, con un orecchino. Aveva agito armato di coltello e a volto scoperto. Il luogo in cui si era consumata la violenza è Aosta, capitale della nota e ricchissima Regione Autonoma, un paesotto nordico in cui è difficile incontrare una faccia sconosciuta. Eppure la denuncia presentata dalla madre non aveva avuto nessun seguito. L’aggressore non è mai stato scoperto.

Anche a causa di questa esperienza, sono convinta che per i maniaci informatici non può essere tanto facile girare sulla Rete. Se già è stato scoperto un discreto numero di trafficanti di immagini, se esiste addirittura il Nucleo Operativo della polizia delle telecomunicazioni, che dalla Procura di Roma si occupa espressamente di questi bruti, allora i criminali informatici corrono molti più rischi degli altri. Infatti, il caso che ho citato non è certo unico in Italia, dove la percentuale di delitti insoluti è altissima. Del resto conosco abbastanza bene la Rete. So che la comunicazione elettronica presenta l’enorme svantaggio di offrire scarse garanzie di riservatezza. Quando spedisco una e-mail, lo faccio a mio rischio e pericolo. Inoltre, ogni mia comunicazione può essere registrata dal mio server e dal mio interlocutore.

Certo, i criminali informatici possono essere infinitamente più abili di me. Ma anche chi si occupa di questi individui è molto abile, considerati i risultati. Insomma, il giorno che decidessi di mettere in pratica qualche cattiva intenzione, mi servirei senz’altro di un altro mezzo di comunicazione. A questo proposito, ci si dimentica troppo spesso che Internet è solamente un mezzo di comunicazione e di informazione. Anche l’avvento della carta stampata, qualche secolo addietro, aveva creato un’infinità di paure. E di censure. Non si può affermare che si trattasse di paure del tutto infondate: ancora oggi la stampa diffonde non solo informazioni, ma anche pornografia e violenza. Anche i giornali seri ospitano annunci personali in cui vengono offerti servizi di "pubbliche relazioni". Giornali che vanno in mano anche ai giovanissimi.

Si pretende che Internet sia un luogo in cui un ragazzino possa circolare senza rischiare di imbattersi in una donna nuda. Se poi lo stesso ragazzino esce di casa e si imbatte in una prostituta minorenne, compra una serie di riviste pornografiche, e magari se le legge fumandosi una canna acquistata dallo spacciatore all’angolo, questo è tutto un altro discorso. Eppure, Internet ha l’obbligo di essere un paradiso per educande. Ma in un mondo come il nostro non è mai esistito un mezzo di comunicazione del genere. E non esisterà mai.

Nelle nostre case il cyberspazio rimane ancora un luogo poco frequentato. I dati dell’osservatorio Alcmera (http://www.primapagina.it/new/webdes/abstract.asp) relativi al febbraio di quest’anno, citano un 2,9% di utenti in rapporto alla popolazione italiana. Difficile pensare che i criminali trovino conveniente abbandonare i cortili e le caramelle per informatizzare le loro perversioni. Il territorio di caccia, almeno quello locale, oltre ad essere troppo insicuro, sarebbe anche troppo povero di prede. Inoltre, le gesta di qualche ragazzino non devono far dimenticare che l’accesso a Internet non è così facile. Innanzi tutto, è impossibile navigare senza il permesso dei genitori. Prima di muovere un passo nella Rete sono necessari come minimo un computer, un contratto di abbonamento e una password. Cose che non si possono nascondere in fondo a qualche cassetto come un giornalino pornografico. Purtroppo la responsabilità dei genitori rimane un requisito indispensabile, non la si può trasferire a qualche programma che censuri i siti pericolosi.

Come se non bastasse, per navigare bisogna conoscere il linguaggio informatico, e un po’ di inglese. Si tratta di conoscenze non troppo diffuse nelle nostre scuole. Bisogna anche saper usare dei programmi che diventano sempre più complicati: non pochi docenti universitari vanno in crisi di fronte ad un programma di navigazione. Si tratta di realtà banali, che chiunque abbia anche solo una misera dimestichezza con Internet conosce perfettamente, e che molti professionisti dell’informazione si scordano completamente.

Anche quando si parla con tanta facilità di pedofili che viaggiano in Rete, ci si dimentica di particolari tutt’altro che insignificanti. Il termine "pedofilo" indica solamente colui che ha una particolare inclinazione nei confronti dei bambini. Ma avere un’inclinazione non significa automaticamente metterla in pratica. Chi commette un crimine su un bambino può anche non essere un pedofilo, ma un criminale comune.

Non si tratta di una distinzione insignificante. Criminalizzare una semplice tendenza significa creare dei mostri immaginari, dare il via ad una inutile caccia alle streghe. Adesso anche il lupo cattivo di Cappuccetto Rosso può creare un "allarme pedofilia". Forse sarebbe meglio lasciar perdere le favole e tentare di salvaguardare i bambini dai pericoli reali. A parte i pericoli che circolano armati di coltello, vi sono realtà davvero allarmanti come quella denunciata dall’Unicef (http://www.flashnet.it/unicef/homep.asp): nel mondo ci sono 250 milioni di bambini al di sotto dei 15 anni costretti a lavorare. In Italia ce ne sono almeno 300.000. E ci sono anche, in tutto il mondo, milioni di bambini costretti a prostituirsi, e non certo virtualmente.

Ci si dimentica che la Rete è un luogo di comunicazione virtuale. Ne consegue che via Internet non si può violentare, né uccidere. Non ci si può nemmeno sfiorare, non prima di almeno di aver fornito un recapito fuori dal cyberspazio. La Rete non è il paradiso, ma sicuramente non assomiglia nemmeno lontanamente all’inferno. Ci sono un’infinità di siti che si occupano di solidarietà, di diritti umani, di dare voce a chi viene ignorato dai canali ufficiale. Forse ci siamo dimenticati troppo in fretta dei lati positivi di una libera comunicazione. Ancora una volta, soffriamo di un’inguaribile cattiva memoria.

a.d.m.