indice ARTE - a cura di Giovanna Grossato - Gennaio 1998



DONNE NELL’ARTE (15)

Bice Lazzari, dall’Informale al Materico e ritorno

Figura isolata e solitaria, (si potrebbe dire "senza maestri", se l’affermazione non fosse storicamente e ontogeneticamente impossibile in riferimento a qualsiasi artista), nell’ambito della pittura europea che andava cercando la sua strada a cavallo della seconda guerra mondiale, Bice Lazzari parte dallo studio del segno per approdare, negli anni del secondo dopoguerra, alla pittura Informale e materica.

Il suo esordio artistico (essa era nata a Venezia nel 1900) si compie, per la verità, in ambito musicale, con la frequenza dei corsi di violino al Conservatorio di Venezia. Tuttavia nel 1919 si diploma all’Accademia di Belle Arti, in decorazione, visto che, a quel tempo, era poco consono per una signorina seguire le lezioni di nudo. Frequentando poi un corso di grafica, lavorava contemporaneamente in uno studio di architettura e, per permettersi il lusso di dipingere dovette spesso disporsi "a fare l’artigiana", come lei stessa afferma, riflettendo a posteriori sulla sua carriera artistica. Infatti, sebbene essa avesse esposto a Ca’ Pesaro dei pastelli astratti già nel 1925, la sua ricerca innovativa passò sotto silenzio, forse anche per il fatto che la Lazzari non era affiliata ad alcun gruppo astrattista e non partecipava alle mostre del movimento. Tuttavia alcune sue opere, come "Armonia del Giallo" testimoniano come la pittrice seguisse, negli anni Venti, i suggerimenti della geometria e dei segni, sia liberi che scritturali, in una soluzione formale che privilegiava la non-figurazione.

Trasferitasi a Roma nel 1935, negli anni Trenta, l’artista realizza anche pannelli decorativi in collaborazione con architetti e approda, infine, negli anni Cinquanta, non senza periodi di grande scoraggiamento per lo scarso interesse della critica, ad un tipo di produzione collocabile nell’ambito materico e informale. Come era avvenuto per il passato, tuttavia, la Lazzari opera un materismo del tutto personale, perennemente in bilico tra il lirismo del segno e le istanze più concrete della materia.

In un suo saggio sulla pittrice, dal titolo I valori del segno, G.Montana affermava, nel 1980, che "la pittura informale di Bice Lazzari era un’informazione di recupero dei valori del segno attraverso il fare materico" e che "La materia ha in sé non già la semplice immediatezza del fare, ma un "significante" che chiama a una struttura e alla concretezza del segno".

In sostanza, la Lazzari racconta in ogni caso, emozionalmente, sé stessa, sia quando sedimenta spesse e "fisiche" paste colorate, sia quando il suo informale si assottiglia in una tessitura pittorica più filtrata ed evocativa, decantata dalla memoria piuttosto che fervente d’azione.

G.G.