Index LETTURE&SCRITTURE Ottobre 1997



Riceviamo via E-Mail e pubblichiamo questo racconto di Francesco Cerioni. Ai lettori la valutazione. Se volete inviare i vostri scritti la redazione è disponibile ad una valutazione ed a una loro eventuale pubblicazione. La nostra E-mail è nautilus{Sostituisci con chiocciola}netics.net

HOLIDAY

Isole in un mare d’alcool.

" Diciamo solo che sono un turista...un turista eternamente in vacanza ".
Permanent Vacation: Jim Jarmusch

1. Whisky.

Saliamo le scale del treno...

Non ho mai visto alberi correre così veloci.

Vedo sette persone, una senza la testa - poco male. Uno legge un libro, altri parlano con le mani unite sopra le ginocchia, altri ancora si puliscono le orecchie.

Ragazzo biondo, tarchiato. Mi si siede davanti. Comincia a leggere il giornale.

Ora vedo le piante del vino.

Un paio di tette appassite dritto davanti a me.

Alla mia sinistra c’è un tizio che sta leggendo "Il richiamo della spada". A destra angolo di marmo sporco. Cosparso come di ruggine.

Adesso a destra c’è grigio e due strisce, una arancione e una viola.

Passa un uomo grasso con un bicchiere di plastica in mano. Camicia colorata e pantaloni corti.

Due geometri ora a destra. A sinistra i soliti quattro ignoti. Tre leggono, una tiene la borsetta sulle ginocchia.

Prendiamo l’autobus...

C’è un ragazzo sotto di me. Occhiali tondi da vista. Ho una sbarra di ferro parallela al culo. Cinque perone intorno...altre quaranta pressate in tre metri per nove. Pavimento grigio con venature multicolore. C’è una scritta vietato uscire sulla destra, ma non è quella che mi preoccupa. Per strada vedo un negro con della crema bianca sulla faccia. Atmosfera dolorosa intorno ai suoi occhi.

Nel giardino dell’albergo. Aspettando che ci assegnino la stanza...

Vedo venticinque persone. Sedie metà bianche metà arancioni. Due nel dondolo, altri nelle sedie accanto al muro, altri ancora intorno ai tavoli.

In stanza...

Bianco dominante, e legno. Scarno. C’è un Cristo crocifisso bianco sporco su una croce di legno chiaro.

Ginocchio all’altezza della spalliera del letto.

Ore 15.58

Totto, con i capelli bagnati guarda fuori dalla finestra. Malinconico. A sinistra tetre antenne televisive. Fuori dalla finestra si vedono i tetti delle case, sono vicinissimi.

Tre persone davanti a me: Zola, Pope e Totto.

Vado a cagare. Mentre scrivo lo stronzo m’esce dal buco del culo. Ora mi pulisco. Prima dall’alto verso il basso, poi dal basso verso l’alto, faccio sempre così.

Ore 16.13

Rientro in camera. Pope sta seduto col culo fuori dalle mutande, come una sirena vogliosa. Vorrebbe fare qualcosa. Il ragazzo ha strane abitudini. Quando si fa le seghe si mette un dito un culo mentre sta per godere. Pope è un lussurioso.

Zola sta per ore davanti allo specchio, incorda i muscoli e si guarda compiaciuto.

Pope ora sta con gli occhi chiusi, ha scorreggiato. Pope fa loffe puzzolenti, Zola boati incredibili.

Totto ha voglia di dormire, si sente come una puttana alla fine della giornata-nottata di lavoro.

Ore 16.19

Entra lu Boccione, saluta ed esegue un mio ordine. Poi parla con Totto. Si tocca l’uccello,

ma porta le mutande. Se ne va.

Ore 16.25

Usciamo. Andiamo a comprare qualcosa da bere.

Ore 16.41

Vetro sulle labbra. Liquido giallo.

Primo sorso, brivido dolce. Secondo sorso, brivido dolce. Terzo sorso, brivido dolce.

Cinque persone intorno.

Piccione mi da un pacca sulla spalla. Si gratta le palle, prima con la destra, poi con la sinistra.

Quarto e quinto sorso in rapida successione. Il modo di buttar giù ti dice un sacco di cose.

Ora mandavo giù il mio liquido giallo non come si beve un buon whisky, ma il vino rosso alla festa del paese. Mi si sarebbe sformata la faccia di li a poco.

Ore 16.47

Usciamo. Facciamo un giro. Acquisto un libro.

Ore 19.00

Siamo in camera. Mi sdraio, accendo una sigaretta. Comincio a leggere.

Ore 19.17

Piccione è seduto sul letto di Zola. Si strapazza l’uccello. Zola lo fa alzare.

Ore 19.21

Arriva Tommy, pantaloncini blu. Si siede accanto a me. Ride. Perché ?

Ore 19.47

Andiamo ad aspettare l’autobus per andare a cenare in campagna.

Coda di ragazza. La vedo da dietro. Esile. Diciottanni appena, ne sono sicuro. Che chiavata !

Ha un aspetto molto fine. Ha delle scarpe bianche e una treccina colorata a destra. Ora se la tocca.

Ore 20.14

Il bus ci porta a mangiare. Asfalto nuovo, e intorno prati verdissimi, colline.

Ore 20.33

Vino rosso che allappa leggermente. Musica di fisarmonica, vecchi e bambini, merda di cavallo.

Marrone, arancio e bianco che si mescolano trasversalmente. Lì mangiamo.

Sassi bianchi e qualche ciuffo verde e giallo.

Uomo con con faccia da paura, dritto davanti a me. Occhi azzurri da pazzo, capelli bianchi, abbronzatissimo.

Pavone gigante sull’angolo del tetto rosso.

" Siete giovani perché bevete " dice il vecchio pazzo.

C’é una coppia di cinquantacinquenni? accanto a me, facciamo quattro chiacchiere. Mi chiedono cosa farò da grande, e io glielo dico.

Un mago grasso e biondo, ( col codino ), fa giochi di prestigio su un palco alto dieci centimetri.

Canzoni tipo Sugli Ombrelloni o altre.

Ora si battono pure le mani.

Il mago ha dei fusò attillati e stivali d’oro. Il mago chiama sul palco Totto per fare un gioco. Gli infila un fazzoletto in mano e glielo tira fuori dalle mutande. Totto non portava mutande quella sera.

Musica disco 80.

Il bicchiere si riempie in continuazione.

Ore 21.16

Fra sette minuti torniamo in città.

Bevo e guardo dentro il bicchiere.

Notte.

GIORNO DOPO.

Ore 17.39

Seduto sul dondolo dell’albergo. Ho appena finito di leggere un racconto del libro che ho comprato.

Ore 17.50

Il livello del te scende. Vedo tre persone. Vecchia a 210 gradi. Davanti due ragazzi bevono te freddo. Dondolo.

Il Pope ha bucato. E’ andato a fare un giro in bici e ha bucato.

Ore 19.27

Uomo con i baffi che zoppica. Due signore appoggiate sul balcone guardano il passeggio sulla strada. Sono sopra di me, una è molto brutta.

Vedo la mia scarpa nera.

Spostamento di persone. Pianta con fiori viola davanti al muro. Sul muro c’è pitturato un albero.

Ore 19.42

Rami d’albero nel cielo.

Ore 20.52

In stanza. Io, Pippi e Boccione. Pippi osserva la sigaretta che si consuma.

" Però se ci pensi fumà è na’ cazzata. Aspiri il fumo e lo ributti fori ".

Boccione mangia pane e nutella, Pippi va a cagare. Ora sono solo in stanza, Boccione è di fuori in terrazzo che mangia. Sono su un fianco. Stanco. Posizione rilassante.

Armadio di legno chiarissimo.

Rientra Boccione.

" Che scena squallida. Un panzone schifoso bruttissimo co’ du fiche che facevano finta d’accarezzallo ".

Pope ha mangiato la minestra per cena. Noialtri pastasciutta.

Notte.

GIORNO DOPO.

Ore 15.16

Tabacco vicino a me. Zola davanti.

Pope, Zola e Totto fanno il bagno nel mare.

NOTTE.

Come tutte le notti.

Anita sta sdraiata. Io sono nella sdraia accanto. Poi c’è Zola e le amiche di Anita. E Tommy.

2. Vodka.

Mattina, ore 11. Partita di pallavolo al villaggio vacanza. Isola, mare, vento. Partita difficile. Papà aitanti che giocano contro i loro figli, cercando con tutte le forze di vincere, alcuni riescono anche a barare. Vecchi gorilla in mutandoni, pance rilassate e ragazzini dispettosi. Io ero lì in mezzo. Non semplicemente ubriaco. Ma carico di superalcol, vodka liscia per l’esattezza. E camminavo sopra nuvole grige. Però non era tanto un piacere giocare in quelle condizioni...Stavo cominciando a sfastidiarmi.

Ma anche se non mi divertivo tanto a giocare mi piaceva stare lì in mezzo a quella gente.

Non è che mi piace tanto osservare la gente, ma ci passo un sacco di tempo.

C’era uno che me lo ricordo bene. Era toscano, ma da tempo viveva a Canino, nel Lazio.

Biondo, grosso, occhiali da sole, accento romano. Un gorilla. La moglie una stangona, ma abbastanza sfatta. Alle cinque e mezzo lo trovavi sempre al campo di pallavolo con il figlio, un ragazzino pelle e ossa che avrà avuto dodici anni, biondo pure lui. Vincenzo si chiamava il figlio, un vero rompicoglioni. C’aveva in bocca una ferraglia che lo faceva parlare in un modo che non potevi evitare di metterti a ridere, allora lui s’incazzava e minacciava di dirlo al padre. Io una volta gli ho dato un ceffone e lui ha cominciato a urlare "mo lo dico al mi babbo" con la bocca spalancata che pareva un cartone animato giapponese. Era inverosimilmente odioso quel ragazzino. Il padre invece non é che era antipatico, tutt’al più mi faceva un po’ pena. Il vecchio orso...Da giovane giocava a pallone e rimediava le ragazze. Ora lo vedi in spiaggia con slip e pancia in dentro, e ogni tanto si tocca la nuca con una mano, alzando il gomito verso l’alto in atteggiamento rilassato. Roberto veniva tutti gli anni in quella stessa spiaggia dove andavo io, con la moglie e il figlio.

C’era pure un’altra coppia, amici di Roberto. Un po’ più giovani però, sui trentacinque. Pier, occhi azzurri, orecchino, sorriso da buono. Lei, una rossa milanese, ballerina, non carina, ma messa bene di corpo, una di quelle col peperoncino sotto il culo.

Grandi amici Roberto e Pier, ma di più Roberto, forse perché era più vecchio. Se lo teneva stretto Pier, era il suo passato prossimo. Il tempo non ha pietà, ma Roberto è un guerriero.

Due vecchi giovinastri Roberto e Pier. Roberto ci metteva più impegno però.

Era sempre Roberto a proporre la partita, la gita in barca, la serata in discoteca eccetera, ed era lui che dava le pacche sulla spalla. Pier era un tipo quieto, un evergreen pure lui, ma meno determinato.

Non una vita facile la loro. Uno stress continuo. E non hanno neanche mezz’ora per fermarsi a riflettere un po’. Sono stati già ventenni, ormai, per pensare al proprio io, a dio, all’anima ecc. Adesso tempo non ce n’è più. Bisogna fare gli ottusi e agire.

Agire il più possibile, agire fino a quando il corpo non rimane contratto in un unico grande crampo.

Alla sera, mentre guardano il varietà con la moglie bigodinata a fianco, sentono tutta la fatica di una giornata in spiaggia. E un’espressione di sofferenza gli tira il volto, accentuandogli le rughe, quando ripensano alla schiacciata di troppo fatta alla partita di pallavolo, alla corsetta con gli amici, lungo la spiaggia, per fare i belli davanti le ospiti del villaggio. Il mare poi, sì sa, mette fame, e gli evergreen, dopo avere bruciato tutte quelle calorie in spiaggia, alla sera sono affamati come lupi feroci. Sparecchiano tutta la cena in cinque minuti riempiendosi d’aria come mongolfiere. E dopo la sigaretta comincia il loro concerto di scorreggie. Ad ogni peto uno sbuffo della moglie, fino a che la stanza non diventa una camera a gas e la moglie rassegnata va al bar del residence a prendersi un campari con le amiche. A questo punto l’evergreen mentre sgonfia il suo stomaco allargato un peto dopo l’altro cerca di recuperare le ultime forze per il rush finale della giornata. Eh sì, perché dopo lo stress della giornata al mare, quando cala la notte, non si sa bene per quale legge della natura, gli evergreen ritrovano forza ed energia. E alle dieci li trovi lì nella pista a ballare il ballo del residence insieme con bambini e bambine, e sembra si divertano più dei figli a fare gli scemi sbagliando volontariamente i passi, passi che conoscono a memoria dopo due settimane di pratica.

Il signor Giuseppe, canottiera celeste e cappello rosso che gli protegge la testa calva dalle scottature, gran parte della mattinata la passa a giocare a bocce coi figli Lucia e Domenico, canottiera rossa. La moglie invece preferisce starsene sotto l’ombrellone a chiacchierare o a leggere Novella 2000.

Anche Giuseppe e famiglia é in rapporti d’amicizia con Pier e Roberto, e spesso li vedi a cenare tutti insieme al ristorante, pure se, di certo, Giuseppe non é un evergreen. Ma é simpatico, lui, e sotto le lenti dei suoi occhiali marroni, con la montatura spessa, ha occhi vivi, uno sguardo intelligente che attira la gente, non la allontana. E anche se non li seguiva spesso nelle loro imprese sportive, era molto ben voluto da Roberto e Pier, ci stavano volentieri in sua compagnia. Anche se sembrava così diverso, lui con la sua pancetta rilassata, loro con le spalle larghe e il sorriso da giovanotti, legava molto con gli evergreen, forse perché lui tentava di rimaner giovane nella testa più che da un punto di vista fisico.

Nelle serate passate insieme, a cena, era Giuseppe che teneva banco, Roberto sparate due o tre cazzate rimaneva pressoché zitto per il resto della cena, Pier più o meno lo stesso. E Giuseppe parlava sempre lui, e, forse per il suo modo così lento di parlare, pieno di pause e esitazioni, o per quell’espressione di gioia e soddisfazione che aveva quando raccontava qualcosa, riusciva ad attirare l’attenzione di tutti i commensali, soprattutto delle donne. C’era la moglie di Pier che alle battute di Giuseppe rideva sempre più di tutti.

Per la sera di ferragosto Roberto propose una festa in spiaggia. Con falò, carne arrosto, birra, musica e tutto il resto, si sentiva veramente l’animatore del gruppo il vecchio orso. Il pomeriggio gli uomini sarebbero andati a fare spesa e a prendere la legna per il fuoco, la sera le donne avrebbero cucinato carne arrosto sulla spiaggia.

La giornata era stupenda, c’era un sacco di sole e neanche tirava troppo vento, giusto il necessario per non schiattare di caldo. La mattinata se ne andò via veloce tra cacce al tesoro, scherzi e giochi vari. Per il pomeriggio Giuseppe aveva proposto una gita in campagna, Roberto e Pier non ci andarono, volevano riposarsi un po’ e poi dovevano andare a fare la spesa. Avevano un posto speciale dove comprare la carne, la carne più buona dell’isola, e era un posto che conoscevano solo loro. Neanche la moglie di Giuseppe volle andare, non c’aveva voglia.

Il buon Giuseppe allora partì con al seguito la moglie di Roberto, quella di Pier e Vincenzo. Durante il viaggio in macchina Vincenzo non poté fare a meno di rompere i coglioni, ma quando cominciò ad esagerare, come suo solito, Giuseppe gli fece un urlaccio. Allora lui subito si rivolse verso la mamma come per cercare protezione, invece la madre lo sgridò anche lei, e così rimase buono buono per il resto del viaggio. Le signore rimasero affascinate dalle storie che Giuseppe sapeva su quei posti, e lui, che se ne accorgeva continuava a parlare senza mai fermarsi. Particolarmente catturata dalle sue parole era Carolina, la rossa moglie di Pier, l’altra più di tanto non poteva farsi catturare con il figlio tra i piedi. E poi Giuseppe, quando parlava, con lo sguardo si rivolgeva sempre verso Carolina, la moglie di Roberto non se la filava più di tanto. L’interesse fra Giuseppe e Carolina era reciproco, ma certamente nessuno dei due cercava di darlo a vedere, e in questo erano inconsapevolmente complici. Capitava spesso che parlando, lei o lui, con gli sguardi si cercassero. Nessuno però si era minimamente accorto di questa segreta intesa. Quel pomeriggio però, forse perché non c’erano i rispettivi coniugi, forse perché c’era Vincenzo - a quello non gli sfugge niente -, la cosa cominciava a divenire evidente e gli stessi interessati cominciavano a esserne più consapevoli. Allora un po’ si sentivano in imbarazzo, e abbassavano lo sguardo ora, quando si incrociavano con gli occhi, e Giuseppe certe volte perdeva quella sua sicurezza nel parlare. Ormai entrambi prendevano sempre più coscienza della situazione. E molto spesso è a questo punto che le cose cominciano ad andar male, e la realtà comincia a mettersi davanti come un ostacolo fastidioso. Come un muro che, se all’inizio poteva sembrare tanto basso e facile da superare, poi comincia a crescere sempre più, e ci si rende conto che è obbiettivamente insormontabile. Certo Giuseppe non era il tipo da lasciarsi trasportare dalle emozioni, era uno coi piedi per terra lui, ma con la testa era ancora uno di vent’anni, e la fica è fica. E allora cominciava a pensarci a Carolina, e ci pensava come un ragazzo che sgama una ragazza. Pensava a quando l’avrebbe baciata sotto il cielo stellato, a quando l’avrebbe stretta in un abbraccio pieno di tenerezza, a quando l’avrebbe tenuta per i fianchi sopra di lui, facendola muovere con dolcezza, pensava al suo viso arrossato al culmine del piacere.

L’avrebbe portata a fare una piacevole gita in barca, e lì gli avrebbe parlato per ore, di lui delle cose che amava, l’avrebbe ascoltata con interesse senza mai stancarsi, si sarebbe incantato davanti ai suoi occhi. Ogni tanto si incantava veramente Giuseppe, forse proprio mentre fantasticava in questo modo. Ma ci pensava il piccolo Vincenzo a riportarlo alla realtà con le sue monellate. E Giuseppe sbarrava gli occhi come uno che viene svegliato durante un bel sogno.

Fra una storia e l’altra la giornata si avviò rapidamente a conclusione. Allora si decise di ritornare al residence.

Per la serata in spiaggia gli uomini si erano vestiti con delle camicie colorate, le donne portavano tutte un fiore infilato nell’orecchio. ( La moglie di Giuseppe si ruppe un timpano, la dovettero portare al pronto soccorso. Giuseppe oltre a chiamare l’autoambulanza non fece altro. Rimase alla festa, aveva voglia di divertirsi. E come un giovane disinibito non si sentiva addosso il peso di nessuna responsabilità ). Euforici, Giuseppe più di tutti. S’era portato anche quegli occhiali con il naso e i baffi finti che si mettono per carnevale, li teneva in tasca e ogni tanto li tirava fuori per fare uno scherzo a qualcuno. Quanta allegria, quante risa.

Come va una festa ? Come tutte le feste. Vacanze, feste e party vari ...tutti uguali. Certo a volte ci incontri tipi interessanti e ci passi del tempo molto bene, ma quello non è più il party. (Un gran bel party è stato quello dove siamo stati ad aprile, non mi ricordo dove. Lì c’avevi a disposizione un intero bar e camerieri vari. Potevi ordinare per tutta la notte qualsiasi cosa volessi bere. Ed è stato un gran divertimento).

Comunque qui le cose andarono nel modo più normale possibile. Aperitivo. E intanto una quieta musica di sottofondo. Roberto, gaudente, fumava la sua sigaretta con il bicchiere nella sinistra e la testa leggermente piegata a destra: e sembrava avesse un Coiba fra le labbra, uno dei migliori. Pier assaporava con aria da intenditore lo spumantino da tre mila lire che aveva comprato al supermarket, e dopo ogni sorsata stringeva le labbra e alzava gli occhi al cielo: chissà cosa mai cercasse lassù.

Antipastini. Giuseppe sembrava un po’ impacciato. Non era da lui. Un momento era allegra e un’attimo dopo era fra le nuvole. Cena e buon vino. Liquore e grandi discorsi. Pier quella sera parlò una cifra, sostituiva degnamente Giuseppe che era un po’ pensoso. Forse stava ragionando sulle parole giuste da usare per farsi avanti con Carolina, senza pensare a ciò che avrebbe detto a moglie e figli. E come poteva, ormai pensava solo alla fica lui.

Roberto che non aveva ancora finito le batterie con la sua solita aria boriosa propose l’indianata - che grinta. E si fece... E ci si ubriacò tutti. ( Dopo aver ballato a sufficienza, naturalmente ).

Le quattro di notte.

Pier si dirige verso casa barcollando, tutto appoggiato alla moglie che lo aiuta a tenersi in piedi. E’ un evergreen, ma il fisico per fare l’indianata non ce l’ha più. Roberto sta a terra, sdraiato tipo morto, e intanto la moglie porta a dormire Vincenzo che ancora zompetta e non smette di ridere ripensando alle scene pietose di quegli adulti ubriachi.

Io sto sdraiato con la vodka ghiacciata fra le mani. E la luna mi fissa, mentre le nuvole velocissime ci passano attraverso. Vedo un signore che camminando storto si avvicina verso di me. Mi si siede accanto sbuffando. Mi da una pacca sulla spalla e sbuffa di nuovo. Era Giuseppe. ( Io non lo conoscevo mica ). Ci passiamo la bottiglia senza parlare. Un paio di sorsate per uno. Lui ogni tanto alza la testa verso la luna. A me continua a fissarmi. Era davvero triste il signor Giuseppe quella notte. Addirittura mi sembrava che piangesse, ma non si riusciva a capire con quegli occhiali con naso e baffi finti addosso.

3. Gin.

Quest’isola era proprio bella, tutto era così...limpido, chiaro...e il cielo era sempre terso. Certo il clima mi sapeva un po’ troppo ..., la mattina avevo la gola così secca che mi pareva di soffocare.

Mi piacciono le emozioni forti a me.

Quando cominci é sempre un crescendo e il presente ti lascia comunque insoddisfatto.

Un colpo di fulmine, un amore che comincia da un semplice sguardo, ma che é più grande di qualsiasi altro.

Io prevedo il futuro, so sempre come andrà a finire. Non é bello prevedere il futuro.

Quella sera ero pieno di gin più che mai. Ero in orbita e tutto era amplificato al massimo, la più piccola vibrazione la sentivo bene in fondo allo stomaco.

Amo le sensazioni forti.

Lei era ubriaca, era una ragazza ubriaca, una di quelle serie e timide che quando bevono un po’si sganciano e fanno di tutto, ma mi amava, e anch’io l’amavo. (E tutto sarebbe dovuto cominciare quella sera).

Ma amo anche le sensazioni forti.

E ho paura che il cervello non mi funzioni più tanto bene.

Lei era dolcissima.

In ogni gruppo di amici c’é quello che pensa solo alla fica. Il senso della vita è vantarsi di essersi fatto questa e quest’altra per lui. E per quanto amico sta un po’ sul cazzo a tutti, forse per il suo modo di fare. Per la fica venderebbe la madre.

Siamo in una discoteca non troppo affollata. Si balla.

- Oh ! Dai, quando te la porti fuori.

- ...

- Dai che sta’ sera te la scopi.

- ...

- E rispondi !

- Si.

Passa una mezz’ora. Io ubriaco a ballare. Lei brilla, voleva qualcuno tra le braccia, così come stava chiunque.

- Oh ! E dai.

- ...

- E vai !

- Guarda che ci provo io !

- Va bene.

- Allora ci provo. Non te ne frega niente ?

- Vai. Tutto ok.

Io ballavo sulla parte destra della pista, quasi all’estremità. Lei al centro col sorriso del cazzo da ragazza ubriaca. Lui va sicuro verso di lei. Lei non smette di sorridere. Ballano uno davanti all’altro. Lei si muove contenta. Si avvicinano sempre più.

Sensazioni forti.

Impagabili !

Bacio.

Tutti e due con le mani sulle guance dell’altro, ci mettono tutta la lingua che possono. Sembrano due aspiratori. Li vedi con le bocche che cercano di succhiare tutto. Lei lo bacia con una foga incredibile.

Loro erano al centro della pista, io nella parte destra a godermi tutto.

Sensazioni forti.

Non sono uno che ama il dolore perché gode a soffrire.

Non é che godessi proprio in quel momento, ma era una sensazione così forte che non importava se era dolore o piacere.

Era un apice.

Non amo il dolore, lo cerco, forse. Ma neanche. Cerco l’apice, forse.

Di solito va a finire in questo modo.

E continuavo a ballare, un po’ ingobbito, come mi capita di stare quando sono ubriaco, con la faccia tirata. Tenevo le labbra unite in un sorriso da drogato. Con la testa rivolta verso il pavimento guardavo quei due tirando su gli occhi. E mentre ballavo la musica che prima mi sembrava così forte, quella musica che riuscivo a percepire chiaramente in ogni suono ora era appiattita, ovattata, sorda. Era come un pianissimo ultrasuono che faceva da sottofondo al vortice che si muoveva ascensionalmente nelle viscere. Un fuoco che si annodava su se stesso che, esplodendo dallo stomaco, cercava di uscire fuori dalla bocca con movimenti di scomposta disperazione.

Lui piegato sopra di lei, decisamente più bassa, sembrava volesse aspirargli le budella, aveva due cavità a posto delle guance, tanta era la foga con cui gli ficcava la lingua in gola.

Sti’ desideri distorti che ogni tanto m’assalgono, e quelle sensazioni... evidentemente sono un deviato, ma non faccio altro che seguire il mio istinto...malato?, non mi oppongo a nulla. E non posso essere libero almeno nel desiderare, soprattutto nel desiderare ? Forse per affermare la mia individualità, la mia diversità da quegli altri imbecilli. Sono io il più imbecille, può darsi. Dipende da come uno vede la cosa.

Bè a me piace ubriacarmi di bile. Anche di bile. Mi ubriaco con tutto, ma basta che mi ubriaco.

Non mi sono mosso neanche un attimo dall’angolino in fondo alla pista dove ballavo. Sono rimasto lì fino alla chiusura a ballare lentamente. Sono stato per ore entro quel metro quadrato di pista muovendo leggermente le braccia senza minimamente seguire il ritmo della musica e stando pressoché fermo con le gambe. Ogni tanto mi facevo portare da bere da un amico che mi supplicava di smettere. Mi nutrivo e continuavo a far finta di muovermi.

La notte, nell’isola dall’aria secca, fa freddo. Uscimmo dalla discoteca e accesi una sigaretta. Non avevo una gran voglia di fumare ma accesi quella sigaretta.

Uno si trova spesso a porsi delle domande. Uno si chiede tante volte il perché di certe cose. Quasi mai si riesce a trovare delle risposte, risposte esaurienti. Risposte che ti facciano distendere i muscoli della faccia, che ti facciano tirare un sospiro di sollievo, che ti diano un po’ - solo un po’- di gioia nel senso di cessazione del dolore (la quiete dopo la tempesta), del dolore che uno c’ha nello stomaco, quella fastidiosa sensazione di ... che ti fa bruciare le budella.

Io ho un gran bisogno di droga. Sono

Io vorrei tantissimo essere spensierato. Sì, spensierato !

Ne ho abbastanza dei pensieri. Non voglio più pensare.

Io ci metto anche un po’ di buona volontà, forse troppo poca, per risalire dal sottosuolo. Ma non faccio in tempo a vedere un po’ di luce che subito vengo ributtato giù, sempre più in basso.

Penso che al mondo non c’è nessuno che non sia stronzo. E io pure sono uno stronzo.

Tu pensi che le cose vadano in un certo modo, e invece no, e sono al contrario di come sembrano.

Siamo fatti per ingannarci e essere ingannati.

E non c’è nessuno che non abbia mai deluso qualcuno, almeno una volta.

Ci sono degli alti e bassi spaventosi. A me sembra di vedere solo bassi però.

Per quanta benzina uno possa avere nella macchina più di tanto non si riesce a spostare.

Forse ho paura di qualcosa allora evito di fare tutto. Infatti potrei essere il tipo. Quando mi fa male qualcosa non vado dal dottore. Mi tengo il dolore, lo assaporo, cerco di resistergli finchè non passa. Anche perché tutto passa, e non c’è bisogno che lo ribadisca io.

Cerco di impegnarmi il tempo.

La mattina, quando la notte è bella che finita, un po' mi pento... e di quella notte mi pento ancora. Come un lupo mannaro che ridiventa uomo e ripensa ai poveretti che ha sbranato. Ma io non sono un lupo mannaro, sono solo un povero vampiro.

Francesco Cerioni