Index Cultura - Ottobre 1997

Con questo numero di Nautilus lo psicologo Antonio Zuliani presenta un lavoro in quattro puntate attorno ai temi dello sviluppo dell’identità dove cercherà di esporre le più innovative visioni di cultura psicoanalitica sull’argomento. Il taglio sarà il più divulgativo possibile, senza però cadere in inadeguate semplificazioni: si tratta di un testo un po’ da leggere, ma anche un po’ da studiare. La bibliografia completa sarà fornita con l’ultimo articolo.

Lo sviluppo dell’identità

Prima puntata

Introduzione: noi e il mondo

In questi ultimi anni il tema dell’identità è diventato uno dei più inquietanti e scottanti. In questo scritto non si tratterà tanto delle problematiche legate all’identità nazionale, quanto piuttosto a molti degli aspetti che tanto preoccupano le comuni riflessioni sul futuro della nostra società: i valori e/o la loro supposta mancanza, la dichiarata necessità di costruire nuove regole di convivenza civile, il confronto tra gli interessi del singolo e quelli della collettività. Questo per citare solo i primi temi che balzano alla mente.

Con questa serie di articoli non si pretende di volere proporre l’unico taglio interpretativo in proposito; ciò nonostante si ritiene non debba essere sottovalutato il fatto che anche tutti questi temi a valenza sociale possono essere ricondotti, per una utile interpretazione, al problema dello sviluppo dell’identità della singola persona. Parleremo di una persona che, in quanto portatore di un senso e di una continuità, deve essere vista principalmente nella sua soggettività: ciò significa che occorre abbandonare da subito ogni lusinga di poter distinguere in astratto i comportamenti buoni da quelli cattivi, quelli giusti da quelli sbagliati; questo semmai compete a ben altre discipline che non la psicologia. Ciò significa accettare di giocare tutto sul piano della capacità o della possibilità del singolo di convivere e di adattarsi a se stesso e al mondo esterno senza per questo paralizzarsi in comportamenti o atteggiamenti rigidi e ripetitivi.

Quindi anche il senso di "normalità", che si andrà a proporre, implica un funzionamento psicologico adeguato, non solo, o non tanto, all’adesione a delle norme esteriori; così facendo riferimento al concetto di adattamento non lo si intende come un atteggiamento rigido per il quale a partire da una serie di norme, si arriva a indurre un individuo ad essere adattato, ma ci si riferisce alla sua capacità e possibilità di gestirsi, con sufficiente elasticità, all’interno della vita quotidiana.

Questo implica la possibilità di porre al centro della singola persona il significato originariamente individuale, ma poi collettivo, che egli arriva ad attribuire alle sue relazioni con il mondo, sia esso composto di persone e/o di cose; cioè avvicinarsi al "senso" che ogni relazione o cosa ha per il soggetto. Le implicazioni di questo percorso personale sono di notevole portata e saranno esaminate più in dettaglio nel secondo articolo.

Abbracciare questa prospettiva significa, inevitabilmente, ricomprendere uno dei temi centrali che hanno da sempre percorso il cammino dell’umanità: quel "chi sono io?" che ha sempre turbato i pensieri e le coscienze di tutti gli uomini. D’altra parte, come scrive Kundera "tutti i romanzi, di tutti i tempi, indagano l’enigma delI’Io". Il fornire una risposta convincente a tale domanda è uno dei motivi fondamentali per cui ogni individuo vive e si muove. Tutto questo in termini più propriamente psicologici può essere proposto come la ricerca di differenziarsi e di uscire dall’esaustivo rapporto narcisistico che ogni individuo vive con la propria madre, necessario per diventare altro da lei e sviluppare una propria identità.

Lo sviluppo dell'identità, quindi, è uno dei grandi terreni di sfida che occupa ognuno fin da bambino, intriso della necessità di integrare in una personale sintesi tutti gli elementi più importanti delle proprie relazioni e del proprio ambiente vitale attraverso una ricerca che rimane centrale e attuale nel corso di tutta la vita. Adottando l'ottica che vede nella ricerca dell'identità uno dei cardini dello sviluppo personale e sociale, non solo si prescinde da ogni impostazione moraleggiante, ma si entra in una fondamentale visione dialettica della realtà, per la quale non appare possibile isolare nessuno specifico comportamento umano rispetto all’intero.

Ogni persona è la sintesi della sue dotazioni personali, della sua storia personale, delle vicende della sua vita, della pregnanza o meno delle relazioni significative incontrate nel corso degli anni, ma è una sintesi che ha significato solamente all’interno del quadro delle specifiche relazioni sociali che riesce ad intessere.

E' questa sintesi, che potremmo chiamare personalità, che dà, comunque, senso e significato ai comportamenti, e proprio di alcune vicissitudini ed esiti di questo processo di sviluppo tenteremo di occuparci di seguito, per poi arrivare ad alcune riflessioni sulle strategie di intervento più opportune per aiutare l'uomo in questa sua faticosa ricerca di senso (questo nel terzo e quarto articolo).

L’onnipotenza perduta

Per affrontare il tema della personalità occorre primariamente ricordare, con Winnicott, che ogni singola persona, per la costruzione della propria identità, compie un lungo e complesso percorso che, partendo da una situazione iniziale sostanzialmente caratterizzata della dipendenza, va verso una situazione nella quale prevale l’indipendenza.

Figurativamente, possiamo pensare questo cammino come ad una sorta di traiettoria, che tutti sono chiamati a compiere, che parte dall’illusione dell'onnipotenza (che è poi il fantasma originario dell'autoriproduzione che pervade ognuno al momento della nascita), per approdare alla sua, faticosa ma necessaria, rinuncia finale. Un cammino attraverso il quale ognuno arriva a sviluppare una sorta di senso di familiarità col mondo, di essere parte dei destini di tutti gli altri essere umani.

Il completamento, anche parziale, di questo sviluppo è talmente importante che, come ricorda Racamier, lo stesso senso del reale non può essere posto alla base dell'Io se non si è passati per questa illusione di onnipotenza e se non vi si è rinunciato.

Si tratta di un cammino reso complicato da fattori sia interni che esterni all'individuo stesso, e il cui buon esito è in fondo garantito dalla conservazione della capacità di spostarsi dalla dipendenza all'indipendenza e viceversa, dalle forme dell'una a quelle dell'altra, si tratta quindi di una dimensione personale e storica che si pone all'antitesi della rigidità.

Per approfondire maggiormente quanto detto, utilizzando un’immagine offerta da Winnicott, possiamo immaginare le tappe dello sviluppo del bambino come una serie di cerchi concentrici che vanno, dall’interno verso l’esterno, dall'indifferenziazione madre-bambino fino alla costruzione di un'identità personale.

Secondo lo schema proposto, l'individuo che cresce, per abbandonare il cerchio in cui si trova, avrà bisogno di trovare un cerchio più ampio pronto a succedere al primo. Ma questo non dovrà essere troppo lontano dal primo, tanto da chiedergli di compiere un salto eccessivamente imprudente e da precludergli la possibilità di ritornare indietro qualora le difficoltà si presentassero troppo impervie da affrontare.

Nel caso pratico possiamo pensare ad un bambino che ad un certo punto della sua crescita sente il bisogno di allontanarsi dalle braccia della madre: l’autentico distacco potrà essere solo graduale permettendogli di entrare in un più vasto ambito di controllo; qualche cosa che sia diverso dalle braccia materne, ma che si situi lì accanto, e in qualche modo sia in grado di ripeterle simbolicamente, senza il rischio di sentirsi proiettato nello spazio indifferenziato.

L’esito finale di questo percorso arriva alla costruzione di un sentimento di essere una persona che racchiude e "miscela" al suo interno tre immagini di sé, tutte di pari importanza: l’essere una persona durevole (che sente di avere una continuità nel tempo), l’essere una persona intera (con una sua precisa continuità nello spazio), l’essere una persona significativa, portatrice di un senso (quindi con il senso di una continuità nella causalità).

Quelli di cui abbiamo parlato sono sentimenti estremamente sfumati, difficili da percepire allo stato puro; possiamo dire che ci si accorge della loro importanza solo quando vengono a mancare, un po' come l'aria che si respira di cui si sente la mancanza quando il respiro si fa affannoso.

All’interno di questo complesso processo di identificazione, l'Io di ogni persona arriva a creare dei confini, delle frontiere che hanno la fondamentale funzione di esercitare una sorta di filtro sia agli stimoli esterni che a quelli provenienti dall'interno, da quel misterioso e sconosciuto mondo sotterraneo che si usa chiamare inconscio.

Possiamo quindi dire che quello che ogni persona arriva a considerare come acquisito, è necessariamente transitato attraverso le frontiere del suo Io. Ma queste frontiere, un po' come le frontiere degli stati, abbisognano di norme che regolino l'afflusso di questi elementi, senza troppi rischi di indebite infiltrazioni o sconfinamenti.

La rigidità o la relativa elasticità di queste frontiere, l'ampiezza dello spazio tra una frontiera e l'altra (una sorta di terra di nessuno che è al contempo sotto il dominio di due diverse persone) sono un po' gli elementi decisivi che contribuiscono a determinare alcune delle più significative relazioni che l’individuo arriva ad instaurare con gli altri.

Più la persona sentirà debole il suo Io, più si sentirà minacciata e sarà indotta a mobilitare forze sempre più ingenti per la difesa dei "confini", con l’irrigidimento delle regole di accesso di elementi nuovi all'interno dell'Io.

Pensiamo, a titolo di esempio, come siano importanti questi fattori nel determinare la capacità di una buona convivenza civile pur nell'accettazione della diversità sempre più presente nella nostra società inter-culturale e inter-razziale.

Antonio Zuliani