Index LETTURE&SCRITTURE a cura di Giulio Mozzi - Giugno 1997



Corso di scrittura a puntate (10)

Le precedenti puntate del corso di scrittura narrativa hanno trattati questi argomenti: l’incipit (Nautilus, agosto 1996); la voce narrativa (Nautilus, settembre 1996); la molteplicità del personaggio (Nautilus, ottobre 1996); la redazione dei giochi di ruolo (Nautilus, novembre 1996); come si scrive un racconto cannibale (Nautilus, dicembre 1996); ci sono regole nella scrittura? (Nautilus, gennaio 1997); elementi di metrica (Nautilus, febbraio 1997); libri da leggere per scrivere (Nautilus, marzo 1997); una riflessione sui corsi di scrittura creativa (Nautilus, aprile 1997).

In questa puntata anticipiamo parte di un capitolo, dedicato alla descrizione, del Ricettario di scrittura creativa, a cura di Stefano Brugnolo e Giulio Mozzi, pubblicato presso le edizioni Theoria (300 pp., L. 18.000). Il Ricettario è il primo volume di una collana a basso prezzo (i Ritmi Scrittura) tutta dedicata allo scrivere. Contemporaneamente al Ricettario saranno in libreria (a fine maggio, dopo il Salone del Libro di Torino): Il mestiere di scrittore, un libro-intervista a Pier Vittorio Tondelli, a cura di Fulvio Panzeri (si tratta di una riedizione notevolmente aumentata del libro con il medesimo titolo pubblicato qualche anno fa da Transeuropa e ormai esaurito); Nel territorio del diavolo, di Flannery O’Connor (ristampa). Seguiranno: Come sono diventato uno scrittore di thriller, di Carlo Lucarelli, Che cosa vogliono gli editor, a cura di Silverio Novelli, una Guida alle scuole di scrittura in Italia, un secondo Ricettario dedicato alla scrittura in versi, Istruzioni per l’uso delle poesie d’amore di Giuseppe Caliceti, ed altri titoli.

L’importanza della descrizione

Esempi: Una mattina in piazza Saint-Sulpice (G. Perec). Istantanee metropolitane (A. Robbe-Grillet). L’illuminazione improvvisa (J. Joyce). Un viaggio in un luogo vicinissimo (G. Celati). Un viaggio dentro la propria stanza (X. de Maistre). Cose che fanno paura (E. A. Poe). Quando il pane diventa le Ande (F. Ponge). Come cucinare un uovo sodo (E. Jonesco). Dipinti animati (G. Longhi). Raccontare una storia a partire da un quadro (I. Calvino).

Che cosa è più importante? La descrizione o la narrazione? Rispondiamo: descrizione e narrazione insieme. A chi dice che quando legge un libro salta le descrizioni rispondiamo che spesso è proprio dai luoghi, dagli oggetti, dalle immagini che la storia nasce. Ed è descrivendo, e lavorando sul materiale della descrizione, che si capisce che cosa vuol dire quelle frase trita e ritrita che dice: "il romanziere dà una visione del mondo". Ricordiamoci che anche dio, quando fece il mondo, cominciò dal paesaggio: l’uomo e la donna arrivarono, buoni ultimi, nel sesto giorno. Se vogliamo imparare a raccontare dobbiamo comportarci un po’ come dio: cominciare dal paesaggio. Non necessariamente dal paesaggio naturale: anzi cominceremo dal paesaggio urbano (piazza, metropolitana, paese), poi ci spingeremo nel paesaggio domestico (la stanza) e infine approderemo ai grandi dominatori del paesaggio contemporaneo: gli oggetti, i manufatti umani.

Descrivere luoghi

Una mattina in piazza Saint-Sulpice

Chiunque voglia scrivere e non sappia da dove cominciare sappia che ha una grandissima opportunità: può partire dal pezzettino di mondo che si trova sotto il naso, può prendere un quaderno e cominciare a descrivere questo pezzettino di mondo con la pazienza di un bambino che stila i suoi primi pensierini: dalla mia finestra vedo un albero e un gatto e una donna che passa e... Sembra una sciocchezza, e invece non lo è: niente è più difficile che descrivere il mondo. Lo scrittore francese Georges Perec tentò una volta di descrivere (anzi di "esaurire", ossia descrivere completamente) un luogo di Parigi: piazza Saint-Sulpice. Si è seduto al tavolino d’un bar, ha ordinato qualcosa, ha tirato fuori il quaderno e ha cominciato a nominare ed enumerare tutto ciò che vedeva, tutto ciò che passava di là. Sentiamolo:

il giorno: 18 ottobre 1974

l’ora: 12 e 40

il luogo: Bar del Municipio

diverse decine, diverse centinaia di azioni simultanee, dei microeventi, ognuno dei quali implica delle posizioni, degli atti motori, dei dispendi specifici di energia:

discussioni a due, discussioni a tre, discussioni a più persone: il movimento delle labbra, i gesti, le mimiche espressive

forme di locomozione: cammino, veicolo a due ruote (senza motore, con motore), automobili (macchine private, macchine aziendali, macchine da noleggio, autoscuola), utilitarie, servizi pubblici, trasporti cumulativi, pullman di turisti

forme di trasporto (in mano, sottobraccio, sulla schiena)

forme di trazione (carrellino per la spesa)

gradi di determinazione o di motivazione: aspettare, bighellonare, andare piano, vagabondare, andare, correre verso, precipitarsi (verso un taxi libero, ad esempio), cercare, oziare, esitare, camminare con passo deciso

posizioni del corpo: seduti (negli autobus, nelle macchine, nei bar, sulle panchine)

in piedi (accanto alle fermate dell’autobus, davanti a una vetrina (Laffont, pompe funebri), accanto a un taxi (nell’atto di pagare)

Tre persone aspettano accanto alla stazione dei taxi. Ci sono due taxi, i conducenti non ci sono (taxi con l’insegna coperta da un cappuccio)

Tutti i piccioni si sono rifugiati sulla grondaia del municipio

Passa un 96. Passa un 87. Passa un 86. Passa un 70. Passa un furgone "Grenelle Interlinge".

Momento di calma. Non c’è nessuno alla fermata degli autobus.

Passa un 63. Passa un 96.

Una giovane donna è seduta su una panchina, di fronte al negozio di tappezzerie "La demeure"; sta fumando una sigaretta.

Ci sono tre motorini parcheggiati sul marciapiede davanti al bar

Passa un 86. Passa un 70.

Alcune macchine si infilano nel parcheggio sotterraneo.

Passa un 63. Passa un 87.

E’ l’una e cinque. Una donna attraversa correndo il sagrato della chiesa.

Un fattorino in giacca bianca esce dal suo furgoncino fermo davanti al bar dei gelati; andrà a consegnarli in rue de Canettes.

Una donna tiene in mano una baguette.

Passa un 70.

(solo per caso riesco a veder passare, dal posto che occupo, gli autobus della linea 84 sull’altro lato della piazza)

Le macchine seguono delle linee di traffico evidentemente privilegiate (senso unico per me da sinistra a destra); è molto meno sensibile per i pedoni: parrebbe che la maggior parte di loro vadano in rue des Canettes o ne provengano.

Passa un 96.

Passa un 86. Passa un 87. Passa un 63.

Persone inciampano. Microincidenti (1).

Istruzioni per l’uso. 1) All’inizio siamo disorientati, poi ci prende una strana emozione: l’emozione che ci cattura davanti alle istantanee che fissano i momenti banali ma irripetibili della vita: quell’uomo che sorride, quella donna che si sistema una scarpetta, quel gesto, quell’incontro, quel bacio, quell’espressione sono esistiti, ci sono stati una volta almeno nel tempo e nello spazio. Descrivere tutto ciò con pazienza ed umiltà è già un gesto d’amore verso il mondo ‘che passa’, verso tutti noi ‘che passiamo’. Il consiglio perciò è semplice: provate a fare come Perec. Dovunque voi siate, in qualsiasi luogo del globo (anche sul terrazzino di casa), mettetevi comodi e annotate tutto quello che i vostri occhi vedono. Tornate magari più volte nello stesso luogo, in stagioni diverse, in ore diverse, in anni diversi. Potrete stabilire degli utili raffronti. 2) Ciò che Perec in realtà descrive è, più che la piazza Saint-Sulpice, il suo modo di osservare il mondo. La descrizione mette in luce, nascostamente, il descrittore. Provate a descrivere lo stesso luogo in più persone, senza consultarvi, e poi confrontate i vostri testi. Farete scoperte.

Istantanee metropolitane

Se la descrizione secondo Perec è essenzialmente l’osservazione di un luogo nel tempo, Alain Robbe-Grillet ci propone invece di inquadrare una scena e di scattare un’istantanea. Questa è stata "scattata" in un corridoio sotterraneo della metropolitana di Parigi:

Una folla rada di gente affrettata che cammina tutta alla stessa velocità, lungo un corridoio sprovvisto di passaggi laterali, limitato da una parte come dall’altra da un gomito, ad angolo ottuso, che però maschera interamente le uscite terminali, e i cui muri sono ornati da manifesti pubblicitari tutti identici che si succedono a intervalli regolari. Essi rappresentano tutti un volto di donna, alto lui solo quasi come una delle persone di taglia comune che gli sfilano davanti, con un passo rapido, senza voltare lo sguardo.

Questa figura gigante, dai capelli biondi e ricciuti, dagli occhi inquadrati da ciglia molto lunghe, dalle labbra rosse, dai denti bianchi, si presenta di tre quarti, e sorride guardando i passanti che si affrettano e la sorpassano l’uno dopo l’altro, mentre al suo fianco, sulla sinistra, una bottiglia d’una bibita gassosa, inclinata di quarantacinque gradi, gira il suo collo verso la bocca semiaperta. La legenda è scritta in corsivo su due linee: la parola "ancora" posta al di sopra della bottiglia, e le due parole "più pura" al di sotto, nella parte bassa del manifesto, su di un’asse obliquo leggermente ascendente.

Sul manifesto seguente si ritrovano le stesse parole allo stesso posto, la stessa bottiglia inclinata il cui contenuto è pronto a riversarsi, lo stesso sorriso impersonale. Poi, dopo uno spazio vuoto coperto di ceramica bianca, la stessa scena ancora, fissata nel medesimo istante in cui le labbra s’avvicinano al collo della bottiglia e al liquido che sta per scorrere, davanti al quale le stesse persone affrettate passano senza voltare la testa, continuando il loro cammino verso il manifesto seguente.

E le bocche si moltiplicano, e le bottiglie, e gli occhi grandi come delle mani in mezzo alle lunghe ciglia curve. E, sull’altra parete del corridoio, gli stessi elementi si riproducono ancora con esattezza (con questa differenza che le direzioni dello sguardo e del collo della bottiglia vanno nel senso inverso), mentre dall’altra parte si succedono a intervalli costanti le sagome scure dei viaggiatori, che continuano a sfilare, in ordine sparso ma senza interruzione, sul fondo blu-cielo dei pannelli, fra le bottiglie color rossastro e i volti rosa dalle labbra disgiunte. Ma, proprio un po’ prima della svolta a gomito, il loro passaggio è disturbato da un uomo immobile, a un metro circa dal muro di sinistra. Il personaggio è abbigliato d’un abito grigio, un po’ stinto, e tiene nella mano destra che pende lungo il corpo un giornale piegato in quattro. Sta contemplando la parete. Nonostante la taglia enorme del disegno e gli scarsi dettagli di cui s’orna, il volto dello spettatore si sporge in avanti, come per veder meglio. I passanti devono scostarsi un poco dalla loro traiettoria rettilinea al fine di aggirare questo ostacolo inatteso; quasi tutti passano per dietro, ma alcuni, accorgendosi troppo tardi della contemplazione che stanno per interrompere, o non volendo cambiare direzione di marcia per così poco, o perché non si rendono conto di nulla, si fanno avanti fra l’uomo e il manifesto, del quale intercettano allora lo sguardo(2).

Istruzioni per l’uso. 1) L’importante è essere indifferenti. Tutti gli oggetti cadono dentro il nostro campo visivo come cadrebbero dentro l’obiettivo fotografico: noi non stabiliamo gerarchie, siamo più passivi che possiamo. Guardiamo la scena come se fosse un universo a sé stante, del quale ignoriamo la forma e le leggi. Degli oggetti coglieremo la superficie, ma non il significato. L’effetto finale è di piattezza e, stranamente, di quasi incomprensibilità. 2) In modo molto evidente Robbe-Grillet cerca di far sparire il descrittore. Tuttavia riesce a farci sentire in modo molto forte una cosa: che è appunto il descrittore a mettere ordine nel mondo, ad assegnare il significato ad ogni oggetto che appare. Il mondo, abbandonato a sé stesso, è un caos.

L’illuminazione improvvisa

Somigliano alle istantanee ma sono altra cosa; le ha teorizzate nientemeno che James Joyce e sono le epifanie. Il senso originario della parola "epifania", che è greca, è: "manifestazione". Mentre l’istantanea si limita volontariamente alla superficie delle cose, l’epifania sembra voler cogliere un senso nascosto. La scena che ci viene presentata è di per sé insignificante, ma vi si sente dentro la prossimità di una illuminazione improvvisa, della manifestazione d’un qualcosa ignoto. Così lo stesso Joyce tenta di spiegare la faccenda:

Una signorina stava ritta sui gradini di una di quelle scure case di mattoni che sembravano l’incarnazione della paralisi irlandese. Un giovanotto s’appoggiava alla ringhiera arrugginita del recinto davanti a casa. Stephen passando udì un frammento di colloquio da cui ricevette una impressione così acuta da colpirlo.

La Signorina (modulando discretamente): "Oh sì sono stata... in chie... sa".

Il Giovane (sussurrando impercettibilmente): "Io... " (ancora più impercettibilmente) "io... ".

La Signorina (piano): "Oh... ma voi sie... te... mol... cattivo".

Questa banale scenetta lo fece pensare alla possibilità di raccogliere molti di quei momenti in un libro d’epifanie. Per epifania intendeva Stephen un’improvvisa manifestazione spirituale, o in un discorso o in un gesto o in un giro di pensieri, degni di essere ricordati. Stimava cosa degna per un uomo di lettere registrare queste epifanie con estrema cura, considerando che erano attimi assai delicati e evanescenti

Altrove Joyce parlerà di "drammi minimi", istantanee colte al volo e in cui l’osservatore crede di potere avere un’intuizione piena e completa di una realtà, per banale che sia. Si tratta di cogliere la scena come un’unità, una cosa organizzata, che ha un suo punto speciale intorno a cui ruota tutto. Di questo punto speciale il poeta T.S. Eliot ha detto che si tratta del "punto fermo del mondo che ruota". In parole più semplici diremo che si tratta di attimi in cui ci pare di cogliere la bellezza e purezza del mondo che è quello che è. Alcuni brevi esempi di epifanie joyciane:

I ragazzi rimasti per ultimi si infilano le loro cose per tornare a casa poiché la festa è finita. Questo è l’ultimo omnibus. Gli ossuti cavalli rossicci lo sanno e scrollano le campanelle nella notte limpida, come avvertimento. Il bigliettaio parla con il conducente; tutti e due accennano spesso col capo alla luce verde del fanale. Non c’è nessuno vicino. Sembriamo in ascolto, io sul gradino più alto e lei sul più basso. Diverse volte, fra una frase e l’altra, lei sale sul mio gradino e ridiscende, e un paio di volte mi rimane accanto, dimenticandosi di ridiscendere, e poi scende di nuovo... (3)

Nuvole grevi hanno coperto il cielo. All’incrocio di tre strade, davanti a un greto paludoso, è sdraiato un grosso cane. Di quando in quando alza il muso al cielo ed emette un lungo ululato doloroso. La gente si ferma a guardarlo e poi prosegue; alcuni sostano, trattenuti. forse, da quel lamento in cui credono di udire l’espressione del loro stesso dolore che un tempo ebbe voce ma che ora è muto, servo della fatica quotidiana. Comincia a piovere (4).

Due donne in lutto si fanno strada fra la gente. La ragazzina, aggrappata con una mano alla sottana della donna, si spinge avanti. La sua faccia è una faccia di pesce, scolorita, cogli occhi obliqui; la faccia della donna è piccola e quadrata, la faccia di una che tira sul prezzo. La ragazzina, storcendo la bocca, alza gli occhi verso la donna per vedere se è il momento di piangere; la donna, rassettandosi un cappelluccio schiacciato, si affretta verso la cappella del cimitero (5).

Istruzioni per l’uso. Cerchiamo nella nostra memoria un avvenimento non importante di per sé ma che ci sia rimasto impresso. Proviamo a raccontarlo con il minimo di parole possibile e in termini puramente descrittivi (senza, per così dire, metterci del nostro). Forse lì c’è (può esserci) un’epifania.

Un viaggio in un luogo vicinissimo

Un giorno lo scrittore italiano Gianni Celati si è munito pure lui di un quaderno e ha percorso a piedi, in pullman e in autostop, un tragitto che snodandosi lungo il Po porta fino alla sua foce. Si pensa sempre che solo i viaggi esotici siano interessanti; invece un viaggio in territori vicini può riservarci sorprese anche più grandi.

Raggiunto San Daniele Po, passando accanto a suinifici, macelli di polli, allevamenti industriali di bovini. Sbarcato nel bar centrale ho telefonato agli amici dell’insegnante di matematica, per dire che arrivo presto. Ma sono solo le quattro e mezza, ho voglia di starmene per conto mio.

La piazzetta con gli alberelli stenti e un distributore di benzina chiuso, sulla destra il Cinema Splendor in una malmessa palazzina con facciata a gradini (aperto il giovedì), e l’altro bar proprio attaccato sulla sinistra con ragazzi stravaccati nelle sedie all’aperto. Accanto a me una ragazza punk molto grassa, jeans stracciati e giubbetti di cuoio, beve Cocacola in lattina; un vecchio contadino dalle guance rubizze la guarda; un bambino anche lui molto grasso si succhia in solitudine un enorme gelato; il barista, giovane, baffuto, arriva con scritta sulla maglietta: From the East Coast of Amerika.

Intorno c’è un grande sonno che avvolge quartieri di villette a forma di modellini, una chiesa falso-gotica forse costruita in epoca fascista, le due strade dove passano poche macchine. C’è sonno nelle rogge e sulle sponde invase dalle ortiche, negli alberi avvolti dal rampicante convolvolo, in un cimitero di morti dimenticati che ho visto passando, e anche nelle decalcomanie attaccate ai vetri di questo bar, con le facce di Marilyn Monroe, Jim Morrison, David Bowie.

Ho sfogliato un giornale locale abbandonato sul tavolo: non riporta nessuna notizia, parla solo di nascite, morti, battesimi, matrimoni, bandi d’asta. Mi è venuto da voltarmi per vedere che tipi sono i lettori di quel giornale, ed era gente che sta quieta in un bar di campagna aspettando che passi il tempo (6).

Istruzioni per l’uso. 1) Ha scritto Celati: "un’intensa osservazione del mondo esterno ci rende meno apatici (più pazzi o più savi, più allegri o più disperati)". Ecco la formula giusta: osservare intensamente il mondo; non distogliere gli occhi. Se la noia o la distrazione non ce lo impediscono, noi vediamo davvero le cose e i nostri simili, e l’impressione sarà volta a volta di fascinazione o repulsione, mai di indifferenza. 2) Celati ha adottato una forma di descrizione più articolata di quella di Perec. Il suo è infatti un discorso ampio e organizzato. Inoltre non rinuncia ad una forma sia pur minima di interpretazione del reale; non rinuncia cioè a far trapelare i suoi sentimenti di osservatore coinvolto dalle cose che osserva.

Esercizi. Prendetevi qualche giorno di vacanza e andate in luoghi vicini a casa vostra, ma che non siano però proprio casa vostra. Andate a piedi, in bicicletta, in corriera; entrate nei bar, sostate nelle piazze, gettate uno sguardo dentro ai giardini, ai cortili, ai cimiteri; ascoltate ciò di cui la gente parla, ma soprattutto cercate di osservare tutto con occhi estranei: con gli occhi di uno straniero; o, se preferite, con gli occhi di uno che torna a casa dopo anni di lontananza. Astenetevi però dal giudizio. Riconoscete e abbandonate i pregiudizi (non i sentimenti, che però devono essere trattenuti, appena accennati). E guardate, guardate...

Un viaggio dentro la propria stanza

Gli oggetti che abbiamo in casa a noi racchiudono una sostanza indefinibile fatta di tempo passato, ricordi, immagini che agli oggetti si sono appiccicate. Per mezzo dei nostri oggetti possiamo allora raccontare il romanzo (o i romanzi) della nostra vita. Ecco come ci ha provato lo scrittore settecentesco Xavier de Maistre, il cui romanzo si intitola programmaticamente: Viaggio intorno alla mia stanza:

Ho iniziato e portato a termine un viaggio di quarantadue giorni in giro per la mia stanza. Le interessanti osservazioni che ho fatto, e il piacere continuo provato lungo il cammino, mi facevano desiderare di renderlo pubblico; la certezza d’essere utile mi ci ha spinto. Provo un sentimento di soddisfazione inesprimibile quando penso all’infinito numero d’infelici ai quali offro un rimedio sicuro contro la noia, e un lenitivo per i mali che devono sopportare. Il piacere che si gode viaggiando nella propria stanza è al riparo dall’inquieta gelosia degli uomini; è indipendente dalla fortuna. [...].

Quando viaggio nella mia stanza, raramente percorro una linea retta: vado dal tavolo verso un quadro posto in un angolo; da là mi muovo in senso obliquo per andare alla porta; ma, benché‚ partendo la mia intenzione sia proprio quella di recarmici se lungo il percorso incontro la poltrona, non faccio complimenti, e mi ci accomodo all’istante. - Una poltrona è davvero un arredo magnifico; in particolare è della massima utilità per ogni uomo meditativo. Nelle lunghe serate invernali, è qualche volta dolce, e sempre prudente distendervisi mollemente, lontano dal chiasso delle riunioni numerose. - Un buon fuoco, qualche libro, delle penne; quante risorse contro la noia! E ancora che piacere dimenticare libri e penne per attizzare il fuoco, abbandonandosi a qualche dolce meditazione, o buttando giù qualche verso per rallegrare gli amici! Le ore scivolano allora su di voi e cadono in silenzio nell’eternità, senza farvi sentire il loro triste passaggio.

Dopo la poltrona, procedendo verso il nord, si scopre il letto, che è posto in fondo alla stanza, e crea la più gradevole delle prospettive. E’ disposto nel modo più felice: i primi raggi del sole vengono a trastullarsi sulle cortine. - Nelle belle giornate d’estate, li vedo avanzare lungo la parete bianca, man mano che s’alza il sole vengono a trastullarsi sulle cortine.- Nelle belle giornate d’estate, li vedo avanzare lungo la parete bianca, man mano che s’alza il sole: gli olmi che stanno davanti alla mia finestra li rifrangono in mille modi, e li fanno ondeggiare sul mio letto color di rosa e bianco, che diffonde dappertutto una luce incantevole nata dal loro riverbero. - Sento il garrire confuso delle rondini che si sono impossessate del tetto di casa, il cinguettio degli altri uccelli che abitano negli olmi: allora mille idee ridenti colmano il mio spirito; e, nell’universo intero, nessuno ha un risveglio altrettanto piacevole e tranquillo del mio (7).

Istruzioni per l’uso. De Maistre ottiene l’effetto di "dilatare" lo spazio della sua stanza, ricavandone in continuazione materia descrittiva e narrativa. Come ha fatto? 1) Innanzitutto ha diviso il viaggio in tappe. Non esiste viaggio senza tappe: le tappe scandiscono lo spazio, il tempo, i ritmi narrativi e descrittivi. 2) Ha diviso lo spazio in regioni, e ogni regione in parti più piccole: la moltiplicazione delle divisioni permette di isolare gli oggetti e i luoghi, così da dedicare a ciascuno un’adeguata quota di attenzione. 3) Ogni oggetto che compare nella narrazione è carico di tempo trascorso, di sentimenti e immagini. De Maistre non rinuncia a nulla, spreme i suoi oggetti fino a cavarne tutta la materia interna. 4) De Maistre sa benissimo che il viaggio dentro la stanza è, in realtà, un semplice pretesto, una struttura per raccontare qualcosa. Pertanto è sempre pronto alla divagazione e non si fa ossessionare dall’angustia dello spazio e dall’incombere degli oggetti.

Esercizi. Ecco un programma di viaggio proposto dalla nostra agenzia e suddiviso per tappe: 1) la stanza da letto, cioè il risveglio, ma anche la notte, dunque un luogo di sogno, d’amore, d’ozio; 2) il bagno, luogo di intimità, di segreti, di concentrazione, di letture; 3) la cucina e cioè il piacere del cibo, il confronto-scontro con gli altri familiari, i muri impregnati di odori; 4) il salotto e cioè le conversazioni, gli incontri con gli amici, le feste, la grande e comoda poltrona, i tappeti morbidi, i quadri appesi alle pareti; continuate da voi il vostro viaggio avventurandovi (eventualmente consultate Avventure nel mondo) fino alla cantina o alla soffitta.

Cose che fanno paura

L’osservazione accurata può svelare il lato inquietante degli oggetti. Gli scrittori del genere cosiddetto nero (o noir, o thriller...) sono maestri in questo tipo di descrizioni. Il fondatore e maestro di questo genere è Edgar Allan Poe. Ecco una classica descrizione "de paura" dal suo racconto La caduta della casa degli Usher. Il protagonista si è recato in visita ad un amico. Arriva davanti alla casa:

Non so come, ma appena la ebbi guardata una sensazione di insopportabile tristezza mi prese l’anima... Guardavo la scena che mi stava davanti: e lo spettacolo della casa e del paesaggio all’intorno, le fredde mura, le finestre come vuote orbite, i radi filari di giunchi e alcuni bianchi tronchi rinsecchiti, mi davano un avvilimento estremo... Era un gelo nel cuore; e una oppressione, un malessere, e nella mente un invincibile orrore, che la rendeva inerte ad ogni stimolo della fantasia. Che cosa, dunque, mi soffermai a pensare, rendeva tanto penosa la contemplazione della casa degli Usher? Ma rimaneva un mistero insolubile... condussi il cavallo sulla riva scoscesa d’un lugubre stagno d’acque morte che si stendeva, nel suo nero luccicore presso la dimora; e guardai, ma ne ebbi un tremito ancora più profondo; guardai, riflesse, capovolte, le immagini dei giunchi di cenere, dei tronchi sinistri e delle finestre simili ad occhi vuoti... quando sollevai di nuovo lo sguardo dal riflesso nello stagno verso la casa, subii una bizzarra immaginazione, così ridicola, davvero, che ne parlo soltanto per mostrar l’impeto delle sensazioni che m’opprimevano. La mia fantasia era così eccitata che credetti di notare intorno alla proprietà un’atmosfera particolare, "sua" e degli immediati dintorni, un’atmosfera diversa da quella del cielo, ma che esalavano gli alberi intristiti, e la muraglia grigia e la silenziosa palude, una vaporosità pestilenziale e mistica, appena visibile ma fosca, inerte e color di piombo.

Respingendo da me quel che doveva essere stato un sogno, cercai di esaminare meglio l’aspetto reale dell’edificio. Carattere principale ne pareva un’eccessiva antichità. I secoli l’avevano profondamente scolorito, e minute fungosità ricoprivano la facciata, fino al tetto, come un delicato intreccio di tessuto. Ma tutto questo non aveva provocato deperimenti straordinari; la fabbrica era intatta, e c’era una contraddizione violenta fra il consistere ancora perfetto delle sue parti e il deperimento delle singole pietre, che mi faceva pensare all’integrità speciosa di qualche vecchia tavola di legno rimasta lungamente a marcire in una cantina dimenticata. Ma, a parte questa corrosione di tutta la superficie, la casa pareva ancora abbastanza salda; forse l’occhio d’un puntuale osservatore avrebbe scoperto una quasi impercettibile fessura, che, partendo dall’alto della facciata, percorreva il muro a zig-zag perdendosi infine nelle acque malsane della palude (8).

Istruzioni per l’uso. 1) L’effetto inquietante deriva da tanti piccoli indizi (la corrosione delle pietre, la "quasi impercettibile fessura", ecc.) che accumulandosi arrivano a un apice di tensione: e a questo punto il lettore si aspetta l’evento orribile (che puntualmente arriva). 2) Nella Casa degli Usher è come se assistessimo ad una lenta metamorfosi: un ambiente familiare assume progressivamente tratti inquietanti. O, per usare un’altra analogia: è come, con dissolvenza incrociata, ad una immagine se ne sostituisse un’altra. Nel caso di Poe (e in moltissimi altri casi) questa metamorfosi è una antropomorfizzazione: la casa si sta animando (e contemporaneamente decomponendo) e diventa simile ad un morto-vivente. E il paesaggio circostante partecipa della stessa metamorfosi. 3) E’ molto importante mostrare la resistenza del soggetto che assiste alla scena, i suoi pensieri pieni di buon senso, la sua incredulità davanti alla manifestazione del fantastico. Questo procedimento rende molto più credibile l’avvento dell’incredibile.

Esercizi. Prova a descrivere come luoghi inquietanti: una cava abbandonata (è la porta dell’inferno? il ventre di un grande animale?...), l’interno di un ascensore (perché non si arriva mai? non resteremo mica chiusi dentro? chi è che lo governa?...), una piazza vuota (dove sono finiti tutti? c’è stata una strage? la peste?...). Descrivi come oggetti inquietanti: una caffettiera, un cavallino a dondolo (questo è un classico dell’horror), una sedia a sdraio, un panettone farcito di cioccolato.

Quando il pane diventa le Ande

Lo scrittore francese Francis Ponge ha passato tutta la vita a scrivere brevi poesie in prosa dedicate agli oggetti più semplici e quotidiani. Il suo libro più noto si intitola addirittura: Il partito preso delle cose. Leggiamo che cosa sa fare Ponge con il pane e nient’altro:

Il pane. La superficie del pane è meravigliosa prima di tutto per l’impressione quasi panoramica che dà: come se si avesse a disposizione, sotto mano, le Alpi, il Tauro o la Cordigliera delle Ande.

Così dunque una massa amorfa in stato di eruzione fu introdotta per noi nel forno stellare, dove indurendo si è foggiata in valli, creste, ondulazioni, crepe... E tutti quei piani subito così nettamente articolati, quelle lastre sottili dove la luce allunga con cura i suoi fuochi, - senza uno sguardo per l’ignobile mollezza sottostante.

Quel flaccido e freddo sottosuolo che chiamano mollica ha il tessuto simile a quello delle spugne: foglie o fiori vi stanno come sorelle siamesi saldate gomito a gomito tutte assieme. Quando il pane si rafferma i fiori appassiscono e si restringono: si staccano allora gli uni dagli altri, e la massa si fa friabile...

Ma rompiamola: nella nostra bocca infatti il pane deve essere piuttosto oggetto di consumo che di riverenza (9).

Istruzioni per l’uso. Ponge ha dichiarato che le sue poesie costituirebbero un nuovo tipo di testo "che si situa più o meno tra due generi: la definizione e la descrizione; prendendo a prestito dal primo l’infallibilità, l’indubitabilità, anche la brevità, dal secondo il rispetto dell’aspetto sensoriale delle cose". Vediamo ora meglio come funziona il suo metodo. Ponge isola l’oggetto dal contesto, lo mette in primo piano, lo osserva con la lente d’ingrandimento. Poi lo scruta come fosse un oggetto alieno, misterioso; provvisoriamente si dimentica di ciò a cui l’oggetto serve. Quando comincia a scrivere, scrive quasi un indovinello, una descrizione enigmistica. Paragona l’oggetto a un altro oggetto (nel caso del pane, alle montagne) e poi prosegue la descrizione in maniera equivoca, evidenziando tutto ciò che lega i due oggetti. Notiamo che l’accostamento dei due oggetti può essere del tutto arbitrario. Infine Ponge introduce, ma con discrezione, alcune frasi che riguardano gli aspetti più normalmente simbolici dell’oggetto, e i sensi traslati della parola con cui lo nominiamo.

Esercizi. 1) Descrivete una mela rubiconda come se fosse una modella che si pavoneggia difronte a voi, il ritrattista. 2) Descrivete una sigaretta come un oggetto destinato a una lunga, dolorosa agonia. 3) Descrivete una caffettiera come un oggetto provvisto di una prodigiosa sessualità, capace di ripetute eiaculazioni. 4) Descrivete una lavatrice come un apparato digerente, che prima mangia i vestiti e poi se ne libera.

Come cucinare un uovo sodo

In una narrazione gli oggetti non vengono solo descritti: i personaggi li adoperano, ci fanno delle cose, interagiscono. Per imparare come funziona l’interazione personaggi/oggetti, niente è meglio che dedicarsi alle istruzioni per l’uso, cioè a quei testi il cui scopo è di spiegarci come interagire con gli oggetti. Naturalmente vi proporremo delle istruzioni per l’uso divertenti e paradossali. Cominciamo con questa ricetta per cucinare un uovo sodo, scritta da Jonesco:

Chiedete un uovo sodo al vostro lattaio. Pregatelo di sperarlo, cioè di guardarlo contro luce, per controllarne la freschezza. Di solito l’uovo sarà di gallina... Ritornate a casa cercando di mantenere l’uovo intatto. E’ consigliabile preparare l’uovo in cucina, su un fornello. Attenzione! non mettere l’uovo direttamente sul fornello, ma dentro una casseruola. In precedenza versare nella casseruola una quantità d’acqua sufficiente a coprire l’uovo... Potrete ottenere l’acqua anche girando la chiavetta collocata, nella maggioranza dei casi, sopra l’acquaio; sul fuoco dovrete mettere la casseruola contenente l’acqua nella quale è immerso l’uovo. Se l’acqua è fredda potrete farla scaldare dopo aver acceso il fuoco del fornello. Si accende il fornello mediante un fiammifero estratto da una apposita scatoletta, avendo cura di strofinare uno dei due lati ricoperti di fosforo rosso. Poi porterete il fiammifero al di sopra degli orifizi del bruciatore, dopo aver fatto ruotare i bottoni che consentono al gas di fluire dentro ai tubi e di arrivare agli orifizi attraverso i quali esce sotto forma di fiammella... Aspettare che l’acqua giunga ad ebollizione. Poi immergervi l’uovo. Potete toglierlo dieci minuti più tardi mediante un cucchiaio onde evitare la scottatura delle dita. Mettere l’uovo sotto l’acqua fresca allo stesso fine. Quindi asportare il guscio ecc. ecc (10).

Istruzioni per l’uso. Jonesco ci presenta un personaggio del tutto inetto (se non fosse inetto non gli servirebbero tante istruzioni) mentre, per contrasto, l’uovo appare estremamente sicuro di sé. L’effetto comico è raggiunto grazie all’uso pedante della forma istruzioni per l’uso. Ogni azioni è scomposta in sotto-azioni, e così via; si raccomanda estrema attenzione e consapevolezza per azioni che chiunque di noi compie automaticamente. Al di là dell’effetto divertente, qui viene raffigurata una relazione abbastanza malsana tra il personaggio e l’oggetto.

Istruzioni per l’uso. Scrivete le istruzioni per comporre il numero del telefono, o per prendere l’ascensore (soffermatevi in particolare sull’argomento: "Attività che si possono intraprendere mentre si è in attesa del collegamento o si aspetta che l’ascensore arrivi").

Descrizioni di descrizioni

Dipinti animati

Se un quadro è una descrizione (di un luogo o oggetto reale, oppure di un’immagine mentale), la descrizione di un quadro sarà un curioso esercizio: la descrizione di una descrizione. Così il grande critico d’arte Roberto Longhi descriveva alcune tele di Caravaggio:

La Crocefissione di San Pietro. Le cose accadono con un’evidenza incolpevole dove ognuno attende all’opera sua. La desolazione insomma è nel fatto stesso su cui sta allo spettatore di giudicare. Sulle rocce brune che saranno (con quella luce negli occhi) l’ultimo ricordo del martire, presso la cava di pozzolana o la calcara di San Pietro in Montorio, il pittore, impassibile, "gira" la fatica dei serventi (il cui gesto, è doveroso riconoscerlo, è di operai che si affaticano e non di carnefici che incrudeliscano nella bisogna), tutti in giubboni e brache frusti, baveri sgualciti (e pur rifiorenti nel lume), piedi fangosi e con pochi attrezzi. E riprende da vicino il santo, forse notissimo modello buono di via Margutta, che, già infitto alla croce, ci guarda calmo, cosciente come un moderno eroe laico; mentre il mantello bigioazzurro va scivolando in angolo sotto l’ombra del badile brunito, accanto al pietrone friabile e caldo come un pane ancora impolverato dalla cenere del forno (11).

La morte della vergine. In realtà il quadro sembra raccontare in che modo, entro la stanzaccia d’affitto, spartita alla meglio dal tendone sanguigno che penzola dalla volta a travicelli e senz’altre suppellettili che una branda, una scranna e la bacinella per le pezzuole bagnate, si lamenti la morte di una popolana del rione. Una scena, quasi, da asilo notturno. Ma l’angoscia di questi astanti sembra prender senso e autorità infinita dal chiarore devastante che, irrompendo da sinistra nella cerchia di colori già stranamente fiammanti e pur combattendo con tutte le specie dell’ombra, sosta per un attimo sul viso arrovesciato della madonna morta, sulle calvizie lunate, sui colli pulsanti, sulle mani disfatte degli apostoli; fende di traverso il viso dolente di Giovanni; fa della Maddalena seduta in pianto un solo massello luminoso; della sua mano sul ginocchio un grumo solo di luce rappresa (12).

Istruzioni per l’uso. Soffermiamoci su alcuni trucchi messi in atto da Longhi per ‘rendere vivo’ il quadro. 1) Lo statico è reso dinamico, teatrale, drammatico, in qualche occasione perfino cinematografico. 2) Attraverso una specie di dissolvenza incrociata alla scena sacra viene sovrapposta una scena profana (per es.: alla Madonna la popolana del rione, ecc.). 3) L’antico viene reso attuale con il ricorso all’anacronismo e cioè con riferimento a situazioni e comportamenti contemporanei. 3) Le cose, gli oggetti vengono nominati, individuati a uno a uno, e diventano protagonisti essi stessi della scena. 4) Infine la luce; la luce che diventa colore assume un forza drammatica; si può addirittura dire che è lei la vera protagonista del dramma.

Raccontare una storia a partire da un quadro

Italo Calvino a sua volta ha tentato questa operazione: entrare in un quadro, muoversi dentro i suoi paesaggi, parlare con i personaggi dipinti. L’ha fatto prendendo spunto da una serie di dipinti di Giorgio De Chirico che ben si prestavano con la loro enigmaticità a questa esplorazione:

Non so come sono arrivato qui. [...]. La verità è presto detta: da quando sono entrato in questa città, la città è entrata in me; dentro di me non c’è posto per nient’altro. Da allora il mio sguardo scorre su superfici levigate, sgombre, che il sole fa dorate, l’ombra nere; ma a dire il vero io non so se il sole ci sia‚ dove sia, perduto dietro lo spessore d’un cielo verde-bottiglia, o sfoggiando la sua giovinezza mattutina in nuvole leggere e bianche [...]. Piazze, vie, spianate s’estendono davanti a me ostentando un’apparente accessibilità, come a dire: siamo lisce e sgombre, percorretemi. [...]. Gli spazi vuoti mi paiono ardui da attraversare; preferisco strisciare dietro gli spigoli degli edifici, tra i pilastri dei portici, senza avventurarmi allo scoperto; tanto più che non saprei dove dirigermi. A chi potrei chiedere la strada? A quei due passanti laggiù in fondo? Mi sembrano lontani, troppo lontani; anche se adesso sono fermi e sembra che parlino tra loro, prima che io sia arrivato là certo si saranno allontanati. Potrei invece interrogare una statua? Se ne incontrano molte e paiono più facilmente raggiungibili. Ma quello che le statue insegnano, senza che io lo chieda, è una linea di condotta: devi stare immobile, lasciare che lo spazio circoli intorno a te; se ti situi nel modo giusto nello spazio, il tempo non avrà più presa su di te, la clessidra resterà sospesa. [...]. In cima alle torri sventolano bandiere appuntite, stendardi, orifiamme d’ogni colore: se è per una festa, è soltanto lassù che essa viene celebrata; qua sotto tutto tace. O sarà per indicare ai naviganti da che parte tira il vento? Ma quaggiù non vola neanche un granello di polvere; solo l’alto cielo è trascinato dalle correnti. D’altronde non si vede anima viva sulle torri, dalla base alla vetta.

Da ogni parte mi giri, continuo a vedere quei due signori laggiù in fondo. Saranno sempre gli stessi, o in ogni via, in ogni piazza, deserte, c’è un passante che incontra un altro passante e si fermano un momento a conversare? E cosa si staranno dicendo? Posso solo fare delle congetture: non arriveranno mai a portata del mio orecchio.

"La città - dice uno - non è disabitata, dato che ci siamo noi due."

"La città - dice l’altro - è estesa nello spazio, dato che siamo visti da lontano." [...].

A questo punto, non sono più tanto sicuro che quei due conversatori stiano conversando, che quei due passeggiatori stiano passeggiando, che quei due abitanti stiano abitando. Forse essi vogliono solo dimostrare che se la città è silenziosa, immobile, lo è proprio perché qualcuno possa abitarvi, passeggiarvi, conversarvi. Qualcuno. Chi? Non io, non loro. Chi è l’ospite ideale che la città attende? [...].: il pensiero.

Questa città è fatta per accogliere il pensiero, per contenerlo e trattenerlo senza che si senta costretto. Qui il pensiero trova il suo spazio, e il suo tempo, un tempo sospeso, come d’invito, d’attesa. Qui il pensiero sente d’essere sul punto d’affacciarsi all’orizzonte della mente, e può prolungare questo stato d’incertezza aurorale e rimandare il momento in cui sarà obbligato a precisarsi, a diventare il pensiero di qualcosa. [...]. La città del pensiero non suggerisce pensieri d’una specie o d’un’altra, non obbliga a riflettere sulle apparizioni e gli incontri che in essa occorrono, o a indagare i suoi misteri. Luce, ombra, facciate, monumenti, esseri, oggetti vi sono disposti in modo da distogliere la mente da emozioni e passioni e condizionamenti esteriori. [...]. Certo che in queste piazze puoi incontrare i due Dioscuri, nudi, con una lancia, o Edipo, cieco col bastone. [...]. Puoi incontrare figure ieratiche, rigide come manichini, con teste a clava o a uovo, senza volto: se nei loro corpi di legno o pietra esse incarnano là le nostre inquietudini, ciò vuol dire che l’inquietudine è ormai tutta contenuta in loro, e in noi non resta che una calma assorta e melanconica [...]. Queste figure prendono su di sé le nostre inquietudini fino a renderle strane ed estranee ai nostri occhi; perciò l’ispirazione che traiamo da loro è silenzio e quiete, e quando le incontriamo nelle piazze della città le salutiamo come le nostre muse. [...]. Tutte le prospettive hanno un limite: un muro o un parapetto sbarra in fondo le vie: dietro passa un treno. Qualcosa sempre indica l’altrove: il treno con la nuvola di fumo bianca è come la vela bianca della nave sul mare oscuro. Queste immagini di movimento a me sembra non facciano che confermare una cosa: io sono qui, fermo, immobile, e ci resto. [...]. Mi sento chiuso in questo labirinto di vie e di piazze, continuo a ripassare per gli stessi portici, a ruotare intorno alle stesse torri, a scontrarmi con gli stessi muri di mattoni. Cerco altri spazi, dove regni un altro ordine, un’altra luce. [...]. Alle volte penso che andando avanti sempre più nel cammino che questa città mi indica, arriverò a ricomporre qualcosa che s’è spezzato; alle volte invece mi pare che sia stata consumata una separazione definitiva. Ma separazione tra cosa e cosa? Questo non lo so.

Certe mattine un nitrito prorompe altissimo, vibra nell’aria; un altro nitrito gli risponde, e un altro, un altro, ora sembrano allontanarsi, ora farsi più vicini, insieme con un gran battito di zoccoli. Da tempo tutti i cavalli sono fuggiti dalla città e s’aggirano sulle spiagge deserte. C’è chi li ha visti galoppare sulla riva del mare, con le criniere e le code fluenti che volano al vento, il pelo lucido sulle forti groppe. Non so perché‚ questi nitriti mi turbano. Non so perché‚ mi senta dall’improvviso desiderio di raggiungerli e poi trattenuto come da paura. Pare che i cavalli siano tornati selvaggi, dotati d’una forza folle che sbriciola le rovine dei templi. Nessuno potrebbe più sottometterli alle redini e alla sella. Quando s’imbizzarriscono il rimbombo del loro scalpitare risuona come un terremoto che fa tremare la città (13).

Istruzioni per l’uso. La tecnica, per Calvino come per Longhi, consiste principalmente nel trattare il quadro come un teatro: solo che Longhi lo guarda con l’occhio, per così dire, del coreografo e del tecnico delle luci; Calvino con l’occhio dell’autore del testo che si recita, che ha bisogno di un paesaggio, sì, di una scenografia, ma anche di una vicenda. Esiste poi, in questo pezzo di Calvino, un puntiglio: quello di usare tutti gli elementi che compaiono nel quadro, nessuno escluso. Perciò la "descrizione" del quadro diventa un complicato gioco narrativo pieno di vincoli e di obblighi. Tutto deve trovare un senso, incastrarsi nella narrazione. E’ un po’ come se volessimo, con i pezzi di un puzzle, costruire un altro puzzle differente.

Esercizi. Scegliti un quadro (uno che ti piace). 1) Entraci dentro e guardati attorno, esplora lo spazio bidimensionale, oltrepassa le soglie, scavalca i muri, interpella i passanti, immagina di parlarci, immagina di ascoltare ciò che si dicono tra loro. 2) Domanda, interroga, fa’ supposizioni: consìderati un viaggatore in un mondo incantato del quale ignori la storia, pieno di oggetti dei quali ignori il senso e l’utilità. Immagine di essere capitato in un mondo alternativo, in un mondo alla rovescia, all’altro mondo. 3) Fa’ un tentativo con un quadro astratto. Immaginalo come una carta geografica, o come la raffigurazione di un processo mentale, o come un software (hai visto Tron? e Nirvana?), o come il tracciato di uno strumento (sismografo, elettroencefalogramma...).

Bibliografia

1) Perec, Tentativo di esaurire un luogo parigino, Baskerville, Bologna 1989, tra. Eileen Romano, pp. 33-35.

2) Joyce, Epifanie, in Poesie e prose, p. 195, Mondadori, Milano 1992.

3) Ibid., p. 189.

4) Ibid., p. 225.

5) Gianni Celati, Verso la foce, Feltrinelli, Milano 1989, pp. 30-31.

6) Xavier de Maistre, Viaggio intorno alla mia stanza, Guida, Napoli 1987, pp. 25-29, trad. R. M. Losito.

7) E. A. Poe, Opere scelte, a cura di Giorgio Manganelli, Mondadori, Milano 1977, pp. 263-266.

8) Francis Ponge, Il partito preso delle cose, Einaudi, Torino 1979, p. 33, trad. J. Risset.

9) Jonesco, Teatro 2, trad. it. G. Morteo, Torino, Einaudi, 1969.

10) R. Longhi, Caravaggio, Editori Riuniti, Roma 1982, p. 56.

11) ibid., p. 63.

12) In un numero della rivista F. M. R.

di Stefano Brugnolo e Giulio Mozzi