Index ECONOMIA - Giugno 1997

Una "bicamerale" per

l’immagine Italia

Felice Lioy, direttore generale dell’Upa, propone un "coordinamento nazionale" con il supporto della presidenza del Consiglio per rilanciare all’estero uno stile e una tradizione di qualità dei prodotti. In un Paese che, dice, oggi spende in pubblicità la stessa cifra della Corea del Sud

Anche l’immagine Italia, da un punto di vista promozionale, ha bisogno della sua "Bicamerale". Perché in fondo è questa l’idea che serpeggia da qualche tempo tra pubblicitari, rappresentanti delle imprese ed esperti di comunicazione: unire le forze (governo compreso) per rifare il look ad una nazione che oltre confine è vista ancora come una specie di grande incognita, inaffidabile economicamente, incomprensibile nella burocrazia e paralizzata dalle beghe politiche.

"I francesi si sono fatti un nome rispettabile con vini, champagne e formaggi – spiega Felice Lioy, direttore generale dell’Upa (Utenti pubblicità associati) – Tanto che nessuno si sognerebbe di comprare uno champagne fatto in un altro Paese, anche se costasse tre volte di meno. Bene, questo è quello che dobbiamo fare anche noi".

Facile a dirsi. Ma come imporre uno stile, un marchio, una tradizione che non c’è?

"Con un coordinamento nazionale – continua Lioy – Un insieme di organismi che mobiliti le risorse. Oggi ci sono tante realtà diverse che vanno organizzate. Insomma dovrebbe essere un grande progetto, magari con l’avvallo della presidenza del Consiglio".

Lioy comunque della importanza della pubblicità (anche nel senso di comunicazione fra imprese e di marketing) è convinto: "Bisogna creare un marchio, un’immagine, una nazione. E’ vero che molte aziende venete, che non investono in pubblicità, dicono che hanno superato grandi difficoltà per avere successo. Ma oggi è impossibile prescindere dalla pubblicità. Non mi riferisco a quella televisiva, lì ce n’è anche troppa. Ma a tutto il campo della promozione, della presentazione, degli sponsor. Qui in Italia ci sono interi settori assenti: banche, servizi, trasporti. La pubblicità che fanno è pochissima, molto meno che negli altri Paesi. Esempio: l’Italia spende in pubblicità come la Corea del Sud. Dico: la Corea del Sud. E come la Cina, che avrà anche un miliardo di abitanti ma come economia non è neanche paragonabile".

Perché alcuni studi recenti (Eurispes) dicono che non è tuto rose e fiori, che in tv la pubblicità non è poi così seguita?

"Perché sono invidiosi, potrei citare altrettanti studi che provano il contrario. Prendiamo l’auditel (il sistema di rilevamento dei contatti tv attraverso famiglie campione), di cui l’Upa è socia con altri partner: ogni 30 secondi misura le presenze, e sono veramente pochi quelli che non seguono gli spot".

Ci sono i grandi progetti, le grandi aziende. Ma anche le piccole imprese, che hanno altre esigenze. Come può rientrare in un discorso di strategia pubblicitaria chi produce macchinari industriali, utensilerie, componentistica?

"Sul mercato si resta solo attraverso la comunicazione. Anche quella tra imprese. E questo è uno dei settori della pubblicità. Anche per il Veneto che di fronte al mercato aperto deve farsi una cultura pubblicitaria, in senso generale. Certo la piccola impresa deve avere ben chiari gli obbiettivi che deve raggiungere. E non avere paura di investire, per i primi tempi, anche con ritorni modesti".

Insomma una scommessa sul futuro. Come Internet?

"Internet, a mio parere, ha una funzione nel business to business, nelle aziende che parlano con altre aziende. Molte ditte producono per altre ditte, ma non sanno come comunicare. E Internet su questo è una soluzione. Poi è anche mezzo di informazione sui prodotti e in particolare sui servizi".