Index Cultura - Luglio 1997

Aiutatemi a chiedere aiuto

Il primo problema che deve superare l'anoressica è quello di riconoscere che è malata e farsi capire da chi le sta vicino. Poi deve prepararsi ad una terapia lunga e faticosa, fatta di dialoghi con lo psicologo e di sostegno farmacologico. Perchè sconforto e ricadute sono un pericolo costante

Come poter curare l’anoressia, come riuscire a debellare questa patologia quando in Italia neppure negli ospedali c’è un reparto dedicato ai disturbi del comportamento alimentare ?

La cosa sconcertante è che non mancano solo strutture ma molti medici e psicologi, con le dovute eccezioni, risulta impreparato ad affrontare adeguatamente il fenomeno giacchè, lo ripetiamo, la chiave dell’anoressia non è stata ancora trovata.

 

Il momento più importante e delicato è proprio l’incapacità di riconoscere questa malattia come una malattia, e quindi molto spesso l’ammalato non riesce a causa di questa mancanza di consapevolezza a chiedere aiuto. Vi è un sentimento di inadeguatezza che imprigiona letteralmente l’anoressica o la bulimica e che difficilmente si può tradurre in una formale domanda di aiuto. Senza dimenticare che quando si decide di guarire i momenti di squilibrio restano e la rieducazione all’accettazione della propria immagine oltre che ad una adeguata alimentazione è un cammino lungo e faticoso, pieno di ricadute.

Sino ad ora si sono sviluppati due fronti di intervento: uno che possiamo definire psichiatrico ed uno psicologico. Per semplificare, anche se siamo al limite della banalizzazione, l’intervento psichiatrico prevede l’utilizzo di psicofarmaci mentre quello psicologico si avvale principalmente del colloquio.

Scegliere tra queste due prospettive non è certo facile, ma il problema non è questo.

Il problema principale è riuscire a formulare una richiesta di aiuto in modo da poter permettere ai medici di intervenire in maniera adeguata.

E’ dunque fondamentale che i medici comincino ad avvalersi degli psicologi e anziché scannarsi vicendevolmente in dibattiti televisivi, decidano di collaborare.

Infatti il colloquio di cui si avvale lo psicologo non può bastare da solo a ristabilire un equilibrio non solo mentale ma anche fisico irrimediabilmente compromesso, senza dimenticare che ritenere che la psiche ed il soma siano due universi distinti è un’aggravante dell’anoressia. Visto che la malattia stessa è espressione di una scissione tra corpo e mente.

Ma se la terapia viene svolta da un’équipe di medici e di psicologi forse le possibilità di guarigione aumentano.

La terapia deve dunque essere articolata in un momento psicologico sia individuale che di gruppo in cui si tenta di formulare la domanda di aiuto, o meglio, dove si tenta di articolarla in un linguaggio comprensibile a tutti e non solo agli anoressici. Poi un momento di rieducazione alimentare preceduto da accertamenti minuziosi; quindi l’intervento di un internista e di un dietologo ed infine un ulteriore momento di intervento psichiatrico dato che le ricadute sono numerose. Per questo molto spesso è di aiuto tentare di uscire da certi meccanismi tramite psicofarmaci, sempre comunque assunti sotto strettissimo controllo medico.

Tutto ciò per aiutare l’anoressica a non colpevolizzarsi ed a comprendere che il corpo ad un certo punto, stremato da tutti gli squilibri cui è sottoposto, comincerà a difendersi e a non rispondere più a determinate direttive: scattano allora alcuni meccanismi cerebrali che necessitano di un intervento farmacologico.

Ora questa prospettiva di interventi sinergici non è facile da realizzare anche perché vi è la necessità di seguire costantemente un malato per tempi molto lunghi, ed ha sicuramente dei costi elevati per quanto riguarda la sua attuazione. Ma già un avvicinamento tra medicina e psicologia potrebbe giovare non poco.

Roberta Paolini