Index ATTUALITA' - Luglio 1997

O’Dell, una battaglia che andava persa

Il condannato a morte adottato da mezza Italia è stato ucciso da un’iniezione letale nonostante gli appelli di migliaia di persone, compreso il Papa, Madre Teresa di Calcutta, il premier Prodi e il Parlamento europeo. Ma al di là dello sconforto, resta la certezza di una mobilitazione doverosa. Non per O’Dell, forse colpevole e comunque uguale agli altri 3122 condannati in attesa della sentenza capitale negli Usa. Ma per gli O’Dell di tutto il mondo

Adesso che Joseph O’Dell è morto, addormentato dallo Stato per tutta la vita con un cocktail di sonniferi e curaro alle 3.15 di mercoledì notte nel carcere di Greensville, in Virginia, si può decidere: era una battaglia persa quella per la sua salvezza? Forse si. Ma era una battaglia doverosa. Perché è vero che di condannati a morte negli Usa, in attesa di sedie elettriche o iniezioni letali, ce ne sono 3122. E migliaia ce ne sono in tutto il mondo: garrotati, fucilati, decapitati. E ed è anche vero che Joseph O’Dell non era proprio un sant’uomo: alle spalle aveva una vita di violenza, tra stupri e rapine. Ma lui era diventato un simbolo, magari solo per gli italiani dalla lacrima facile ma con una tradizione culturale profondamente diversa da quella della vendetta di stile americano. Il simbolo della lotta alla pena capitale.

E, vale la pena dirlo, poco importa se fosse o meno innocente, se sia stato lui a stuprare e uccidere Helen Shartner. Certo non per i familiari della vittima, che hanno tutti i diritti di stupirsi della sollevazione italiana per O’Dell. Hanno perso una figlia in modo orrendo, i sospetti su O’Dell sono pesanti e comunque loro sono cresciuti in un Paese dove è normale chiedere "una vita per una vita". Ma nessuno ha detto "O’Dell libero". Solo "vivo".

Il problema è che in un Paese molto vicino a noi, all’Europa, insomma una nazione occidentale, si considera normale la pena capitale. La stessa usata da Paesi con ben altri retroterra: leggi islamiche applicate alla lettera, storie di soprusi e dittature senza mai l’idea della democrazia, antichi odi tribali o guerre infinite. Gli Stati Uniti, che quanto a democrazia possono insegnarci quasi tutto, su questo argomento scivolano. Così magari impongono una legge come la Helm-Burton che penalizza le aziende estere che commerciano con Cuba, solo perché loro con Cuba sono in "guerra". O forse perché lo sono i milioni di cubani esuli che portano altrettanti voti. Ma se gli dici che è scorretto e illiberale rifarsi sugli altri Paesi, non cambiano idea (non tutti, lo stesso Clinton è in imbarazzo).

Così O’Dell, come gli altri 3122, non andava ucciso perché uno Stato non può uccidere e la pena capitale non è giustizia: è "l’eredità dei linciaggi del Far West", come dice il filosofo Gianni Vattimo. E O’Dell non andava ucciso perché il solo dubbio della sua innocenza deve bastare per fermare il boia. Per noi è inconcepibile che non si faccia una prova del Dna, forse basilare, solo perché sono scaduti i termini.

Adesso per ognuno dei condannati a morte si farà la grande mobilitazione come per O’Dell? No. Lui è diventato un simbolo più per caso che altro; più per l’accorato impegno della sua compagna (ora sposa-vedova) Lori Urs che ha girato l’Italia in lungo e in largo cercando di cambiare il destino del suo uomo. E forse, come ha scritto Rossana Rossanda, per "colpa" di giornali e tv che hanno sposato il caso O’Dell. Tutto vero. E allora? Un atto barbaro, come è la sentenza capitale, diventa per questo meno barbaro? O per affermare valori di civiltà non vale la pena farsi sentire? Comunque è vero: hanno ragione tutti, anche chi accusa la campagna pro O’Dell di ipocrisia. Ma ha più ragione chi la campagna l’ha fatta.