Index MULTIMEDIA - Giugno 1997



L’ hi-tech e la filosofia dell’inutile

Sembrerà anche banale, ma in realtà l’articolo di Douglas Rushkoff, pubblicato sul "Guardian On Line" in febbraio, mette in luce un aspetto del mondo dell’informatica troppo ignorato. Per capire basta una domanda: tra decine di tipi di computer, migliaia tra programmi software e prodotti hi-tech, cos’è veramente necessario? Le oramai inarrestabili piogge di offerte super tecnologiche sul mercato che promettono miracoli e comodità sono realmente un vantaggio per la nostra vita? E come distinguere l’utile dall’inutile? Ecco cosa ne pensa Rushkoff.

"Questa dovrebbe essere una R, non una P" ripetevo al povero addetto che in lotta con la minuscola penna-puntatore cercava di scrivere il mio nome e indirizzo. In genere non sono un tipo impaziente, ma starsene in piedi in un salone di una fiera di informatica ad aspettare mentre qualcuno tenta di "inserire i miei dati" in un Personal digital assistant (Pda, sono le lavagnette computerizzate che dovrebbero riconoscere e tradurre la calligrafia di chi scrive: ndr) non è il modo migliore per passare il tempo.

Uno di questi Pda, ad esempio, richiede all’utente di prendere le lettere da una lista e inserirle in una piccola finestrella. Un altro cerca di riconoscere la tua scrittura una lettera per volta. Il tutto in una lavagna di dimensioni adatte, forse, ad un popolo di Lillipuzziani.

Poi c’era chi invece di prendere semplicemente i dati della mia carta di credito, voleva a tutti i costi inserirla e scannerizzarla nella sua apparecchiatura tascabile, per poi ritrovarsi un sacco di errori nei dati registrati a causa dei limiti del sistema di riconoscimento. Ignorando la carta avrà anche salvato molti alberi, ma mi ha fatto sprecare un mucchio di tempo.

Ancora: l’arrivo del nuovo sistema operativo Windows CE della Microsoft per gli Hpc (i cosiddetti organizer, piccoli computer che stanno su una mano) è solo l’ultimo di una lunga serie di innovazioni tecnologiche il cui unico scopo è quello di vendere prodotti di cui nessuno ha in realtà bisogno. Sebbene il nuovo sistema offra una mini versione di programmi come Word, Excel e perfino un Web browser, la verità è che si tratta dell’ennesimo tentativo delle aziende di vendere uno strumento inutile. Carta e penna sono molto più comodi da tenere in tasca e sempre pronti per l’uso. E vanno altrettanto bene un computer portatile e un telefono cellulare.

Certo non si tratta di un sistema nuovo. I commercianti da sempre si preoccupano su come vendere prodotti senza valore, magari spacciandoli per oggetti di moda e all’ultimo grido, proponendo una specie di feticismo di mercato.

I produttori di hi-tech sono una caso speciale, e i fan dell’alta tecnologia (come me) devono imparare a distinguere tra il vero progresso e le operazioni di mercato. Così la regola che uso nel valutare una nuova tecnologia è quello di scoprire se questa è stata pensata per rispondere ad un bisogno dell’uomo o piuttosto per crearne uno.

Quando studiavo all’Istituto d’Arte della California il motto della scuola era "Non c’è tecnica prima della necessità". Insomma, non ci insegnavano nulla che potesse influenzare le nostre predisposizioni, ma solo tecniche che ci aiutassero a sviluppare e accelerare le nostre scelte artistiche. Questa è la filosofia che dovrebbe essere applicata anche alla tecnologia. Solo perché siamo in grado di creare un nuovo dispositivo non significa che dobbiamo trovare a tutti i costi un modo di usarlo. Quindi la classica risposta "Si fa perché dev’essere fatto" è un argomento che serve solo per giustificare la scalata del Monte Everest.

Risultato: il perverso (e inverso) sistema di commercializzare tecnologia inutile per confondere i consumatori alla fine mette in difficoltà anche quelli che hanno vere necessità. Così invece si fa diventare ogni nuovo strumento nient’altro che un gadget e si crea diffidenza e sospetto verso le innovazioni che magari potrebbero servire veramente.

Guarda caso, molte di queste innovazioni sono ispirate da necessità vere e non da improvvise scoperte tecnologiche. Prendiamo l’inventore Trevor Baylis: mentre guardava un documentario della Bbc sull’Aids in Africa si rese conto che le scarse possibilità di comunicazione erano una delle cause delle gravi carenze sanitarie e culturali del Paese. E l’ostacolo principale a questo problema era perfino banale: l’alto costo e la scarsa disponibilità di batterie. Così Baylis sviluppò la prima radio a "energia umana" (si carica girando una manovella e dura per ore), oggi in uso a dozzine di associazioni umanitarie e di volontariato e vendute in tutto il Terzo Mondo.

Conclusione: le innovazioni tecnologiche possono soddisfare contemporaneamente necessità pratiche, sociali e anche commerciali. Ma quando le priorità vengono "ribaltate" dal mercato, preoccupato solo di vendere ciò che non serve, si rischia la schiavitù da eccesso di tecnologia.

A.M.