Index SCUOLA - Giugno 1997

Studiare? Un sacco bello

Il saggio "recuperare gioia nel sapere" di Piero Morpurgo ha ricevuto il Premio Don Lorenzo Milani - Sezione Docenti assegnato il 31 maggio a Bassano del Grappa e bandito con il supporto di ACLI, CISL-Scuola e Banca di Credito Cooperativo nel trentesimo anniversario della morte del noto priore di Barbiana

Più di trent’anni or sono i ragazzi di Don Milani osservavano: "Quando i laureati criticano la scuola e la dicono malata si dimenticano d’esserne i prodotti. Hanno poppato l’infezione fino ai 25 anni. Non sono più capaci di pensare che possa valer qualcosa chi non ha fatto i loro studi". Son parole che non andrebbero mai dimenticate. Purtroppo oggi abbondano nelle aule scolastiche i laureati dalla memoria corta: essi hanno dimenticato di essere stati studenti; essi non rammentano di aver frequentato le scuole di ogni ordine e grado e di aver passato anni stupendi con le maestre e periodi tormentati e proficui con gli insegnanti.

Viviamo in un paese di smemorati che finge di non ricordare un’infanzia che, densa di passioni e timori, vide l’attenta presenza di insegnanti talora burberi e insensibili, ma molto spesso attenti ad osservare e comprendere ciò che accadeva attorno a loro.

Il disagio dello studente non è certo scoperta recente e ben rammento che, in quegli anni che son passati alla Storia per l’esplodere della violenza giovanile e del terrorismo, tanti -pur professando teorie estreme si dedicarono alla lettura e alla discussione collettiva delle Lettere dei ragazzi di Barbiana. Questi incontri avvenivano durante le ‘ore rubate’ dei collettivi, ma anche nei pomeriggi nelle sedi dei sindacati come nelle stanze delle parrocchie e non era affatto raro che a guidare questi dibattiti vi fosse qualche insegnante. Questa attenzione al libro di Don Milani portò a un intenso confronto tra i ‘grandi’ e i ‘piccoli’, tra coloro che si approssimavano al diploma e quanti erano appena usciti dalla terza media; tutto ciò alimentava molte speranze destinate ad infrangersi in altrettante disillusioni. Abbattersi serviva a poco, benché in un momento di amarezza una mamma mi disse con crudele coraggio che, a quell’età, sarebbe stato ben strano che ognun di noi sprizzasse sempre di gioia. Era ed è vero; non si poteva e non si può far finta che la sensibilità che c’è in ognuno di noi non sia soggetta allo smarrimento giovanile; è questo un disorientamento che non potrà mai esser affrontato con la commiserazione, semmai occorrerà operare affermando il piacere del leggere e del conoscere.

Proprio di recente è stato scritto che: "La felicità ha bisogno del limite, senza diventa una corsa per raggiungere un traguardo che subito si sposta... Ha dominato una concezione pessimistica della vita, come di una valle di lacrime, di una patologia dello spirito. La vita è bella se l’uomo non la rovina, se la società non la trasforma in una guerra dominata dalla paura e dunque da una continua difesa che suggerisce l’attacco. La felicità è corrispondere alle proprie esigenze, non alle mode. Non è mai felicità il possesso delle cose, o non può ridursi ad esso. Non è ossessione dell’impegno, della vittoria di uno sull’altro. La scuola non deve porsi come gara per sopraffare gli altri. Importante è stare con gli altri e frequentare un luogo per imparare divertendosi, scoprendo le proprie capacità sapendo che le più importanti sono quelle che hanno una valenza per tutti. Si deve tendere ad elogiare la vita, a escogitare strategie per passare il tempo in modo piacevole. Stare con gli altri senza invidia e per dare parte di se stessi".

Pertanto dinanzi al disagio giovanile, al rischio di smarrire uno studente e di perdere la possibilità che sia contento di leggere e di conoscere non si dovrà dar luogo a un compatimento che ingenera debolezza nell’allievo. Tutt’altro occorrerà esaltare le capacità di chi ascolta convincendolo di quante possibilità abbia nel poter affrontare i propri limiti.

E’ una storia antica, e questa vicenda può essere rappresentata in classe dalla lettura dei brani delle Confessioni di Sant’Agostino e di quelli di Don Milani. In queste occasioni lo studente si rende conto che il suo malessere fu anche di altri e che può essere superato con l’aiuto di chi insegna e la volontà di chi apprende. Si tratta in sostanza di ‘umanizzare’ il percorso dell’apprendimento. Nella mia esperienza ho visto quanta attenzione vi fosse in classe tutte le volte che ho letto quel che aveva trasmesso Sant’Agostino. Così nel leggere il ricordo delle: "innumerevoli menzogne usate per ingannare il pedagogo e i maestri e i genitori, tanto era grande il mio amore per il gioco, la mia passione per gli spettacoli frivoli... Nel gioco stesso, dominato dal vano desiderio di eccellere, spesso carpivo arbitrariamente la vittoria con la frode" ogni giovane lettore avvertirà che i propri smarrimenti hanno radici tanto lontane da essere rintracciate nella storia profonda del pensiero dell’umanità.

Il filosofo aggiungeva poi come fosse stato colpito da una tale smania per inseguire il piacere da commettere ogni genere di peccati. Fu leggendo un libro che si placò tanta intolleranza. Fu così che si avviò alla carriera di maestro dovendo, a sua volta, fronteggiare "l’eccessiva libertà degli scolari, indecorosa e sregolata" giacché essi "irrompono sfacciatamente nelle scuole, col volto, quasi di una furia, vi sconvolgono l’ordine instaurato da ogni maestro fra i discepoli per il loro profitto e commettono un buon numero di ribalderie sciocche che la legge dovrebbe punire..".

Ogni progetto di intervento didattico volto al recupero dovrebbe comportare il ‘ricordo’ di chi a scuola si è trovato a disagio. Occorre umanizzare e far comprendere che quelle difficoltà che oggi soffre uno studente in difficoltà furono affrontate, e superate, da tanti altri già nel passato lontano.

Qualche ‘percorso’ di recupero

Tanta insistenza sulla storia della scuola, di cui furono protagonisti tanto Don Milani quanto il maestro Manzi, così come Collodi e De Amicis; può, con serenità, essere d’aiuto per recuperare chi oggi appare non essere in grado di studiare. L’orgoglio e la dignità dell’apprendere si possono trasmettere anche segnalando le difficoltà, le ansie, i timori, tanto dei ‘grandi’ del passato quanto del ‘professore’ che si trova a dover confessare i suoi errori giovanili per recuperare quelli di chi oggi lo ascolta dai banchi. Ecco dunque una serie di esempi (i nomi sono inventati e in appendice si indicano le scuole ove eventualmente effettuare i riscontri comunque da non divulgare).

1) Quando iniziarono ad affermarsi i progetti contro la dispersione scolastica e per il recupero di chi era in condizioni di svantaggio ebbi modo di notare che c’era chi si dedicava a questo compito con un’unica arida motivazione: l’incarico avrebbe comportato un miglioramento del proprio orario di lavoro e un avvicinamento all’abitazione. Il fatto era davvero inquietante e avevo gran timore di unirmi a certi opportunisti. Tuttavia una mattina un preside mi convocò per offrirmi un incarico di quel tipo per 6 ore settimanali. Rifiutai in modo ostinato raccontando ciò che avevo visto. Lui replicò che i fatti gli eran noti, ma insistette. A quel punto resi ben evidente che non era il mio mestiere affrontare situazioni così delicate giacché intendevo insegnare Italiano e Storia. Allora il preside, con uno sguardo benigno che pregustava la vittoria, disse "..e lei dovrà proprio tentare di trasmettere ciò che ha appreso a chi ha più difficoltà: questo è il suo mestiere".

Colpito, mi arresi. Il giorno dopo entrai in una classe di I media con molta esitazione: sapevo che il ragazzo si chiamava ‘Giovanni’ e che non scriveva. Null’altro. Per la verità vani erano stati gli sforzi della scuola di saperne di più. Quel che era dato conoscere era un insieme di ‘leggende’: abbandonato, ammalato (di che?), caratterizzato da gravissimi disturbi dell’apprendimento (ipotizzati da ignote strutture sanitarie), violento e comunque incapace di esprimersi. Le ultime due caratteristiche mi preoccuparono; ma non ero il solo. Infatti approfittando del mio incarico un gruppo di genitori fece infinite pressioni perché il ragazzo stesse sempre fuori dalla classe. Queste richieste furono respinte dal coraggio degli altri colleghi, tuttavia per quei clamori egoistici mi fu difficile avviare il progetto di far lavorare ‘Giovanni’ assieme ad un gruppetto di altri suoi compagni. Infatti ‘Giovanni’ fu fatto uscire dalla classe e passò molto tempo a chiedermi se davvero ero un professore tutto per lui. Ben presto scoprii che nello scrivere il suo nome aveva un’ottima corsiva tondeggiante e ben posata. Non era possibile che ‘Giovanni’ non sapesse scrivere! Pertanto nelle poche ore a disposizione gli illustrai l’importanza della scrittura nella storia e come questo strumento si fosse evoluto. L’attenzione era discontinua, tuttavia in questi dialoghi fu evidente che ‘Giovanni’ aveva più di un interesse. Erano ‘passioni’ normali: le automobili, le canzoni, i mondi lontani. Venne il giorno del ‘tema’ e a quel punto mi imposi: ‘Giovanni’, nonostante le sue paure, sarebbe dovuto tornare in classe e fare il compito come tutti gli altri. In realtà con l’insegnante di Italiano, affascinante nel garbo con cui faceva lezione proprio quando si stava avvicinando al pensionamento, concordammo di inserire nella terna dei temi un titolo che stimolasse le passioni di ‘Giovanni’. Proseguimmo così sino alla fine dell’anno scolastico, non senza incontrare qualche episodio di intolleranza, fu così che allo scrutinio finale ‘Giovanni’ fu promosso come tutti gli altri senza attribuirgli alcun ‘vantaggio’: era un ragazzo come tutti ed aveva superato i suoi problemi con un intervento che può sembrar banale, ma che si fondò sul rispetto della personalità dell’allievo.

2) ‘Luigi’ aveva sempre il cappotto in classe e tremava. Si trattava di un allievo appartenente alle Forze dell’Ordine che, dopo ore di estenuante servizio, arrivava in classe spesso febbricitante e seguiva i corsi per studenti-lavoratori. Erano i giorni angosciosi della guerra tra Iraq e Kuwait. Un conflitto che era solo apparentemente lontano poiché in quei giorni vi fu, anche a Vicenza, un intensificarsi dell’attività di prevenzione antiterroristica. Il maggior impegno di lavoro di ‘Luigi’ comportò una sua minore partecipazione alle lezioni del corso serale. Fu così che ‘Luigi’ si convinse di non essere in grado di sostenere l’esame di maturità e si ritirò. In seguito lo rincontrai e con non pochi sforzi lo convinsi a proseguire gli studi. Tuttavia gli impegni di ‘Luigi’ erano sempre più pressanti e probabilmente si sarebbe potuto ripetere l’insuccesso precedente. Scopersi però che ‘Luigi’ poteva iscriversi a una classe quinta come ‘frequentatore esterno’ e, grazie ad un preside davvero gentile, concordammo un particolare itinerario di studio. Per quanto gli fosse stato possibile ‘Luigi’ avrebbe frequentato le lezioni; mentre da parte mia mi impegnavo a dargli una mano. Per un anno intero svolsi questa sorta di volontariato: prestavo libri, assegnavo e correggevo i temi, discutevo della storia e della letteratura italiana. Il tutto avveniva negli orari più strani e nei ritagli di tempo: era un impegno faticoso e appassionato poiché in tutti i modi desideravo riscattare una certa indifferenza che qualche collega aveva avuto nei confronti di un allievo intelligente e davvero capace di scrivere e di studiare. Alla fine di tanto lavoro non solo ‘Luigi’ fu promosso, ma per di più il suo tema fu segnalato al Provveditorato. Fu una grande soddisfazione per tutti e due e il saperlo impegnato nella repressione dei traffici clandestini di opere d’arte aggiunge maggior valore a quella promozione che sarebbe potuta giungere prima. Ebbe in regalo, non a caso, un libro sui furti di opere d’arte in età napoleonica. Vincemmo quella sfida insieme, per solidarietà e per amicizia, e tuttora continua lo scambio di libri.

3) ‘Alberto’ è un ragazzino minuto che si nasconde dietro quattro file di banchi. Il numero degli allievi facilitava il suo desiderio di nascondersi. Ben presto fu chiaro che dietro questo atteggiamento c’era una gravissima difficoltà nell’esprimersi. Di certo la situazione non si sbloccava continuando a segnare insufficienze sul registro. Fu convocato il padre: un uomo immenso che lavorava nei boschi. Spiegai la situazione e gli chiesi la sua collaborazione: proposi che lui ascoltasse il figliolo ogni sera mentre ripeteva un paio di pagine di storia per non più di 5 minuti. Il papà mi rispose che lui non ne capiva niente, che aveva lasciato le scuole molto presto, che la sua ignoranza non gli consentiva di far bene quel che suggerivo. Nonostante tante esitazioni alla fine quel genitore accettò l’idea che avrebbe potuto provare ad assumersi quel ‘compito’. Passò circa un mese e ‘Alberto’ fu interrogato: grazie all’aiuto del papà aveva acquistato un’esposizione sicura e fluente e, da quel momento, non ebbe più alcun problema. Fui contento anche nel rivedere la soddisfazione di un babbo che era evidentemente orgoglioso del suo impegno. Purtroppo fui preso da una grande amarezza quando invitai una mamma a rifare questo percorso onde aiutare il suo figliolo ed ella si rifiutò. Fu allora che la signora, seccata, mi rispose: "professore durante la settimana lavoro e la domenica le mie otto orette di televisione non me le può togliere nessuno!".

4) In classe, ad alta voce, lo chiamavano la ‘mummia vivente’. L’atteggiamento impietoso ed irriverente mi dava i brividi. Eppure non c’era modo di far parlare ‘Luca’. Gli stessi genitori erano profondamente preoccupati di questo atteggiamento del loro figliolo. D’altra parte era difficile dedicarsi con la dovuta attenzione al problema di ‘Luca’. In una classe prima di 28 allievi è quasi impossibile organizzare interventi individualizzati: queste sono le tristi conseguenze di certi provvedimenti che intenderebbero ‘razionalizzare’ la vita scolastica. E’ pur vero che la collega incaricata di seguire gli allievi che presentavano difficoltà nel metodo di studio si prodigava con lodevole dedizione al problema di ‘Luca’. Tuttavia rimaneva quella incontrollabile timidezza che impediva a ‘Luca’ di parlare. Venne poi il tempo dei fatidici, e spesso inutili, corsi di recupero. La classe si svuotò: erano rimasti una dozzina di allievi "recuperanti". Era rimasta anche l’inutile sfrontatezza nei confronti del più debole. Ancora una volta ‘Luca’ fu chiamato il ‘morto vivente’. Il tutto veniva detto ad alta voce compiacendosi del fatto che ogni volta che veniva ripetuto l’epiteto ‘Luca’ diventasse viola. Non ne potevo più. Per fortuna il caso aveva voluto che alcuni "recuperanti" non fossero affatto bisognosi di interventi nelle mie materie. Si trattava di alcuni ragazzi e ragazze simpatici e di grande disponibilità. Pensai allora che prima di iniziare a parlare con un professore ‘Luca’ avrebbe potuto cominciare ad essere ‘interrogato’ da qualcuno di quei suoi compagni con cui a stento scambiava un saluto. A turno un gruppetto di studenti, dapprima singolarmente e poi in più d’uno, subissarono di domande ‘Luca’. Inizialmente le sue risposte erano quasi sussurrate; poi diventarono percepibili anche dalla cattedra. Da parte mia ebbi cura che tutto avvenisse con serenità. Fu verso la fine della settimana di recupero che gli studenti incaricati di trasformarsi in esigenti professori esclamarono "Basta! Professore ‘Luca’ sa tutto e ha risposto a tutte le domande che lei generalmente ci rivolge." Lo sapevo perché nel frattempo la voce di ‘Luca’ era diventata più sicura. A ‘Luca’ e agli allievi disponibili feci i giusti complimenti ed essi ne rimasero orgogliosi. Fui tuttavia davvero stupito del gesto di stizza che mi indirizzarono quegli alunni che si erano presi gioco di chi era più in difficoltà.

5) ‘Alice’ in classe guardava il vuoto e a casa non studiava. Pessimo modo per iniziare a frequentare una prima superiore. Non c’era verso di attirare la sua attenzione; un giorno mi accorsi che tra i suoi quaderni malcompilati ce n’era uno ben ordinato. ‘Alice’ rivelò che scriveva poesie e con un certo tono di sfida mi chiese se desideravo leggerle. Non mi tirai indietro e mi accorsi che si trattava di una collezione di versi stupendi che narravano una tormentata passione d’amore. Chiesi allora ad ‘Alice’ di presentare due di quelle poesie a un concorso e selezionammo assieme quelle che sembravano più incisive. La stessa preside ed altri colleghi rimasero impressionati dell’efficacia delle parole scritte da ‘Alice’. Eppure la ragazza continuava a non studiare e questo era preoccupante. In particolare mi disse che odiava la ‘storia’. L’espressione mi incitò a mettere in evidenza durante le spiegazioni come anche migliaia di anni fa l’umanità vivesse in un mondo venato da immense passioni. Ad ‘Alice’ toccò il compito di leggere un’edizione dei Lirici greci: ne rimase turbata e affascinata riuscendo a spiegare ai suoi compagni le impressioni positive e negative che aveva maturato in quella lettura. ‘Alice’ si era così convinta che non è tanto la ‘storia’ ad esser brutta, ma piuttosto l’organizzazione dei manuali. Tornarono alla mente le parole di Don Milani: "In genere non è storia. E’ un raccontino provinciale e interessato fatto dal vincitore al contadino". In effetti nei manuali non c’è quasi mai la volontà di rendere umani i protagonisti di svelarne i sentimenti civili e religiosi. Avevano sacrosanta ragione i ragazzi di Barbiana a protestare perché in classe non si leggono i Vangeli e, aggiungo, l’ Antico Testamento. La verità di quella protesta è ancora attuale: ogni qual volta mi accingo a spiegare le origini del pensiero filosofico chiedo alla classe di portare la Bibbia per leggere assieme almeno i primi passi della Genesi. Quasi sempre mi vien risposto che a casa quel ‘libro’ non c’è. E’ il segno di un degrado che ha origini antiche e che andrebbe colmato.

Nel frattempo ‘Alice’ continua ad essere distratta; tuttavia è consapevole di essere stata incoraggiata e contenta di aver avuto un segno di stima. A poco a poco studierà.

6) Purtroppo non è affatto detto che ogni azione di recupero abbia sempre successo. Torna alla mente quell’anno in cui con la professoressa di scienze) avviammo un percorso ‘interdisciplinare’ per spiegare i diversi aspetti -biologici e storici- della struttura di una società. Gli studenti allora già in prima si presentavano decorati di croci uncinate e tra le ragazze c’era chi ostentava anelli con teschi ed altri cupi segni di morte. In tanti avevano deciso di imitare un programma televisivo davvero diseducativo: si mangiava in classe durante la lezione e i banchi erano ricoperti di lattine invece che di quaderni. Non fu facile tentare di spiegare quale fosse il senso della trasmissione della cultura e dei valori morali; così come fu davvero un’impresa rappresentare il concetto del ‘lavoro’ tanto nella società umana quanto in quelle animali. Operavamo contro un muro di indifferenza che talvolta lasciava sgomenti. Ci fu chi scrisse su un tema: "io da grande farò la mantenuta" e illustrò ben bene, con dovizia di particolari, le ‘tecniche’ per raggiungere questo scopo. In molti esaltavano le loro abitazioni piene di ogni elettrodomestico avveniristico, ma del tutto prive di libri poiché anche quelli scolastici venivano lasciati a scuola giacché "impicciavano".

Quel che più destò amarezza fu la reazione di altri colleghi che ci chiesero un po’ stupiti: "perché vi affannate tanto ? quegli atteggiamenti sono ‘mode’ patrimonio di tutti i giovani!". Saranno state pure ‘mode’; tuttavia rimaneva il fatto che, con quell’agire, si tollerava un clima degradante e alla fine ciò che più colpì è che vinse la paura: chi si era comportato in modo intimidatorio fu promosso, mentre si infierì su quei pochi che avevano cominciato a capire che a scuola si studia e che leggere è divertente ed anche utile. Una di queste ragazze fu bocciata e abbandonò definitivamente la scuola, eppure lei si era resa conto dei suoi limiti e aveva cominciato a studiare; purtroppo si trovava fuori da quel ‘coro scanzonato’. E’ pur vero che nella classe accanto i ragazzi scatenati nell’ostentare la loro ‘nuova’ volontà di trasgressione accettarono la sfida di vedere se, nel passato, vi fossero state passioni simili. Leggemmo assieme l’ Assomoir di Zola scoprendo che la storia era fatta di tensioni che spesso mostrano intensi punti di contatto con sogni e speranze giovanili (in altre classi avevo già fatto leggere Il ritratto di Dorian Gray di Wilde e persino Le affinità elettive di Goethe sempre con l’intento di svelare quanto sia radicato il tormento dell’animo umano). Non solo. In particolare in quella classe lavorammo in maniera accanita perché -spiegai loro- l’adagiarsi su livelli minimi di conoscenza non porta alcun vantaggio. Quando poi venne il giorno di riconsegnare i compiti svolti chiesi alla preside di esser presente in classe poiché non solo la quasi totalità degli allievi si era mostrata ben preparata; ma per di più in molti avevano riportato giudizi eccellenti. La stessa preside confidò agli studenti che non sarebbe stata in grado di rispondere a molte delle domande proposte.

L’azione di recupero oggi

Combattere la dispersione scolastica sembra esser diventato l’impegno prioritario di ogni istituto. In verità sarebbe stato bene chiamare questi progetti in modo meno ambiguo; forse sarebbe stato meglio proporre: ‘programma per appassionare allo studio’. E’ tuttavia un enunciato che farebbe paura agli stessi insegnanti. E’ pur vero che proprio questo è il punto: oggi abbiamo un panorama scolastico ove per ‘far star bene’ l’allievo si susseguono le iniziative ludiche e solo di rado si stimola la concentrazione individuale, l’acquisizione di un sapere critico, l’amore per il confronto. A questo proposito non si può far a meno di osservare che i ragazzi di Barbiana annotavano con acume che non di giochi essi avevan bisogno, bensì di stimoli critici. Allora scrissero agli insegnanti: "L’altro ostacolo che non rimuovete sono le mode....In paese pesano...tutte le mode fuorché quelle buone.

Chi non le accetta si isola ... Come se non bastassero le voglie che abbiamo dentro. Le mode hanno detto (al giovane) che i 12-21 anni sono l’età dei giochi sportivi e sessuali, dell’odio per lo studio. Gli hanno nascosto che i 12-15 anni sono l’età adatta per impadronirsi della parola. I 15-21 per usarla nei sindacati e nei partiti". Allora quei ragazzi concludevano invitando gli insegnanti a difenderli contro le ‘mode’ e questo è un messaggio tuttora valido.

Quelle righe dovrebbero far riflettere tutti: insegnanti, genitori e studenti e quella lettura andrebbe accompagnata dalle considerazioni di chi ancor prima intuì quanto grande sia il rischio della perdita della possibilità di concentrazione individuale. Allora alla vigilia di una notte tremenda per la storia europea, si denunciava "l'universale indebolimento del raziocinio e lo sradicamento della legge morale". Suscitava preoccupazione profonda "il meccanismo dei moderni divertimenti di massa" e la possibilità che essi fossero un impedimento alla concentrazione poiché "la suggestibilità visiva sempre pronta è il punto attraverso il quale la pubblicità afferra l'uomo moderno, e lo colpisce nel lato debole della sua diminuita capacità di giudicare. Questo vale ugualmente per la pubblicità commerciale come per la propaganda politica". Non sarebbe davvero inopportuno che le linee di un progetto per il recupero della gioia del sapere ripartissero da queste ultime considerazioni.

Piero Morpurgo