Index ATTUALITA' - Giugno 1997

Ma quella molecola è maschilista

Finalmente sembra che sia stata scovata la causa della maggior frequenza delle depressione tra le donne. Nautilus aveva già riportato la notizia dello studio effettuato dall’Università canadese Mc Gilles, pubblicato il 13 maggio 97 sul Proceedings of the National Academy of Sciences. Si tratta di una novità che vale la pena approfondire: la serotonina, il mediatore chimico del cervello che controlla umore e appetito, si produce con più difficoltà nel sesso femminile. Noi donne possiamo allora cominciare a festeggiare la fine del male oscuro? O siamo di fronte all’ennesima ricerca che vuole dimostrare la differenza tra uomo e donna?

Si sapeva già da tempo che la serotonina, un mediatore chimico delle cellule nervose, è connessa all’umore e all’appetito, e quindi alla depressione e ai disturbi alimentari. L’esperimento effettuato dal professore di neurologia Mirko Diksic ha svolto un’indagine molto particolare sulla sintesi della serotonina.

In un gruppo di quindici "cavie umane" in buona salute, il tasso medio di sintesi della serotonina nel cervello dei sette uomini è risultato superiore e più veloce (52%) rispetto a quello delle otto donne. Inoltre gli uomini hanno reagito molto più lentamente (solo il 9,5% contro il 40% delle donne) alla somministrazione di un farmaco che induceva un calo della serotonina.

Per l’esattezza, le riserve di serotonina sembrano simili, la differenza consisterebbe nel minore aumento nelle femmine in situazione di stress. Le donne sarebbero quindi più vulnerabili quando si trovano sotto stress, il che spiegherebbe la loro minore capacità di difesa nei confronti di depressioni croniche (tre volte più degli uomini) e di disordini alimentari (dieci volte più degli uomini).

Se davvero fosse stata scoperta la causa per cui le donne soffrono di depressione più degli uomini, sarebbe davvero il caso di festeggiare la scoperta del secolo. Scoperta la causa, si potrebbe cominciare ad agire sull’effetto, e debellare un male che affligge molte donne. Ma affligge anche molti uomini.

Purtroppo, basta il fatto che anche gli uomini soffrano di depressione a dimostrare che la scienza si trova di fronte un male molto complesso, ancora oscuro, che non si può ridurre ad una sola causa.

Inoltre, è doveroso sottolineare il fatto che l’esperimento non è in grado né di escludere né di misurare l’importanza dei fattori culturali e ambientali sulla sintesi della serotonina. Anche le donne in buona salute affrontano educazione, esperienze e stimoli molto diversi da quelli che vengono riservati agli uomini. Non si può escludere in nessun modo che questi stimoli ambientali influiscano sulla sintesi della serotonina. Non è nemmeno possibile inserire tutte queste variabili in un qualsiasi esperimento.

Dunque, senza voler sottovalutare l’importanza di questa scoperta, di certo non si può parlare di un risultato eclatante. Semplicemente, in seguito ad un’esperienza effettuata su un campione di 15 individui, è stata dimostrata una correlazione tra la sintesi della serotonina e la depressione femminile. Le cause della maggiore incidenza della depressione nelle donne non è stata ancora scoperta.

Ma quali sono i motivi che inducono tanto impegno nel ricercare differenze biologiche tra uomo e donna? Forse si tratta di motivi apprezzabili. Sapere che la depressione è legata anche solo parzialmente al genere sessuale potrebbe essere utile. Ma non si può escludere un pizzico di malizia in questo interesse. Il tema della differenza sessuale viene spesso sfruttato per alimentare discussioni sterili e aria fritta. Sicuramente è un argomento che attira interesse, curiosità e sospetti.

Sta di fatto che le differenze biologiche sono state spesso usate come comodo pretesto per creare differenze di ben altro tipo. La donna è più debole dell’uomo, e allora è giusto che certe possibilità di scelta le debbano essere negate. Discorso vecchio, ma non ancora chiuso.

Per dare l’idea degli equivoci che possono essere creati dalle differenze biologiche, proverò a riassumere alcune ipotesi paradossali che potrebbero derivare dall’analisi delle differenze genetiche tra uomo e donna.

Tanto per cominciare, in teoria le donne sarebbero anche in grado di riprodursi da sole, per partenogenesi. I recenti progressi nel campo della clonazione potrebbero rendere presto possibile l’esperienza. Il maschio diventerebbe superfluo, geneticamente parlando. Inoltre la presenza dei due cromosomi X permetterebbe alla donna una maggiore difesa nei confronti di alcune malattie genetiche, e in generale una vita più lunga. Ragion per cui, se ragionassi frettolosamente, potrei desumere una superiorità della donna, fondata solidamente su dati biologici.

Per fortuna, nessuna differenza biologica è in grado di stilare classifiche, né di erigere barriere o steccati. I problemi sorgono con differenze di ben altro tipo. La Chiesa che vieta il sacerdozio alle donne con la scusa di una diversa "vocazione" legata al sesso, rientra in questa casistica di "differenze". Se davvero le donne non sono in grado di avere una vocazione al sacerdozio, perché innalzare divieti e negare possibilità?

Vecchi problemi, mai risolti. La scienza è sempre stata legata ad esigenze e aspettative molto lontane dal desiderio di conoscere, e dall’esigenza di migliorare le condizioni di vita. In parte, spesso sono state istanze sociali, politiche e religiose ad influire attivamente nella formazione di teorie scientifiche. Galileo è stato riabilitato da poco. La Germania nazista aveva una sua scienza ariana. Anche la Russia Sovietica aveva patrocinato una scienza rigorosamente comunista.

Kant, scienziato e filosofo, nella sua "Critica della Ragion Pura" ha effettuato una serie di analisi raffinate sull’influenza dei desideri umani sulla formazione di sistemi filosofici e scientifici. Ma la sua analisi è andata molto più a fondo. Probabilmente abbiamo non solo la tendenza, ma anche la necessità di spiegare in senso finalistico il mondo che ci sta intorno. Infatti, immaginiamo che gli organismi abbiano obiettivi e traguardi da perseguire, perché noi abbiamo bisogno di fini e obiettivi per andare avanti. Così pensiamo che animali e piante si evolvano per migliorare, crediamo che l’universo debba avere un inizio e una fine come noi. Abbiamo la presunzione di essere puro pensiero, ci illudiamo che le nostre emozioni siano completamente diverse dalla materia, da ciò che non è pensiero. Non è naturale identificare le nostre emozioni, i nostri ricordi, i nostri sentimenti, con una sostanza chimica.

La depressione è uno di quei temi su cui si sono scatenate discussioni tanto feroci quanto inutili, tra chi sostiene il primato delle cause ambientali e chi difende il primato "biologico". L’infelicità una sostanza chimica? I partigiani delle influenze ambientali e famigliari si aggrappano a questa evidenza. Curare una malattia con delle parole? I materialisti si difendono usando argomenti non meno plausibili.

Tutti i fattori sono importanti, tutti i fattori contribuiscono: ambiente, famiglia, corredo genetico. Probabilmente esistono altri fattori che non siamo ancora in grado di conoscere.

Pochi ricordano che anche Freud aveva affermato con forza l’importanza degli elementi biochimici nella genesi delle nevrosi. Sperava in un futuro in cui si potesse spiegare e curare la sofferenza psichica con sostanze chimiche. Nell’attesa, rimaneva l’importanza terapeutica delle definizioni psicoanalitiche.

A questo proposito si può paragonare la mente umana ad un computer, tenendo presente che la complessità del cervello umano è enormemente superiore. Tra cellule cerebrali e psiche esiste un rapporto molto simile a quello che c’è tra hardware e software: il cervello è composto da un intreccio di sostanze biochimiche (come i circuiti dell’hardware), ma per farlo funzionare sono necessario un linguaggio specifico, una serie di schemi interpretativi (il software).

Siamo animali molto complicati. Fattori genetici, culturali, familiari contribuiscono tutti insieme a generare quel marchingegno astruso che chiamiamo essere umano. Forse in futuro saremo in grado di ricostruire un uomo molecola per molecola, circuito per circuito, così come oggi possiamo costruire un computer.

Forse conosceremo perfettamente la chimica delle nostre emozioni, dei nostri pensieri, e anche delle nostre differenze. Forse allora chimica, biologia e psicologia si fonderanno in un’unica branca scientifica, e il dialogo tra scienziati diventerà molto semplice. Quello sarà il giorno in cui anche il dialogo tra uomini e donne non avrà più misteri, e forse diventerà noiosissimo. Purtroppo (per fortuna?) per ora siamo ancora lontanissimi da quel giorno.

Antonella Di Martino