Index ATTUALITA' - Giugno 1997

Anoressia – 2a puntata

Quel digiuno dei sentimenti

Continuiamo il viaggio, iniziato nel numero scorso, in quel mondo così sconosciuto e inquietante che è l’anoressia. Che non è solo "magrezza". Perché dietro al piatto vuoto ci sono anche abbuffate senza misura, farmaci presi fino all’assuefazione e autolesionismo fino al suicidio. Ma soprattutto la totale perdita di rapporto con il mondo e con le persone, alla disperata ricerca di dare un senso alla propria vita.

L’anoressia è stata definita dagli studiosi di mezzo mondo come una piaga sociale. Ma cos’è l’anoressia? E come capire in che modo una "semplice" fissazione per la linea di cui patisce la maggior parte delle donne possa trasformarsi in una malattia a volte mortale ?

Non è semplice rispondere, anche perché i più tendono a sottovalutare l’anoressia (tanto quanto si fa con la sua controparte, la bulimia) vedendo nel rifiuto del cibo solo una mancanza di volontà a reagire ai problemi connessi alla vita di tutti i giorni, siano essi personali o sociali. Soprattutto per questo motivo può capitare, ed è capitato, che all’interno della stessa famiglia (dai genitori ai fratelli, fino ai fidanzati) di una persona soggetta a disturbi del comportamento alimentare, come possono essere l’anoressia, la bulimia o l’alimentazione compulsiva (fagocitare una quantità incredibile di cibo senza coerenza : mischiando un po’ di tutto e poi ricorrere il più delle volte a mezzi catartici come il vomito indotto, i lassativi, diuretici) nessuno si renda conto di ciò che sta realmente avvenendo, o meglio consumando. Forse perché l’anoressia è immediatamente associata alla magrezza. Così, pensano, "se la persona non dimagrisce, vuol dire che non c’è il problema". Ma se in parte ciò può anche essere vero, non sempre è così. O meglio non per tutta la durata della malattia .

In primo luogo un’anoressica non sta perennemente a digiuno, poiché morirebbe di inedia nel giro di poco tempo, mentre si resta ammalati di anoressia per degli anni, a volte per tutta la vita; secondo, ciò che rende l’anoressico-bulimica un soggetto a rischio, clinicamente parlando, sono le continue oscillazioni del peso ( un’anoressica può arrivare a perdere e recuperare fino a dieci chili in un mese), che a causa di vomito indotto, farmaci, grandi abbuffate e lunghi digiuni innescano tutta una serie di effetti a catena che trascinano l’ammalato in vero e proprio circolo vizioso. L’uso di lassativi e diuretici provoca assuefazione (così come il vomito indotto) quindi o si comincia ad auto-prescriversi una dose aumentata (si può arrivare in questi casi ad ingurgitare un’intera scatola di lassativi nel giro di una giornata, siamo alle soglie dell’intossicazione da farmaco), o cessando l’assunzione si può verificare il cosiddetto effetto rebound con una ritenzione di liquidi che possono far aumentare il peso (si tratta di acqua !) di 4-5 chili dalla sera alla mattina . Ci si rende quindi perfettamente conto di come ci si possa facilmente innervosire nel vedere che tutti gli sforzi fatti per mantenere una certa magrezza (il tipico aspetto emaciato) vengano annullati da una ritenzione di liquidi che l’anoressica vede come grasso .

Da qui tutta una serie di reazioni violente, condotte nella maggior parte dei casi su se stesse (molte anoressiche si feriscono in preda a delle vere e proprie crisi simili a quelle epilettiche), che portano in molti casi al suicidio. Ma non è tutto: un’anoressica è anche un’esclusa, un’emarginata; ella sente come precluso il mondo di quelli che mangiano, non esce quasi mai, vive in maniera ossessiva tutti i rapporti interpersonali, difficilmente quando ha rapporti di natura affettiva, sentimentale, sessuale (cioè quasi mai) è capace di viverli in maniera equilibrata .

Quindi come si può ben comprendere da questo breve, e per molti versi incompleto quadro, l’anoressia è ben lungi dall’essere una vita dedicata alla dieta: al contrario se un’anoressica fosse capace di seguire una dieta dimagrante forse tutti questi problemi non li avrebbe. Il suo è un disagio forte nei confronti della vita e del senso che ella non riesce ad attribuirle, questa ricerca di una motivazione la imprigiona letteralmente in tutta una serie di prassi alimentari. Ma non solo alimentari. Poiché la maggior parte delle anoressiche utilizza lo stesso meccanismo, ripeto, anche nei confronti dello studio, del lavoro e nei rapporti umani. Il fatto è che la gente tende a fermarsi a ciò che è sensibilmente visibile, per questo molti genitori quando vedono le loro figlie finalmente un po’ più in carne credono che ormai siano guarite, come al contrario l’anoressia può covare per anni senza necessariamente esplicarsi nel dimagramento e può continuare sino a diventare cronica (secondo fasi alterne di aumento e perdita di peso). Basti pensare che molte ragazze considerate ex-anoressiche ingrassino sino a 20-25 chili e mantengano questo stato di sovrappeso anche per quattro–cinque anni e poi improvvisamente, per chi è all’esterno della malattia s’intende, come per miracolo li perda nel giro di qualche mese. Che bella beffa (!) per chi la credeva guarita .

Rendiamoci conto quindi che non sempre una persona magra è un caso di anoressia e che non basta uno psicologo o uno psichiatra, a seconda di chi vi fidiate di più, per risolvere un problema di portata immensa. Perchè coinvolge una persona per gran parte della sua vita, a volte per tutta la vita. E anche perché (con tutto il rispetto) quanti medici o psicologi italiani sanno veramente come risolvere questo problema? Vi assicuro che sin tanto non si sovvenzionerà il campo della ricerca in merito al problema e non ci si deciderà ad aumentare il numero delle strutture specializzate nel settore dei disturbi del comportamento alimentare, si farà ben poca strada per riuscire ad arginare un fenomeno di proporzioni a dir poco sconcertanti. Le statistiche dicono che una donna su cinquanta soffre di questi disturbi: ma di casi effettivi ce ne sono ben più di quelli rilevati.

Roberta Paolini