Index LETTURE&SCRITTURE a cura di Giulio Mozzi - Maggio 1997



Letture

  • Inedito: da Il sapore della cicuta, di Federico Livan
  • Le avventure di Al Cultman, libri, romanzi, musiche film di culto deglli anni Novanta di Alberto Fassina : Notti l’anno degli esami

 

Inedito: da Il sapore della cicuta, di Federico Livan

Il romanzo Il sapore della cicuta di Federico Livan racconta la storia di un "ribelle" che attraversa il ‘68 e gli anni successivi. Cogliamo l’occasione per far notare che tanto ha prodotto quel periodo di letteratura ideologica e normativa, tanto poco ha prodotto di (buona) narrativa. Ben venga quindi chi, come Livan, tenta di raccontare sia la realtà della vita di quegli anni, sia la potenza dei miti e delle fascinazioni che cambiarono quella generazione (e le successive).

Ci dice Federico Livan: «Sono nato il 28 settembre del ‘49, a Spresiano, vicino Treviso, dove sto ancora... Sono nato da famiglia povera, poverissima, operaia, secondo di tre figli... Ho fatto le elementari e poi le medie, che allora si chiamavano avviamento industriale, ma ero ribelle, e così non ho preso il diploma... Volevo fare il tipografo, ma quando mi presentai da un tipografo che poteva prendermi lui mi disse che ero troppo piccolo, non avevo la statura per lavorare sulle macchine della tipografia... Così trovai un lavoro come posatore di pavimenti, a Venezia, dove sono stato per dieci anni... Poi ho fatto svariatissimi altri mestieri, ma oggi faccio ancora il posatore, e dal ‘78 sono in proprio...

«Quand’ero ragazzo, le famiglie dei lavoratori erano tenute in disparte, anche allora il dio denaro la faceva da padrone... Io credo che non si diventa ribelli, si nasce... Io ero uno dei ribelli del paese... Il cambiamento per noi fu prima musicale, poi venne il ‘68... Nel ‘68 avevo 19 anni... Cosa vuoi, più che capire quello che succedeva lo intuivo... A capirlo ci arrivai poi, un po’ alla volta... Nel ‘68 lavoravo appunto a Venezia e ogni tanto me ne andavo dal lavoro per andare a parlare con gli studenti, soprattutto quelli di architettura che, così si diceva, erano i più ribelli... Ma non è che li trovassi proprio dei ribelli, secondo me avevano un po’ la puzza sotto il naso... Questa non è gente come me, pensavo, è gente che non potrà mai cambiare le cose come le possiamo cambiare noi...

«Ma il vero cambiamento per me non è stato le lotte operaie, è stata la musica, che ha determinato il nostro stile di vita... La nostra rabbia è venuta dopo, prima è venuta la musica, è poi è venuto tutto assieme... Sul più bello, ho cominciato a farmi crescere i capelli e mi sono messo a leggere un po’ di tutto... Anche il militare me lo sono fatto da ribelle, cercando giorno per giorno di non fare il gioco di quelli che chiamavamo i signori della guerra...

«Dopo il militare sono cominciate el mie rogne, le mie storie... Correvo in moto senza patente, mi hanno beccato: due giorni di galera... Ho cominciato a prendermela di brutto con il mondo, e allora i capelli crescevano sempre di più, i jeans erano sempre più rotti... Non ero un delinquente, ma forse ero anche peggio... Io non usavo il coltello come i delinquenti, ma usavo la parola... Poi ho fatto i soliti giretti, Parigi, quartiere latino... Gli studenti li trovavo un po’ fessi... Si girava di notte, su, giù, di là, di qua... Non ti dico le ragazze, non era un problema... A un certo punto mi sentivo come una sex machine, come diceva James Brown... Se lo facessi adesso, figurarsi, sarei pieno di Aids, di malattie... Come dice oggi la Tamaro, si faceva sesso per dovere, si doveva fare come i conigli, bisognava... A lei le starà sulle palle, magari è ancora vergine, mah... Poi Amsterdam... Non avevo soldi, così andavo nei ristoranti, mangiavo come un porco perché mi doveva bastare per due giorni, e poi quando arrivava il momento del caffè facevo le fughe... Scappavo via come un treno...

«Quando tornavo in paese mi vedevano così, con questi capelli lunghi biondissimi, questi vestiti alla Jimi Hendrix, mi dicevano: ma guarda quello... Però mi volevano bene... E allora ho pensato: perché andare in giro per il mondo, facciamoci le cose qui... Allora qui a Spresiano ho preso una casa, dove ci sto ancora, ho dipinto gli infissi di verde e di arancione... Avevo un quadrato di cinque per cinque metri di terra e ho piantato girasoli... Allora c’era tanta gente che ascoltava Dylan e gli Animals, c’era quella canzone che si intitolava The House of the Rising Sun, così ho scritto davanti alla casa... E lì ho cominciato a scopare anche di più... Io, e gli amici... Però non avevo lavoro, allora, anche se lo dicono tutti che nel mio mestiere sono un maestro.... Ma non me ne frega niente di essere un maestro, faccio questo lavoro per non dover stare dentro una fabbrica a buttar su la roba... Così un cliente posso anche mandarlo a fanculo, perché non è vero che il cliente ha sempre ragione, quello che ha ragione è l’artigiano e il cliente è uno che non sa niente e che rompe solo i coglioni...

«Adesso sono ventun anni che sono sposato, sempre con la stessa donna, che si chiama Rita, che è una donna normale... Ho un bambino, ha sei anni e qualche mese, si chiama Thomas perché una volta vicino a Londra sono stato ospite di un irlandese... Si chiamava Thomas, Big Tommy perché era grande e grosso, e allora ogni volta gli dicevo: Tommy, se faccio un bambino lo chiamo come te... E così ho fatto, perché io sono uno che mantiene la parola... Come quelli della malavita, che saranno delinquenti ma se ti dicono una cosa è quella, e non si sgarra...

«Eh, ma ormai anch’io ogni tanto perdo colpi, cosa vuoi, con tutti quei cannelli, tutti quei trip che mi sono fatto... Ho sempre scritto tanto, anche quando ero sballato... Pensa che avevo una valigia tutta piena di cose, anche foglietti... Cose che so, alla Rimbaud, alla Whitman, alla Baudelaire... Io leggevo tanto, così, ingenuamente... E l’ho buttata via, da stupido, sono ancora qui che mi mangio le unghie... E allora c’è un posto qui vicino, che si chiama Sonny boy, fanno musica americana... Io con questa musica vado fuori di testa, ritorno ragazzo, faccio questi tiri alla chitarra come Joe Cocker... E così anche i miei amici, ce n’è uno che ha cinquantun anni ed è più fuori di me... E allora ci siamo accorti che c’erano questi ragazzi che ci guardavano, noi fuori di testa, e poi ci dicevano: racconta, racconta, tu che hai l’età di mio padre, raccontaci... Sempre la solita solfa....» [Conversazione trascritta da Giulio Mozzi. Per chi volesse prendere contatto con Federico Livan: via Fonfa 11, 31027 Spresiano (Tv), tel. 0422-881182. ]

Ribelli senza freni, di Federico Livan

Firenze, 24.12.1969

Le novizie nella notte rubarono le chiavi alla badessa e si spogliarono delle vesti. Alle prime luci dell’alba aprirono il grosso portone del convento e scappai via con loro. I giorni neri tutti uguali della clausura erano solo un ricordo: si tornava a vivere. Mi sembra che fosse verso l’una che le cagnette in calore, spinte dal desiderio di fuoco suonarono alla porta. Lola e Marta erano lì sorridenti felici e anche un po’ pentite, quando aprii il portoncino.

Avevano dei pacchi di pasta, scatolette, bottiglie, altre scatole rutilanti di etichette colorate, e pensai, dalle dimensioni, che avessero intenzione di stare a lungo con me. Loredana, la madre di Marta, le aveva portate con la sua Fiat millecento blu di seconda mano, era pure lei felice nel vedermi rimesso a nuovo. Anch’io.

Non davo a vedere segni di felicità, mi comportavo con indifferenza e fingendomi seccato. Ci baciammo sotto gli occhi della madre di Marta: «Forse vuole anche lei un po’ di calore», pensai. Le strinsi la mano: aveva le mani più calde del mondo e trattenni la stretta fino a che le sentii mie per un minuto. Non era la prima volta che veniva con loro e ogni volta la trovavo più bella. Mi faceva sentire una puttana tanto la desideravo e lei lo sapeva e aspettava paziente il suo turno. Sulla quarantina, avevo lì davanti una bella gatta dagli occhi verdi molto intensi, e stuzzicava la fantasia con pensieri così vorticosi che mi lasciavano sul petto tremolii da infarto. Una gran fica, con delle belle gambe ben tornite con un filo di pancetta e il culo in fuori ben tondo.

Sognavo quel pube nero, setoso e forse peloso, solo d’estate un po’ rasato.

Avrei mordicchiato quei grossi capezzoli irti che ammiccavano da sotto il maglione. L’avrei amata per notti intere, sino a sfinirmi. Quella bocca carnosa e quella voce un po’ roca mi tratteneva fuori dal tempo.

Notai che quelle della sua età mi stuzzicavano e mi arrapavano più delle ragazzine e di tutte le mignotte di Firenze. Avevo fatto una scoperta, bastava solo provare, l’avrei messa alla prova, ma per rispetto a Marta mi trattenni dal farlo. Come con tutte le vedove della sua età non c’era da perdere tempo con lei: da poco più di un anno era sola e con i desideri che aveva accumulato me l’avrebbe ciucciato per una notte intera per poi il giorno dopo finirmi a colpi di reni. «Dio, non farmi morire dentro una fica», pensai. Le offrii solo un caffè. L’accompagnammo alla sua millecento blu di seconda mano e la salutammo: nell’andar via la mia voglia partiva con lei per ritornare chissà quando. Tornammo in casa a sistemare quei rancori che ci avevamo inferti. Risolvemmo la questione in poco tempo nel brindare alla faccia di chi ci voleva morti e stappammo anche un’altra bottiglia di Porto.

Lola aveva messo quel vestitino di lana, rosso, cortissimo che la faceva sembrare una bambola soffice. Le donava molto, con i suoi occhi azzurri e i capelli dorati a caschetto. Sì: era decisamente carina e desiderabile. La presi per dietro e la baciai sul collo in più parti, mentre Marta, con una mini nera, la camicetta di seta gialla, gli stivali oltre il ginocchio, e quei capelli neri come il cuore dell’inferno che cadevano ondulati sulle spalle, assisteva facendo finta di niente. Col silenzioso consenso di Lola la baciai sino a mozzarle il fiato: era bollente e mi stringeva i fianchi. Era bello ma con loro pareva la prima volta, mi sentivo sempre un pivello da sverginare, per questo forse attiravo le fregne. I sogni vanno vissuti, e chi non vive questo sogno o è un cieco o è un coglione. Domani è Natale? «Chi se ne frega!»

Noi, guardiani del cosmo, senza meta saltiamo da una stella a un’altra. Noi bruciamo le religioni e uniamo gli uomini. Noi odiamo e cantiamo la pace. Noi amiamo e doniamo la guerra. Noi ribelli senza freni siamo qua, vivi; dentro a questo libro mai scritto sta la verità del nostro sogno, nella nostra pelle piena d’umori.

Il nostro peccato si chiama vita. Saremo condannati a una storia che si ripeterà? Fate vedere la verità dentro al pozzo, ne avranno paura a vederla rannicchiata così grande senza voce, eppure così potente. Carcerati assassini sorrideranno tra quei pochi metri quadrati di piastrelle puzzolenti per avere scoperto di aver espiato la colpa nella rivelazione di essere parte di Dio. Pregano nelle tenebre increduli della scoperta. E poi al mattino, nello sbatacchiare di chiavi, quando la musica vorrebbe ricominciare come se niente fosse avvenuto, allora urlerai loro: «Andate, uscite, siete liberi.»

Inciamperanno timorosi varcando la soglia e ti domanderanno se la libertà è maschio o femmina. Sarai lì a aiutarli, gli indicherai la strada giusta, sarai premuroso nello spiegare cos’è la libertà: quel battito di cuore che non si ferma mai, quell’aria pura, quel sole che splende e acceca gli occhi, quel camminare tranquilli senza tremare nel voltarsi a difendersi. Così andava la lotta di pensiero nella cassa toracica piena di fumo.

Valvole in avaria s’aprono male nella dubbiosa nebbia di canzoni di protesta. Il fine è nella noia, ripetitivit‡ commerciale, così la tendenza cade e va a farsi fottere coi suoi altari sacrificali. Il pensiero raccatta i suoi pezzi e ci rode il fegato a pensarci bene, ma non ti preoccupare: se sei disoccupato continua pure a bere sino a strozzarti.

Nessuno avrà capito quello che tu stavi pensando; striscerai nel tuo piscio agonizzante e la mattina presto penseranno gli spazzini a portarti via. Piccolo pensiero vagabondo del cosmo in movimento. Alieni alla guida di astronavi, persi alla ricerca della purezza del mondo. Poltrone di velluto, occhi chiusi, libri in mano cadono a terra. Lola e Marta si sono messe in libertà, le vedo scorrazzare per la casa libere come cavalle sciolte dalle briglie correre veloci sulla prateria della vita. Mi sazia talmente la presenza che finisco col dimenticare i soliti vizi. Il gioco indiano col suo freddo tepee sta per cominciare. Se non ci fossero le donne le inventerei con le loro morbide curve e inventerei nuove matematiche che mi consentano di tracciare i loro occhi e il loro culo con complicate equazioni. Ah, che noia senza quelle due piccole adorabili troiette: come passerei il mio tempo? Magari a scrivere tutto il giorno o a leggere, sai che rottura di coglioni la vita? L’unica cosa che odio di loro e che mi fa andare in bestia è il modo con cui gestiscono l’ordine, l’inutile tentativo di bloccare l’entropia che risucchia la nostra esistenza. Potendo generare si credono Dio.

Così alla prima occasione ti fanno fare un bagno per poi raderti e tagliarti i capelli. Invece nel disordine c’è sempre qualcosa da fare e non t’annoi mai. Come ogni donna trasmutano col tempo l’ordine in dovere e il dovere è il cappio della passione, ecco perché io mi incazzo tanto: perché se litigo non scopo più, e mi tocca a star lì a menarmelo di giorno e tutta la notte. Ma faglielo capire che l’ordine ti fa perdere buona parte del tuo tempo, sempre lì com’è a disfarsi, come la tela di Penelope, e coll’andare t’avvelena la vita e tu ne diventi complice e protagonista. Lo sai come la chiamano negli States questa malattia deficiente: «Stress. Sindrome da stress. E’ un serpente.» Ovvero poveri idioti con lo straccio in mano a scacciare una polvere che si deposita senza sosta! Sono attivo oggi, ho il diavolo in corpo e nessun foruncolo sull’uccello. Giro per casa come un orso catturato dal cacciatore che mi tiene prigioniero. Avrei voglia di andare giù in centro magari a bermi un paio di birre. Ma ho promesso alle cocche che resterò a casa. Mi invitano a guardare la notte che si approssima, scostiamo le tendine e noi cuccioli caldi ci stringiamo silenziosi.

Continua a nevicare, nel buio circostante neanche un cane col muso bagnato pesta la neve. Stiamo così abbracciati a ascoltare il pulsare del tempo che passa, vediamo volare via la paura della certezza del fallimento. Guardandoci negli occhi siamo sicuri che stanotte abbiamo vinto tutti i mali. Ce l’avrebbero tornata in dietro la cauzione? Eravamo assolti dagli spettri del mattino?

Chiudemmo le imposte e ravvivammo il fuoco. Marta mise la tovaglia sopra la tavola:

«E’ una serata speciale questa», e Lola accese le candele, quelle due nuove che erano dentro la scatola di latta rossa sopra lo scaffale dei libri.

Cominciammo a sentir la voglia di cenare, oramai si erano fatte le ore della sera. Lola aveva già messo l’acqua a bollire e lo zafferano sopra il tavolo, le passo il sale e la scatola del riso e il mestolo di legno. Lo butta dentro contando le parti a piccole manciate e poi a bollire a fiamma alta. Sapeva che andavo matto per il riso con lo zafferano. S’erano divise i compiti a mia insaputa e tutto filava come ai vecchi tempi, con me stavano bene più che con i loro fratelli. Vidi Marta aprire il frigo e scartare un cartoccio con dentro del pollo: lo mise su una casseruola per cucinarlo a fuoco lento con degli aromi e tanto peperoncino, di quello macinato. «Perché butta tutto quel peperoncino sul pollo, pensavo che fosse il famoso pollo alla diavola invece è alla messicana. Cosa vuoi che ne sappia io di cucina. Forse loro avranno fatto un corso, magari di sera e forse quando non ci conoscevamo affatto.» Simili pensieri oziosi, futili, meravigliosamente inutili mi tenevano compagnia. Il vapore saliva in nuvole lente, la fiamma alta e le loro curve sulle pentole e io ravvivavo il fuoco con nuovi ceppi, non c’era musica nell’aria, la musica eravamo noi col ridere e lo scherzare e lo scoppiettare dei ceppi che ardevano veloci, col nostro saper vivere con poco e non curarsi del dopo. Dove nel tanto metti in mano poco, e nel poco ti riempi le tasche dell’immensità. Immaginare il futuro è pura follia, è come parlare a onde di mare che si frangono sugli scogli, questo turbamento mi fa orrore e mi violenta anche se quel faro di notte continua a illuminare il cielo.

Vado in centro con la mente, mi dirigo per il centro storico anche perché è lì che mi piace andare, dove ci sono ancora luoghi nei quali puoi passare un paio d’ore in pace. Luci e festoni colorati, Babbi Natale, stelle e stelline e anche delle ninfette in giro, un poco puttane. Vedo questa febbre frenetica che ammorba l’aria, gente che corre dentro e fuori dai negozi e s’ingozza le mani con tutto quello che può. Tutti a riempirsi la pancia come dei maiali. Il circo delle vanità è appena arrivato: se fate in fretta a entrare vi faccio lo sconto e vi offro una birra. Quelli del Comune si sono dati una mossa, domani è Natale anche per i barboni, e sono indaffarati a mettere i tavoli e le tovaglie rosse, i panettoni e il discorso del sindaco, a cui non gliene frega un tubo e gli fa anche un po’ schifo, e le bottiglie di vino rosso giù a garganella. Domani è Natale? E dopo, che cazzo si fa?

Domani è Natale e qualcuno verrà ignorato: anche se la musica del diavolo cambierà melodia, loro saranno lì, sulla solita collina di rifiuti a vagare in cerca di un boccone da masticare. E ancora altri e, dopo i più piccoli, i più piccoli ancora, coi loro nomi caldi brasiliani. E se il sole batte a picco si continuerà a suonare per dimenticare la fame, si batteranno anche le mani e cominceranno a ballare.

Uomini e topi in lotta su cumuli di rifiuti all’ombra della morale che giudica la vita e esegue la sentenza. Ora gode d’esser presente in prima fila alla predica del prete e poi al suo funerale. Com’è crudele il mondo con la sua differenza, dove sta la ragione in chi regala questi cuccioli con una scopata di pochi minuti? Pochi minuti di piacere e una vita infernale. «Dove andremo ora se il discorso si fa politico?» ruggì il sergente.

La truppa è sull’attenti: aspettano d’attaccare con la forza chi non vuol marciare. Sono talmente stanco di star qua a guardare, che fra poco andrò in ferie col giovane marine di ritorno dal Vietnam con la varicella, le palle siliconate e una bottiglia di cianuro.

L’ho sempre detto al mio amico Joe, che è meglio un assolo di chitarra che una pioggia di bombe anche se siamo alla terza prova industriale.

E lui sempre a dirmi: «Sì, Henri, hai ragione, sono proprio dei bei discorsi cazzuti con tanto pelo.» E io a dargli della puttana venduta che non capiva un cazzo e del leccaculo. «Vero Joe? Ti ricordi le liti che finivano a sera e poi come al solito ti riempivo di botte perché tu continuavi con la solita tiritera?»

Mi è passata la voglia di cenare e quasi piango: sì, piangerei come la pioggia che butta forte col temporale, se quest’odissea non si decide a approdare da qualche parte. «La sensibilità t’abbrevia la vita e a lungo andare ti porta via come il vento quando arriva forte e fa tremare le foglie morte.» Lola mi fa un buffetto sulla guancia e mi riempie il piatto di riso: le sorrido. Mi faccio venire la voglia di cenare sennò le potrei offendere di nuovo. Mangiamo allegramente e Lola stappa una bottiglia di vino friulano, di quello buono sul serio, che sembra fatto da mani antiche e nel berlo viene il dubbio. E giù di brutto senza esitazione per calmare la lingua dal fuoco del peperoncino che Marta, distratta da una mano insinuante, ha sparso sul pollo. Ci mettiamo a ridere del pollo alla messicana che più che un pollo pareva un diavolo incazzatissimo con le budella di fuori. Gli cantiamo una canzone tanto per calmarlo, battendo il ritmo con le posate su piatti e bicchieri, con Marta che cambia la voce come al solito e mima la sbronza. «Come siamo matti. Con le proprietà del peperoncino non si scherza mai perché lui va subito al sodo.» Se l’hashish ti prende per il cervello e fa ridere, lui, l’astuto, s’intrufola nelle parti più basse e sai che notti devi traghettare. Lola e Marta, a sentirmi parlare del peperoncino si lasciano andare a scoppi di risa finché le lacrime arrossano gli occhi.

Anche quando sto zitto e le guardo ridono lo stesso, anche di più. «E’ una bella serata di quelle giuste, anche se di fuori infuria l’inverno noi siamo su di giri: stappiamo un’altra bottiglia.» Siamo al secondo piano dello scassatissimo autobus inglese e ci lasciamo scarrozzare come turisti giapponesi. Lola armeggia sul giradischi mentre io e Marta mimiamo un languido ballo alla Valentino. Si struscia lentamente col suo corpo sinuoso, ci sto al gioco che non sa dove andrà a finire. Finalmente Lola si decide con la musica: «Che abbia avuto un’intuizione nello scegliere la melodia? Stavolta ha fatto centro» dico a Marta. Il disco srotola pigramente l’assolo di sax che vola nell’aria e si espande su noi che balliamo questo strano ballo a tre. L’ennesima bottiglia a metà è tra le mani di Lola e passa di mano, tiriamo a canna e i rutti sono da porci schifosi. Ridiamo delle nostre storie ubriache che ci hanno guidato in tante notti bianche finite con lunghi giri a scorrazzare per le città vicine. Notti insonni alla cerca di cavalieri da portare con noi, alla cerca del Santo Graal che non c’era. A rincorrere i guai. Sogni senza nome, per poi fermarsi a pisciare in mezzo all’autostrada con le macchine che arrivavano veloci per frenare di colpo e poi partire sgommando e con un «In culo!».

Siamo fatti e pronti stanotte anche se di fuori tutto tace, ma qui su questa casa in groppa alla collina il fuoco è vivo e vermiglio. Il vizio del gesto si compie e in un attimo ramazza la posta. Languide baccanti selvagge lasciano a terra vesti sacrileghe. Odore di carne, sacrificio, sesso, fatica, ricompensa sul tappeto persiano così caro a Mimì. Muschio soffice dei corpi, ci accarezziamo dolcemente dandoci la lingua con voluttà. Entro e esco dall’una e dall’altra, urla di piacere, spasmi di viscere, seni sudati, erezione, orgasmo, oscurità. C’è tutto un fine su quello che sappiamo, sonni indiani belano tra le stelle: come cuccioli sazi stringendoci ci difendiamo dalla paura di restare soli. Vado all’armadio grande e prendo una coperta matrimoniale che stendo sopra il tappeto persiano; loro due lo afferrano subito infreddolite e nude. Siamo appagati perché la cosa non potrebbe continuare all’infinito, quello che doveva nascere è nato.

Sotto la coperta dorme un pezzo d’universo anche se l’illusione della solitudine è grande. Magari si potrebbe discutere dell’amore terreno con qualche vecchio frate in pensione e nello scoprire il vero si potrebbe restar male e finire col litigare tutta la notte.

Federico Livan

[su]

Le avventure di Al Cultman, di Alberto Fassina, libri, romanzi, musiche film di culto deglli anni Novanta

Notti l’anno degli esami

Notte l’anno degli esami.

Sono uscite le materie, non pensavo ma mi sono emozionato.

Sta tutto cominciando, si parlava, si parlava, a settembre si parlava.

Quest’anno, quest’anno

e adesso cominciano le cose veramente.

Mi sono emozionato.

1

Notte l'anno degli esami

domani c'è il compito di anatomia.

Non è uscita anatomia all'orale, quindi adesso le daremo meno importanza

questo è uno degli ultimi compiti di anatomia. Domani

Anzi oggi è quasi l'una.

E' un classico studiare fino a tardi per anatomia.

E' un classico studiare fino a tardi.

Anche quelli di canale cinque però...

mi hanno messo alla tv Gli intoccabili.

E poi io domani, che è oggi, c'ho pure il compito.

E lì sulle scale scendeva la carrozzina di De Palma. E poi la scena delle giurie che si scambiano e De Niro che si incazza.

E poi dovrei studiare.

Notte l'anno degli esami.

Anche mio padre che è l'ultimo ad andare a letto dorme.

Io dovrei studiare

non posso, con la musica di Morricone in testa.

Con il libro che aspetta di essere guardato.

Domani è praticamente l'ultimo compito di anatomia

anzi

Oggi.

2

Notte l'anno degli esami.

La Michela è appena andata a casa.

Siamo tornati a parlarci, sarà da tre mesi che non mette piede qui in casa.

Questa sera è venuta a vedere La strada.

Fellini l'ha riportata qua.

Mi piace pensarlo

Volevo fumare una sigaretta ma non mi è venuta la voglia poi.

Per i bellissimi trasmettono Harry ti presento Sally.

Spaventa un po’ vedere questi due che erano amici e poi si sono sposati.

Mi sono emozionato a vedere quel finale, che è una stronzata, che piace a tutti.

Ma mi sono emozionato a pensare che la Michela magari lo stava contemporaneamente guardando.

E per forza le sarà venuto da pensarmi.

le sarà venuto da pensare a quello che è passato e al fatto che dopo tanto è tornata a casa mia.

Notte l'anno degli esami

oltre a Fellini anche Sally mi ha emozionato.

Non ho voglia di dormire.

Dormirei subito

sono stanco ma ho ancora un'ultima voglia

prima che finisca il giorno

3

Notte l'anno degli esami

Poi viene questa pazza idea che ad aprile e maggio si studia, si studia e si studia.

Non ho voglia di studiare.

In prima e in seconda la notte studiavo, tanto e bene. Preparavo bene parte delle materie, poi studiavo in autobus,

e anche lì studiavo bene, quaranta minuti fissi.

Memorizzavo. Quindi praticamente durante il giorno non facevo nulla.

Non leggevo nemmeno.

Notte l'anno degli esami.

E' tutta colpa loro. Stanno fermi un po’ sulla libreria e un po’ sul tavolo.

Eccoli lì: Jack Frusciante, Il giovane Holden, Boccalone, Rock Springs.

ma soprattutto Cattedrale, Vuoi star zitta per favore?, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, Altri libertini,

Sono loro i colpevoli.

I colpevoli delle discussioni in casa, i colpevoli del poco interesse per la chimica, l’anatomia la genetica.

Sono loro che mi stanno facendo credere che scrivere sia bello, importante per me e

per gli altri.

I miei libri di culto.

Come queste notti a cui starò sempre molto attaccato con il ricordo.

Tra due mesi non ci saranno più, ma a pensarle

saranno notti di culto, notti l'anno degli esami, notti con l'idea di studiare e poi arriva un film alla televisione.

Non c'è un rumore, in tutta la casa di accesa c'è solo la mia luce.

4

Notte l'anno degli esami

alla radio c'è la canzone Quando di Pino Daniele.

Ci sono troppe cose che mi fa venire in mente questa canzone.

Soprattutto colori.

Colori di pomeriggio, saranno state le due di pomeriggio, che i miei genitori con mia sorella e le sue amiche partivano.

Mia sorella aveva finito da due giorni la maturità, partiva con le sue amiche per il mare.

Con la roulotte, mio padre e mia madre le hanno accompagnate.

L'amica di mia sorella mi aveva portato per farmi una sorpresa quasi una decina di film da guardare.

Lei c'aveva Tele+1.

E così io ho messo Pensavo fosse amore e invece era un calesse.

Perché l'anno prima su Ciak avevano fatto un servizio su Francesca Neri ed io mi ero innamorato, soprattutto dei Jeans chiari e della camicetta rossa che indossava.

E poi la musica del film si sentiva per il salotto, e mia mamma aveva abbassato le tende fuori, e il sole non entrava in casa, solo la sua luce filtrata.

L'estate praticamente è cominciata quel giorno.

L'estate sul divano, con il film alla televisione, la musica di Pino Daniele per il salotto.

Il comico napoletano e la Francesca Neri che si baciano.

L'estate è cominciata quel pomeriggio da solo in casa.

Poi ha suonato il campanello.

Notte l'anno degli esami.

La chitarra di Pino Daniele mi riporta dei colori, e quella visita inaspettata.

forse potevo comportarmi diversamente.

forse potevamo guardare tutti e due il film.

5

Notte l'anno degli esami

Matematica, algebra analisi. Non capisco.

Non capisco nulla di queste cose. Le riesco a seguire ma i compiti, gli esercizi per casa, le prove in classe.

Nulla. Eppure qualcosa riesco a capire ma non è abbastanza.

Domani c'è il compito. Gli esercizi non mi vengono, mi viene il nervoso, scrivo il testo e poi non so da che parte cominciare.

Dovrebbe essere meglio dormire.

Sul libro riesco anche a seguire.

Alla tv c'è Sliver con Sharon Stone.

Sono sicuro che anche i miei compagni staranno guardando.

In seconda serata, saranno o a letto come me o sul divano.

Tutti staremo guardando Sliver, e prima di addormentarci, di chiudere il quaderno di mate vogliamo vederle queste tette della signora in questione.

Immagino che siamo tutti in attesa della scena di sesso.

E prima arriva e poi si va a dormire.

Con Beo per queste cose c'è telepatia, ora Sliver è in prima tv su Italia1 e quindi è più facile che Beo e i miei compagni lo stiano guardando.

Però con Beo è diverso, perché se su qualsiasi rete possa essere:. Teleregione, Italia7, Odeon, Tele Capri, Rete Azzurra, Telenuovo qualsiasi rete privata io e Beo riusciamo a essere in telepatia e guardare lo stesso programma.

Tra tante tette e discorsi erotici, io e Beo cadiamo sugli stessi.

E poi il giorno dopo ci capiamo subito e non serve nemmeno chiedergli se ieri verso mezzanotte e venti ha visto Serena Grandi, non serve nemmeno chiederglielo.

Notte l'anno degli esami.

Domani c'è mate, adesso c'è Sliver, lo sento che siamo in attesa dell'incontro fra i due.

Manca poco e poi chiudo la luce.

Domani avremo qualcosa da raccontarci.

6

Notte l'anno degli esami.

Dovevano abolire i film in seconda serata.

Dovevano abolire i film belli, quelli che trasmettono tardi.

Non posso studiare, ripassare, ricopiare.

Guardali lì, sia su Retequattro che su RaiTre o qualche altra rete.

Ieri sera c'era Blade Runner.

Notte l'anno degli esami

Blade Runner

lasciatemi in pace finché non finisce non dormo.

7

Notte l'anno degli esami

Ho il culto del sonno.

Non mi giro e rigiro mai nel letto.

Prendo sonno subito, e la mattina non riesco a ricordare quel passaggio tra il sonno e il non sonno.

Qualche volta provo a contare fino a dieci, ma non per addormentarmi, non è il contare delle pecorelle. Conto fino a dieci per vedere se la mattina mi ricordo quale ultimo numero ho pronunciato.

Ma la mattina non mi ricordo mai ne se ho finito la conta ne se sono arrivato ad un numero preciso.

Ho il culto del sonno.

Nel momento in cui chiudo gli occhi so che mi addormenterò.

Per cui chiudo gli occhi ben consapevole che saluto la notte.

Chiudo gli occhi e so che mi addormento, cerco di godermelo questo momento di rilassamento.

Il momento dura troppo poco. Mi addormento.

Notte l'anno degli esami.

Tengo gli occhi aperti.

Questa giornata può avere qualcosa di nascosto e quindi da scoprire.

Chiudere gli occhi sarebbe come dire: luce, motorino, strada, scuola fatevi avanti.

Un momento ancora.

uno.

8

Notte l'anno degli esami.

La mia Vespa e a riparare. Praticamente non la rivedrò più.

Ne comprerò una nuova, che sono sicuro mi piacerà ugualmente, però non sarà la mia Vespa.

giro questa sera con il motorino di Nava, in tanti mi chiedono che fine ha fatto la mia Vespa.

Mi rendo conto che la gente sentiva forte questa presenza vicino a me.

E' come se tra due amici poi si litiga, la gente non vi vede più insieme e chiede: "Ma il tuo amico che fine ha fatto?".

La gente ha memorizzato la coppia.

Io adesso non ho più la Vespa, tutti mi chiedono dov'è. Vuol dire che era come una mia amica, era qualcosa con cui andavo sempre in giro. Mi piace pensare che la gente avesse questa idea.

Notte l'anno degli esami.

A girare col motorino di Nava mi sento un po’ solo.

Mi viene da fare il giro che faccio spesso sotto i balconi delle case dei miei amici.

Di solito ,la sera, passo con la Vespa, guardo i balconi, penso alle persone amiche che ci stanno dietro, penso che stanno dormendo, stanno studiando stanno leggendo.

E loro spero sentano la mia Vespa, riconoscano il rumore, spero di essere presente in un loro primo pensiero.

E con i loro pensieri mi sento meno solo.

Questa sera con il motorino di Nava non mi riconosceranno, non mi sentiranno, non mi penseranno.

I pensieri questa sera saranno questa sera saranno solo i miei per loro.

Mi va bene così però

mi sento ugualmente solo.

9

Notte l'anno degli esami.

Chissà come sarà questa notte.

Chissà che film ci sarà.

Domani c'è il compito di biochimica.

Questa notte ripasserò, girerò per i canali, se ci sarà un film sono sicuro che non riuscirò a spegnere. Se mi capiterà sotto mano Il giovane Holden guarderò le sottolineature vecchie, magari farò qualche segno nuovo.

Notte l'anno degli esami.

Chissà come sarà a giugno, la notte prima degli scritti, la notte prima dell'orale,

la notte prima degli esami.

Al di là dei risultati ci saranno queste notti, vicino ai miei culti, i miei film i miei libri, gli amici i fumetti.

Notte prima degli esami farò un giro con la Vespa nuova.

Farò un giro con l'aria calda d'estate.

Notte prima degli esami.

Sarà buio, troverò da chiacchierare con qualcuno.

Telefonerò alle due alla Chiara che sarà interrogata dopo di me.

"Ciao Chiara" le dirò "Scusa per l'ora ma penso che tu stia riguardando le ultime cose... Chiara domani tocca a noi e poi io non sarò più il numero 16 e te il numerò 17... Chiara è così bella questa quasipaura, è così bella questa notte. Senti il caldo. Senti i sensi di colpa per tutto il tempo sprecato al posto di studiare.

Senti i rimorsi per quello che si poteva fare meglio.

Senti io che ti parlo al telefono, ti voglio bene perché sei una mia compagna di classe, perché in questo momento siamo molto vicini.

Spero anche tu me ne voglia.

Ciao."

Alberto Fassina

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