Index ATTUALITA' - Maggio 1997

Usl, nel bilancio la salute va in rosso

I paradossi della cosiddetta "gestione manageriale" delle Unità sanitarie locali. Una strana "impresa" dove i direttori generali invece di razionalizzare le spese ma puntare alla qualità sembrano pensare più al risparmio e all’immagine. Senza preoccuparsi in fondo se il prodotto finale, cioè la salute dei cittadini, è realmente migliorato

Gestione manageriale. Due parole per evocare il fantasma dell’efficienza. Due parole che evocano tutt’altro genere di ectoplasma nel caso specifico delle Unità sanitarie locali.

Chiunque abbia avuto l’occasione di avventurarsi nel territorio della sanità pubblica sopravvissuta all’opera di De Lorenzo, sa bene che l’efficienza non abita da quelle parti. Ma perché la gestione manageriale non ha funzionato?

Gestione manageriale: anche i bambini sanno che si tratta di gestire razionalmente un’impresa finalizzata a produrre profitto. Trasferendo lo stesso concetto dall’ambito dell’impresa privata a quello della cosa pubblica, la gestione manageriale dell’Usl dovrebbe essere finalizzata a produrre salute. Invece, produce caos.

Concretamente non sono né salute né profitto il fine dei manager dell’Usl. Riguardo all’efficienza, è meglio stendere un velo pietoso. Lo scopo dichiarato di gran parte di questi funzionari è il risparmio.

Ovviamente non mancano le situazioni in cui nelle aziende private si rendono necessari tagli e ridimensionamenti, ma si tratta in questo caso di salvare il salvabile in vista dell’unico fine possibile: il profitto. Ci sono anche imprese che non funzionano a scopi di lucro ma per produrre assistenza e servizi. Ma comunque, un’azienda privata che funzionasse al solo scopo di produrre risparmio incarnerebbe un paradosso vivente.

Nel caso dell’Usl il risultato non è solo paradossale, ma anche controproducente. Infatti, i maghi del risparmio spesso non riescono a far sparire il disavanzo, ma misteriosamente riescono a moltiplicarlo. Per non parlare di come riescano a far materializzare disordine e disservizio là dove prima c’erano piccole ma rigogliose isole di efficienza.

Esaminiamo le credenziali di questo boss del paradosso: il manager dell’Usl. Non tutti possono diventarlo. Il Direttore Generale delle varie Usl viene nominato dalle Regioni. Ufficialmente, sono necessarie una laurea e una provata esperienza in campo dirigenziale. Ufficiosamente la scelta degli eletti avviene tra le solite fila dei soliti burocrati. Buone capacità nel campo delle pubbliche relazioni costituiscono come sempre un requisito preferenziale.

Molto raramente il manager dell’Usl proviene dal privato. Quasi sempre gli esperti incaricati di importare il mito dell’efficienza privata sono funzionari pubblici.

Come abbiamo visto, l’obiettivo dichiarato è il risparmio. Non che sulla carta si ammetta che la qualità dei servizi sia da dimenticare, infatti si tende a parlare di "risanamento". Ma nella pratica, le cifre tagliate possono essere documentate ed esibite come fiore all’occhiello, mentre la qualità, ovviamente, non si può quantificare.

In compenso capita spesso che, in questi tempi di vacche magre, ingenti somme vengano spese in "immagine". Uffici e ambulatori cadono letteralmente in pezzi, personale e materiale di prima necessità scarseggia, ma al manager sembra molto più vantaggioso investire capitali in un nuovo logo, o in gadgets magari di ottima qualità ma completamente inutili. Vengono aperti siti Internet, ma gli uffici non dispongono nemmeno di un misero fax.

Infine dietro il simulacro del risparmio appare l’autentico obiettivo prioritario dei Direttori Generali: l’esibizione, la facciata, l’immagine.

In un’azienda privata (non parlo delle tante aziende che vivacchiano alle spalle dei contributi pubblici, ma delle vere aziende private) il concreto, ovvero il profitto, alla fin fine si dimostra un requisito irrinunciabile.

Prendiamo il caso in cui il manager non solo non riesca a centrare l’obiettivo del risparmio, ma peggiori la situazione, realizzando un bel buco di centinaia di miliardi. Di fronte ad un risultato del genere, le prospettive di un manager privato sarebbero tutt’altro che rosee.

Ben diverso il caso del manager Usl. Come abbiamo visto, in genere proviene dal settore pubblico, il che gli permette di mettersi in aspettativa e conservare la tranquilla sicurezza del posto di lavoro. Male che vada, il manager che ha fallito si vedrà negare il rinnovo del contratto da parte della Regione, e sarà costretto a tornare al lavoro di prima, non senza aver incassato uno stipendio da favola.
Ovviamente, non si tratta di bollare di infamia un’intera categoria. Come capita spesso in Italia, la scelta di svolgere un buon lavoro viene abbandonata interamente sulle spalle del singolo individuo. Il guaio è che la buona volontà non basta, ci vuole una ferrea determinazione per contrastare i meccanismi di un sistema che premia chi bara.
Infatti, risulta molto più semplice e gratificante un’attività dannosa ma che promuova risultati immediati e documentabili. Ad esempio, è abbastanza facile raggiungere buoni risultati in breve tempo: basta tagliare indiscriminatamente, operare cambiamenti inutili ma vistosi, buttare via soldi in immagine. Peccato che i risultati rimangano positivi solo sulla carta.
Tentare un vero risanamento, basato su una strategia anche a lungo termine, ma che salvi la qualità? In questo caso, la qualità coincide con la pelle degli utenti. Speriamo che qualcuno si ostini tenacemente a considerarla un fattore importante.

Antonella di Martino