Index ATTUALITA' - Aprile 1997


La rabbia femminile

Cesare Musatti, che è stato uno dei più noti divulgatori della psicoanalisi freudiana in Italia, aveva delle convinzioni nitide e determinate riguardo alle differenze tra i sessi: "...è nella natura femminile aver bisogno di protezione... Alla base di tutto c’è una costituzione fisica diversa: quando vanno a letto l’uomo e la donna hanno delle funzioni diverse, e questo fatto ha poi un’influenza su tutto il loro rapporto" (Stefania Rossini, Dieci psicoanalisti spiegano i temi centrali della vita, Rizzoli 1985).

Una variazione sul tema di questo luogo molto comune attribuisce alle donne un’indole più remissiva di quella maschile, causata dalle sue specificità organiche e ormonali. Il rovescio della medaglia consisterebbe in una incapacità non solo a sfogare, ma anche a riconoscere la rabbia e il risentimento.

Uno studio pubblicato dalla studiosa Sandra P. Thomas nel 1993, analizza a fondo la questione della rabbia al femminile. La credenza che le donne abbiano una tendenza fisiologica a respingere e ignorare la propria rabbia è dovuta, secondo questa tesi, alla scarsa diffusione di studi specifici sull’argomento. Per scoperchiare la pentola a pressione che racchiude e soffoca la rabbia delle donne, bisogna indagare al di là dei cromosomi.

La donna non si trova nelle condizioni di poter manifestare liberamente la sua rabbia.

Ha l’obbligo di piacere. Deve essere non solo bella ma anche buona. Il suo comportamento non deve essere sgradevole o fastidioso, non può denunciare l’esistenza di disagi e conflitti. Il compito del gentil sesso è quello di abbellire il mondo, non di cambiarlo.

La rabbia femminile è ammessa solamente quando sostiene e difende deboli o bambini. In queste occasioni infatti l’emozione perde le sue connotazioni egoistiche, tanto antiestetiche e poco femminili. La madre che tira fuori gli artigli per difendere la prole è una fiera e nobile tigre, la donna che alza la voce per difendere i suoi diritti è una gallina starnazzante.

Eppure, basterebbe citare qualche piccola cifra per rendersi conto che le rivendicazioni delle femministe non sono obsolete. La percentuale di donne parlamentari nel mondo è piuttosto bassa: 11,7%. Qualche anno fa la cifra era leggermente superiore (14,8%), segno che le cose stanno gradatamente peggiorando. La crisi economica in Europa favorisce il rientro forzato ai focolari domestici. In Italia il 70% della disoccupazione è costituito da donne.

Sfogliando le immagini colorate di giornali e televisioni emergono riflessi molto evanescenti di questa realtà. La donna tradizionale, sensuale e materna, si è rivestita dei panni della soldatessa in marcia, dell’elegante professionista, dell’atleta muscolosa e della presentatrice dotata di senso dell’umorismo. Potrebbe sembrare un divertente assortimento tra cui poter scegliere. Invece qualsiasi scelta nasconde un pericolo. Questi modelli infatti non sono conciliabili: impongono non solo di conservare il modello tradizionale di donna tenera e materna, ma anche di sviluppare caratteristiche virili di forza e aggressività.

Dai media vengono imposte figurine attraenti, irraggiungibili e ambigue. Innanzi tutto le donne devono essere curate e ben vestite, ma questo è soltanto il minimo indispensabile. Se non lo sono vengono prese in giro per "la messa in piega fatta in casa". Ma anche quando obbediscono alle direttive vengono sarcasticamente rimproverate in quanto "griffatissime" e "parrucchieratissime".

L’ideale estetico più in voga richiede la donna magra ma con un seno prosperoso. L’insieme è piuttosto difficile da realizzare, per fortuna esistono reggiseni architettonici e chirurgia plastica. Ma chi decide di farsi tagliare dal chirurgo per soddisfare queste indicazioni viene criticata attraverso l’esibizione di spietate documentazioni fotografiche "prima e dopo".

Comunque gli aggettivi ci sono per tutte: "grasse", "vacche", oppure "anoressiche", "curve di cellulite" oppure "siliconate". Chi osa avere ambizioni intellettuali viene dileggiata per la sua "aria pensosa", mentre dall’altra parte ci sono le solite "oche" e "analfabete". C’è perfino chi viene accusata di essere "troppo perfetta".

Il messaggio è forte e chiaro: non c’è via di scampo.

La donna deve essere competitiva e realizzata nel lavoro, nonostante la disoccupazione. E allo stesso tempo deve essere una brava madre, perché la natalità è in calo, scegliendo per la gravidanza i tempi giusti, perché dopo i quaranta rischia di essere troppo vecchia. E come se non bastasse, si pretende il sorriso, il buon umore, l’allegria.

Una vera donna ha sempre il sorriso sulle labbra, sa comunicare, sa farsi apprezzare, è sicura di sé e in grado di difendersi. Piagnucolare è vietato.

Timidezze, complessi, insicurezze, tutto un bagaglio di eventualità inevitabili che sempre sono esistite e sempre esisteranno, non sono più permesse. Bisogna raggiungere la Salute, un perfetto equilibrio psicofisico composto da una psiche muscolosa in un corpo intelligente. Bisogna crescere, maturare, inseguire di corsa un miraggio irraggiungibile e splendente di forza e di bellezza, ma anche di stupido consumismo.

Questi imperativi categorici e incoerenti contribuiscono attivamente a diffondere depressione e malattie psicosomatiche. Anoressia e bulimia, patologie particolarmente legate alle imposizioni sociali incombenti sull’immagine corporea, sono manifestazioni molto recenti: l’anoressia viene citata per la prima volta nel D.S.M.III (manuale diagnostico delle patologie mentali) del 1980.

La rabbia c’è, anche se non si vede.

Tutto questo genera una quantità consistente di rabbia. Purtroppo, rifiutare valori condivisi e massicciamente propagandati non è facile. Di conseguenza, questo sentimento non viene riconosciuto o non viene accettato, e provoca malesseri più o meno gravi. Può anche semplicemente trasformarsi in lacrime, tristezza, avvilimento. Non è facile riconoscerla dietro i sintomi della depressione o di altri disturbi. Eppure si tratta di rabbia, resa socialmente accettabile.

Tra le cause che contribuiscono a creare incomprensioni intorno alla rabbia femminile vi è anche il malinteso che esiste tra questa specifica emozione e altri termini affini. Più propriamente si dovrebbe parlare di collera, oppure di ira e stizza, ma il termine rabbia, che prima indicava una grave malattia infettiva, ora è il più comunemente usato. Comunque la rabbia, o collera che sia, può essere definita un movimento di irritazione e di disagio, piuttosto intenso, provocato da una causa esterna. L’aggressività è differente, in quanto implica un’azione diretta contro qualcuno o qualcosa.

La rabbia delle donne è dunque sconosciuta in quanto non aggredisce, non strilla negli stadi, non violenta e non usa le mani, non fa correre le auto a tutta velocità, non è ben definita. Spesso implode silenziosamente, nascosta tra i malanni psicosomatici e le pareti domestiche. Se realizza atti giuridicamente riprovevoli si tratta in genere di crimini piuttosto insignificanti. Abusi di alcool e stupefacenti. Piccoli furti, a volte dettati da un oscuro senso di rivalsa e di ribellione. Spesso filtra tra i piccoli spazi lasciati liberi dagli obblighi sociali e dalle buone maniere, producendo un comportamento sleale e manipolatorio.

Per fortuna ci sono le streghe.

A volte invece la rabbia riesce ad evadere, e a conquistare qualche spazio libero. Chi ha avuto modo di avvicinarla non può che riconoscere la sua natura imprevedibile e vitale. Così lo psicoanalista milanese Adriano Alloisio descrive le sue esperienze professionali: "Comunque la rabbia femminile e' un'energia preziosa, proprio nella sua assenza di identità e di obiettivi. In analisi sono loro che mi insegnano, gli uomini sono di una noia ineffabile".

Un angolo riservato a questa energia preziosa è sempre esistito. Il timore nei confronti di streghe e stregonerie, da sempre universale, oggi investe più gli uomini che i bambini. Integralisti islamici e cristiani stanno cercando di superare questa paura usando i vecchi metodi. Ma ormai è troppo tardi. Anche se hanno abbandonato sabba e cortei, le streghe rifiutano ormai di tornare a rinchiudersi nei focolari domestici. Senza la pretesa di approfondire la ricchezza di significati che racchiude, si può affermare che questa perfida figura ha sempre custodito il potere della rabbia femminile, e le arti belle e magiche che ne possono scaturire.

Antonella di Martino