Index ARTE - a cura di Giovanna Grossato - Aprile 1997



Arte nella vita (e vita nell'arte)

Un nuovo libro di Dino Formaggio, " FILOSOFI DELL’ARTE DEL NOVECENTO", offre una visione personale su dieci tra le più significative personalità della Filosofia dell’Arte dall’inizio del secolo, è stato scritto anche per testimoniare e ribadire che l’arte ha come obiettivo la vita e per destinatario l’uomo.

Una delle più interessanti prerogative del pensiero è quella sua incessante, perenne necessità di rappresentare se stesso. Esso ama, discendere lungo i fiumi generati dalle consequenzialità per poi risalire alle sue stesse sorgenti. Ama ritrovare la radice che gli ha offerto validità e dato sostegno ai propri assunti, alle proprie intuizioni. La storia dei percorsi del pensiero è una delle molte storie interessanti da raccontare, da capire, da spiegare, seguendo, nel labirinto, il filo del gomitolo di Arianna.
Tuttavia, nel caso dell’ultima opera saggistica di Dino Formaggio, "Filosofi dell’arte del Novecento", non si tratta solo di un excursus lungo le tappe che hanno, per così dire, fornito la traccia della sua costruzione filosofica, ma anche, e forse soprattutto, di voler riconoscere a questi filosofi dell’ultima metà del nostro secolo, "dieci in tutto", un tributo affettivo di gratitudine.
Essi sono stati, "maestri" perché hanno offerto non solo ciò che sapevano ma anche ciò che essi stessi erano.
Direttamente, attraverso la frequentazione amichevole e degli studi universitari, o indirettamente, essi sono stati agenti catalizzatori di un flusso di idee e parte di questo flusso. Il loro insegnamento ha avuto come risultato finale molto più della somma dei singoli contributi di ognuno.
La riflessione retrospettiva di Formaggio, che si sviluppa in modo diacronico, prende l’avvio dall’incontro "storico" con il pensiero filosofico di John Dewey, dal quale, nel 1951,un anno prima della morte del filosofo statunitense, nacque un saggio, "l’Estetica di John Dewey". Incoraggiato nella sua ricerca dall’antiformalismo e dalla concretezza morale e sociale, dalla "logica strumentale" di questo pensatore, Formaggio giunge, due anni dopo, a curare l’edizione italiana delle "Vingt Leçons sur les Beaux Arts" di E. Chartier Alain.
Qui egli ha modo di fornire all’aspetto umanistico della costruzione filosofica di Alain un risalto a tuttotondo. Una "ricerca che ha l’uomo come fondamento e come fine, come esistenza e come valore" era in quel momento della storia del pensiero, ancora così astrattamente idealizzante, una pista troppo allettante per non costituire uno stimolo irrinunciabile. Era per Formaggio un’ulteriore conferma della necessità di uscire dagli schematismi e di incontrare "la potenza piena, salutare, veramente liberatrice, di un nuovo vigore etico - personale e sociale- anche nelle arti".
Il 1957 è la data dell’incontro con un’altra fondamentale personalità culturale, quella di Max Dessoir. Grande studioso dei fenomeni artistici che, a sua volta influenzato dalle teorie di Enrich Wolfflin sull’autonomia dei sistemi formali, fu antesignano, nel primo trentennio del secolo, di un’ipotesi di ricerca sulla formulazione di una moderna scienza dell’arte.
Sempre in Germania è nel 1969, nella filosofia di Nicolai Hartmann, che Formaggio si imbatte nello sviluppo della relazione arte-possibilità, attraverso un percorso che, partito da Aristotele, e attraverso Leibniz e Kant, ha la sua matura formulazione in tempi attuali e diviene postulato fondante di una teoria generale dell’arte.
Georg Simmel, berlinese, maestro del maestro di Formaggio, Antonio Banfi, è un’altra pietra miliare, delle meditazioni sull’estetica di Formaggio: la sua conoscenza avviene anche attraverso un saggio di Lukacs pubblicato nel 1918, subito dopo la morte del filosofo e sociologo tedesco. Dalla lettura di quest’ultimo nasce, nel 1976, la necessità di rivedere in modo più sistematico il pensiero di Simmel e di riscoprirne il fascino; fascino che deriva sia dalla sua teoria della conoscenza, tutta permeata di relativismo, ma soprattutto dalla grande libertà e capacità del suo pensiero di spaziare dalla sociologia alla morale, alla psicologia alla storia e, infine, alla metafisica.
Ma è ai maestri italiani degli anni Trenta, Adelchi Barantono e Antonio Banfi, che Dino Formaggio fa soprattutto riferimento, anche per il verificarsi di una condizione particolarmente felice: l’essere essi, cioè, non solo portatori di nutrimento intellettuale, ma anche compagni di esperienze di vita, di lotte, di affetti. Un rapporto che, per quanto riguarda Banfi, si è protratto dal 1937 fino alla morte del filosofo, nel 1957. Tale familiarità, sarà, più tardi, ripetuta con il fraterno amico, filosofo dell’estetica, studioso di formazione fenomenologica Mikel Dufrenne, scomparso nel 1995.
Dal loro sodalizio amicale ed intellettuale (che sono poi, sostanzialmente, la stessa cosa) nascerà, nel 1981, un’articolatissima opera, divenuta imprescindibile strumento per una conoscenza e un’analisi sia sulle trasformazioni dell’esperienza estetica, sia sul rapporto tra arte ed altri livelli del reale, nonché per una verifica dei problemi concettuali scaturiti dall’esperienza artistica: il "Trattato di Estetica".
Successivi incontri nodali sono stati, inoltre, quello con Giulio Preti, coraggioso, tetragono e bizzarro, e l’altro, con J.F. Lyotard, al cui saggio "Discorso, Figura" è dedicato, nel libro di Formaggio, il dodicesimo capitolo.
Naturalmente, come afferma Elio Franzini nella Presentazione del saggio, l’Autore "non ha avuto soltanto questi dieci maestri", poiché, continua, "i maestri sono tanti. Importante è saperli riconoscere e farli propri". E, dunque, implicitamente, spetta al più curioso, aperto e recettivo, averne tanti; in quanto li ha saputi riconoscere, imparando da loro non solo il pensiero ma anche la capacità di rielaborarlo e, a propria volta di offrirlo, in veste di maestro, ad altri discepoli.

Dino Formaggio, I Filosofi dell’Arte del Novecento, Guerini e Associati, Milano Lit. 32.000

Giovanna Grossato