gennaio 1997

1996 - Dieci uomini da ricordare

Romano Prodi, leader dell’Ulivo, dopo una campagna elettorale che si gioca quasi tutta in televisione, porta alla vittoria la sua coalizione di centro-sinistra dove confluiscono varie anime: dai popolari di Bianco, al partito democratico della sinistra di D’Alema, dai Verdi a Rifondazione. L’Ulivo vince con il 45,4 per cento dei voti alla Camera. La vittoria di Prodi che è poco telegenico e viene soprannominato "un simpatico ciclista con faccia da mortadella", porta per la prima volta nella storia del Paese le sinistre al Governo. Il Polo delle Libertà, l’alleanza di centro destra guidata da Berlusconi, passa all’opposizione. Prodi, premier del nuovo Governo, chiama nella sua squadra, come vicepresidente del Consiglio Walter Veltroni e, tra i ministri, Lamberto Dini, Carlo Azeglio Ciampi, Giorgio Napolitano, Giovanni Maria Flick, Rosy Bindi , Antonio Di Pietro. (Nove posti al Pds, 3 al Ppi e a Dini, uno ai Verdi e a Alleanza democratica).

Antonio Di Pietro, da magistrato simbolo del pool di Mani pulite, a docente universitario della libera università di Castellanza, da ministro ai Lavori Pubblici nel Governo Prodi a semplice cittadino peraltro inscritto nel registro degli indagati della procura di Brescia. Da accusatore ad accusato. E chi ha subito i suoi interrogatori quando era pm a Milano nel segreto gioisce nel vederlo ora tra le vittime della giustizia. Una parabola il cui tracciato non si sa dove porti. Quando di Pietro scopre di essere nel registro degli indagati per corruzione e concussione rassegna le dimissioni da ministro una buona parte dei dipendenti del dicastero dei Lavori pubblici scende in strada e gli dimostra solidarietà e stima. Nel mondo politico, oltre le dichiarazioni di circostanza, molti respirano. Di Pietro, sempre irruento, impulsivo ed imprevedibile per il momento è impegnato a scrivere le sue memorie difensive. Ma si tratta solo di una parentesi, Di Pietro - da qualsiasi parte si schieri - è una chiocciola che si porta sulle spalle un carico di voti. Se fondasse un partito potrebbe raccogliere il 10-15 per cento, dicono alcuni sondaggi. Lui, per ora, non ci pensa. A parte qualche fugace apparizione nessuno sa le sue prossime mosse.

Marcello Mastroianni, good bye. Si spegne a 72 anni, a Parigi, a pochi giorni dal Natale uno dei miti del cinema mondiale, l’attore che per il suo sguardo disincantato, indolente ed ironico aveva conquistato le platee interpretando "La dolce vita" , "Otto e mezzo", "La città delle donne", "Ginger e Fred" con Federico Fellini. Protagonista di film con la Loren, come "Una giornata particolare" per il quale ha una nomination all’Oscar e vince il premio per la miglior interpretazione al festival di Cannes nel 1970. Al personaggio della Dolce vita Mastroianni collega il suo fascino di latin lover, avvalorato da flirt e storie d’amore con, Fave Dunaway Anita Ekberg, Shirley Mac Layne, Catherine Deneuve che gli è vicina fino alla fine.Mastroianni, qualche mese prima di morire aveva confidato al giornalista Enzo Biagi di avere un tumore, che non voleva si sapesse e che, fino alla fine, non avrebbe mai smesso di recitare. Un intenso, drammatico, testamento spirituale.

Giovanni Paolo II, il papa che fa sempre notizia. Nessun pontificato ha avuto una immagine così amplificata come quella di Wojtyla. La sua personalità carismatica, i 74 viaggi all’estero compiuti in 18 anni di pontificato (è stato calcolato che ha compiuto 26 volte il giro del mondo, per una distanza pari a 2,7 volte il tragitto terra-luna), le sue prese di posizione a difesa dei dogmi della chiesa cattolica su aborto, contraccezione, celibato dei preti, che da sempre suscitano le reazioni del mondo laico, i 50 anni di sacerdozio sono solo alcuni dei motivi per cui Wojtyla è stato tra i personaggi dell’anno. Quando, in ottobre, Giovanni Paolo II entra al Gemelli per una operazione di appendicite cronica, si scatena il "totopapa", con indiscrezioni sui suoi possibili successori e sulle sue condizioni di salute (alcuni giornali lo danno malato di tumore, altri gravemente colpito dal morbo di Parkinson). Lui spiazza tutti, dopo una settimana di degenza, anche se visibilmente provato, torna in Vaticano a bordo della sua auto scoperta.

Bill Clinton 2. Una vittoria a valanga, con il 49 per cento dei voti, che riconferma l’ex governatore dell’Arkansas, il leader dei democratici, alla guida degli Stati Uniti d’America. Non c’è storia con lo sfidante repubblicano Bob Dole. La campagna elettorale è tutta in salita per Clinton. Anche perché il presidente uscente si muove con scaltrezza, lascia in ombra la moglie Hjllary, sulla quale pende sempre l’accusa di aver mentito sul caso Whitewater. Clinton sta dalla parte degli immigrati, ha l’appoggio dei sindacati (che lo sostengono con 35 milioni di dollari) ma taglia anche alcune spese nei capitoli dell’assistenza e del Welfare state.

Fidel Castro è a Roma per la conferenza internazionale della Fao sulla fame nel mondo. Il lìder maximo di Cuba pronuncia parole durissime contro il capitalismo, sottolineando la necessità di affermare i valori etici. Il suo discorso viene recepito con grande rilevanza dai media di tutto il mondo che colgono comunque i segnali di un diverso ruolo di Cuba nello scacchiere politico ed economico mondiale. Castro, dopo anni di intransigenza infatti intraprende un dialogo con le gerarchie della chiesa cattolica, viene ricevuto in Vaticano da Giovanni Paolo II. Nell’incontro si stabiliscono nuovi rapporti tra Cuba e Vaticano.

Fidel stupisce tutti anche perché nella sua visita a Roma accetta un invito a cena da Giovanni Agnelli. Si presenta in doppiopetto grigio e cravatta. Il lìder maximo di Cuba e il presidente onorario della più grande casa automobilistica italiana, tra l’antipasto e il caffè, probabilmente definiscono possibili accordi commerciali.

Richard Larry Jewell, l’uomo che legherà il suo nome alle Olimpiadi di Atlanta, sospettato di essere l’autore dell’attentato al parco del Centenario quando, il 27 luglio, scoppia un rudimentale ordigno che uccide due persone e ne ferisce oltre un centinaio. L’FBI lo ha tallonato per giorni, decine di cronisti si sono accampati vicino alla sua abitazione, registrando ogni suo movimento. Larry Jewell è per qualche giorno il principale imputato dell’attentato che insanguina i giochi olimpici. Più tardi la sua posizione si chiarisce, svaniscono anche i sospetti, ma lui, non si sentirà più lo stesso. Tanto che solo pochi giorni fa Jewell ha dichiarato alla Cnn: "La mia reputazione è rovinata per sempre, datemi indietro la mia vita". A tutt’oggi è rimasto un mistero il perché le indagini puntarono subito a lui.

Luciano Lama, protagonista delle battaglie politiche e sindacali degli anni '70 muore a Roma il 31 maggio scorso a 75 anni, dopo una lunga malattia. Il suo impegno, che ha tratto origine politica e culturale dalla Resistenza, ha segnato un lungo e difficile tratto della storia del nostro Paese. Specie durante la trasformazione del sistema produttivo italiano che, sull'onda della crisi economica (1973), scopriva la fine di un ciclo ascendente. Era nato il 14 ottobre del 1921 a Gambettola e si era laureato a Firenze in scienze sociali.

A 23 anni venne nominato Segretario della Camera del Lavoro di Forlì. Fu segretario generale della Cgil dal 1970 al 1986. Passato alla politica divenne vicepresidente del Senato e più tardi sindaco di Amelia. Lama firmò tra l'altro l'accordo che istituì la "scala mobile" e propose un patto sociale tra sindacati e imprese che gli procurò molte critiche e la contestazione degli autonomi.

Arrigo Sacchi forse preferirebbe non essere ricordato. Visto che per i tifosi (e i media, escluso il telecronista Pizzul) il vate di Fusignano era diventato il nemico numero 1 della Nazionale che dirigeva. Quindi, visti i rapporti di odio-amore tra popolo e azzurri di calcio, nemico della Patria. Già all’inizio della sua avventura, con l’apice ai mondiali Usa, l’italico tifo era diviso in due: chi giurava sulle qualità di Sacchi "che in fondo con il Milan aveva vinto tutto" (un solo scudetto ma all’estero ha fatto man bassa); chi spiegava le vittorie degli azzurri con il famoso fattore C, cioè il culo dell’Arrigo che fino alla finale con il Brasile aveva deciso gol e risultati. Il problema vero è che la nazionale sacchiana, fatta di schemi e non di uomini, non ha mai giocato bene, non ha mai divertito né fatto innamorare. E lui, occhio spiritato, diviso tra insicurezze e rigidità, non è stato capace di ispirare simpatia. Gli Europei falliti malamente l’anno scorso e le prime partite del dopo-Inghilterra hanno confermato la spaccatura tra tifosi e nazionale marca Sacchi. Le ipocrisie del contratto e il compromesso del suo ritorno al Milan l’1 dicembre sono state la ciliegina finale. Resta l’impressione che se anche Sacchi avesse vinto Mondiali ed Europei non sarebbe stato amato lo stesso. Per il nuovo ct Maldini in fondo è un vantaggio: a una squadra più simpatica gli italiani concederanno anche qualche sconfitta in più. Almeno per un po’.

Michael Schumacher nel ’96 non ha vinto niente, a parte 3 Gran Premi. Che per chi è stato due volte campione del mondo è meno di zero. Eppure Schumi, accettata la sfida di guidare una Ferrari in crisi decennale, è il numero uno. Perché quella sfida (ben pagata, a dire il vero...) l’ha accettata fino al ’99 e perché anche con una macchina infelice come la F310 ha fatto miracoli. Nel ’96, con un’auto incerottata e barcollante, il tedesco ha vinto due GP, è arrivato secondo 2 volte e terzo 4 volte. Con 6 ritiri da incassare. Schumi, poco personaggio, fa vita da normalissimo miliardario. Nel senso che si è sposato (con Corinna Betsch), sta per diventare papà, vive nella tranquilla Svizzera, ha due cani di cui uno raccolto che vagava nei box di un GP, ogni giorno fa un’ora di piscina, va in bicicletta, lavora in palestra, mangia pochi dolci e non beve e il giorno prima di una gara va a letto alle 9.30 con una camomilla. Frequenza cardiaca: 50 battiti al minuti. Insomma niente storie da Novella 3000 e ha solo 28 anni. Un uomo normale, corretto, educato e che nel ’96 ha guadagnato, pare, 47 milioni di dollari (oltre 100 miliardi di lire). La differenza è che guida a 300 all’ora come nessun’altro.