gennaio 1997

Storia della mafia in un omicidio

Sabato 21 dicembre a Trapani un ex consigliere provinciale Dc e parente di un boss si trasforma in sicario ma per errore uccide il figlio che lo accompagna nell’agguato. Poi si mette d’accordo con la mancata vittima per depistare le indagini. E così uno dei tanti episodi di malavita diventa la perfetta rappresentazione della cultura mafiosa

Magari un po’ più insolita, ma sembra la classica storia di mafia: a Trapani padre e figlio sicari devono eliminare un "compare" sospettato di fare il confidente, il padre sbaglia mira e ammazza il figlio. Curioso e tragico, ma forse si è visto di peggio. Quello che vale invece la pena di osservare sono i particolari che fanno da contorno alla vicenda. Perché nella storia di Vito Panicola, 58 anni, killer per errore del suo ragazzo prediletto, c’è forse tutta l’impronta della cultura mafiosa. Antica e moderna.

Mafia e politica - Vito Panicola, l’uomo che il 21 dicembre scorso impugnava una calibro 38 da bravo sicario pronto per ammazzare, è un ex consigliere provinciale della Democrazia cristiana trapanese ed ex consigliere comunale, sempre Dc, a Castelvetrano. Insomma nella lunga storia dei legami mafia-politica, qui siamo alla realizzazione assoluta: al pomeriggio il voto sulla delibera per la nuova caserma dei carabinieri, alla sera passamontagna sul viso e fucile carico.

La Grande Famiglia - Panicola è anche qualcosa di più: è infatti consuocero di Matteo Messina Denaro, latitante, considerato il capo della mafia trapanese. Sua figlia Patrizia è sposata con Vincenzo Panicola, altro figlio di Vito. Un rapporto di parentela che ha convinto gli inquirenti che a ordinare l’omicidio del "confidente" sia stato proprio il consuocero. Della serie: è possibile essere mafiosi e non essere parenti di "qualcuno"?

Guardie e ladri - Vittima dell’agguato era Giovanni Ingrasciotta, 33 anni, pregiudicato e sotto sorveglianza. E che di mestiere, tra l’altro, aveva fatto anche il carabiniere. Un altro tassello degli incredibili intrecci del mondo mafioso. Visto che si può tranquillamente passare dalla parte dei buoni a quella dei cattivi senza il minimo problema.

Legami di sangue - Vito Panicola probabilmente poteva andarci da solo, ad ammazzare la sua vittima. O caso mai farsi aiutare da qualche altro "manovale" del clan. Invece si rivolge al figlio Giuseppe, 25 anni, titolare di un ingrosso di ortofrutta. Che non gli dice di no. Insomma tutti uniti, sempre, anche nell’omicidio, come impone la legge di mafia.

Prima il dovere del dolore - Chissà se l’ex consigliere Dc aveva già fatto esperienza con rivoltelle, lupare, sangue e pallettoni. Comunque nella lotta che si scatena quando Ingrasciotta capisce che quell’incontro con i Panicola è in realtà un agguato mortale, parte un colpo che colpisce alla testa il giovane Giuseppe. Una tragedia enorme, anche per un killer di mafia: uccidere, pur se per errore, il figlio prediletto. Forse ha pianto, Vito Panicola, magari si è inginocchiato accanto al corpo del suo ragazzo battendo i pugni per terra. Eppure la prima cosa che ha pensato è stata di mettersi d’accordo con la sua mancata vittima per spostare il cadavere in un’altra zona e far credere ad un agguato di mafia. Una persona normale (ammesso che andare in giro a fare il killer sia da persone normali) dopo un simile strappo al cuore può fare molte cose: restare a piangere in silenzio per ore sul posto, riportare il corpo a casa, consegnarsi alla polizia, fuggire urlando per chilometri, svenire, dar fuori di testa. Anche puntarsi la pistola alla tempia e tirare il grilletto avrebbe un senso. Vito Panicola, uomo d’onore, invece asciuga le lacrime e si rivolge a chi doveva uccidere: "Dammi una mano che sistemiamo questo casino...". Prima gli interessi del clan, poi si potrà anche piangere: solo la cultura di mafia è capace di tanto.

Vittima, ma secondo le regole - Non è da meno, quanto a sorprese, Giovanni Ingrasciotta. Che da quasi uomo morto, dopo essersi visto puntare addosso una calibro 38, assiste alla pistolettata fatale e non cerca né di fuggire né di disarmare Panicola. E meno che meno di vendicarsi. Ma accetta l’accordo con il suo sicario per depistare le indagini.

Le conclusioni? Che neanche il romanziere più fantasioso avrebbe ideato una trama simile, sicuro di vedersela rimandare indietro dall’editore con tanto di consiglio tipo "fuma meno spinelli". A meno di intitolarla "Mafia, il manuale del perfetto uomo d’onore".

Alessandro Mognon