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L'uomo che visse due volte

Fu il multitrapiantato più famoso del mondo: nel '95 gli sostituirono in blocco 5 organi con un'operazione durata 36 ore. Adesso, a 16 mesi di distanza, Leonardo Cioce vive come una persona normale, si sente un "eletto" e gira il mondo raccontando la sua storia. Quella di un miracolo di tecnica, fortuna e forza di volontà

C'era un gioco per bambini, una volta: un piccolo omino di plastica trasparente [cioce]a cui aprivi la pancia e gli toglievi gli organi, uno ad uno. E poi dovevi rimetterli al loro posto. Un po' macabro, ma si imparava l'anatomia. Il 16 luglio del '95 un chirurgo americano di origine greca ha fatto la stessa cosa, solo che l'"omino", questa volta, era un uomo in carne ossa. A Leonardo Cioce, barese di 30 anni, il chirurgo ha tolto in un colpo solo l'intero intestino, il fegato, il pancreas, un rene e lo stomaco. E gli ha rimesso in un blocco unico i cinque organi nuovi, quelli di una ragazza morta in un incidente d'auto.

Un'operazione mai eseguita prima e finita su tv e giornali di tutto il mondo. Poi, come spesso succede, tutto si dimentica. Finchè non si scopre che Leonardo Cioce, a distanza di 16 mesi da quell'intervento durato 36 ore, mangia, parla, dorme, lavora e vive come tutti gli altri. Una specie di miracolo vivente. Perché il suo organismo sta accettando quegli organi e quegli organi accettano lui. Perché la sua forza di volontà è più potente di qualunque medicina. E perché, dice, "mi sento un eletto: se uno supera cose come queste, un motivo speciale ci dev'essere...".

E' dal '90 che Cioce è in guerra con la sua malattia: "Questo del '96 è il primo Capodanno che passo fuori da un ospedale" sorride. Intanto gira l'Italia e racconta la sua storia. Come ha fatto a fine novembre a Vicenza durante la 30 ore di no-stop dell'Associazione Malattie Rare Mauro Baschirotto. Si muove così tanto che non riesce a ingrassare, il cruccio del suo chirurgo: "Lui vuole che metta sù peso, ma consumo più di quello che mangio. Eppure mangio tanto, senza limiti di dieta a parte le fritture. Pensare che ero sceso fino a 29 chili. Quanto peso adesso? 54 chili, ma quando stavo bene ne pesavo solo 64, mai stato un colosso".

Così si racconta, Cioce. E spiega che fino al '90, a 24 anni, era un ragazzo normale: scuola-amici-sport-famiglia. In casa stanno bene, sono proprietari di una ditta che costruisce porte blindate. Il primo avvertimento arriva nell'84: al padre viene diagnosticata una rara malattia ereditaria, la sindrome di Gardner detta anche "poliposi familiare", una crescita incontrollata di polipi (tumori benigni) che possono diffondere in qualunque organo. Il padre viene operato e la famiglia controllata: tutti risultano immuni meno Leonardo. Ma per sei anni problemi non ne ha. "A parte un femore rotto e una ciste su una costola, che era già un preavviso".

Nel 1990 finisce la tregua e la malattia esplode, Cioce ricorda e racconta come se la cosa riguardasse un'altra persona: una cronaca secca, senza pietismi. "Avevo il colon coperto di polipi, hanno dovuto asportarmene un pezzo al Centro tumori di Milano. Nel '92 nuovo ricovero d'urgenza a Bari per un'occlusione intestinale. Ho subito 5-6 interventi, ogni volta mi accorciavano sempre più l'intestino chiuso dalle masse che crescevano. Alla fine mi erano rimasti 45 centimetri di intestino tenue, subito dopo lo stomaco. L'alimentazione? Quella normale era impossibile, per 3 anni mi sono nutrito per via endovenosa. Usavo delle sacche di liquido concentrato, il tubo mi entrava vicino al collo ed era collegato ad una pompa: una semplice flebo non sarebbe bastata. Ci stavo attaccato per 18 ore filate. Ma a volte mi stancavo e aumentavo la pressione della pompa per accelerare i tempi e prendermi qualche ora di libertà. Anche se così rischiavo la vita".

Poi nel '95 qualcuno a Milano parla di trapianto. Ma senza grandi entusiasmi: "Le percentuali di sopravvivenza sono basse" gli dicono. Ma che altre alternative ci sono? Così il dottor Mazzaferro mette Leonardo Cioce in contatto con un chirurgo di Miami, negli Usa. Il dottor Andreas Tzakis infatti ha già fatto alcuni pluritrapianti. I costi sono enormi? E' vero, ma i Cioce possono vendere una casa e anticipare i primi 600 milioni del miliardo fissato. Per il resto, conta la forza di Leonardo, la bravura dei medici americani e una fortuna sfacciata.

"Quando sono entrato in sala operatoria, quel 16 luglio, dovevano trapiantarmi "solo" 3 organi e vedere se almeno un rene era sano - dice Cioce - Invece mi sostituirono anche quello, oltre allo stomaco che era già infiltrato dai polipi". Un'operazione infinita: in quelle 36 ore Tzakis taglia l'intero intestino della donatrice in blocco, dallo stomaco al retto, e lo ricuce dentro l'addome di Cioce. Compresi fegato e pancreas. Poi aggiunge stomaco e rene. Ma finito il lavoro del bisturi, è fondamentale la terapia anti-rigetto. "Proprio per evitare il rigetto mi hanno praticato un'infusione di cellule del midollo osseo della donatrice - spiega "l'omino di plastica" - Insomma un modo per insegnare al mio organismo ad accettare quegli organi estranei. In più ho dovuto prendere un cocktail di 3 farmaci anti-rigetto. Li prendo ancora, ma le dosi e la frequenza sono più che dimezzate. E se tutto va bene, nel giro di 2-3 anni sperano di smetterli. Se erano pesanti? Beh, le dosi erano minime e gli effetti collaterali anche. Ma la prima settimana dopo l'operazione avevo tanti di quei tremolii che per tutte e sette le notti non ho mai chiuso occhio".

Non c'è mai paura, nella voce di Leonardo Cioce. Anzi, sembra un tantino irresponsabile: ma come, è un trattato di anatomia vivente e se ne va in giro con il sorriso sulle labbra come niente fosse? "Io mi reputo anche fortunato - dice alzando le spalle - Gioco a bowling e pallavolo, viaggio. Anche perché i medici mi hanno chiesto di raccontare a tutti la mia storia. Per fare coraggio ad altri pazienti. E ti credo: quando parlo con qualcuno che aspetta un trapianto normale questo pensa "se ce l'ha fatta lui..." e si sente subito meglio". Per la precisione i dottori americani gli hanno chiesto tre cose: "Fare un film, vedere il Papa e scrivere un libro. Per il primo ok, ho girato una cosa con la tv giù a Bari. Il secondo l'ho esaudito questo novembre, Wojtyla mi ha ricevuto e benedetto con la mano in fronte. Sì, sono sempre stato molto religioso. Forse per questo penso di essere un eletto: qualcuno vuole che io trasmetta la mia forza ad altri. Quanto al libro, devo ancora pensarci, mica è facile".

Certo è costata, l'operazione: ai 600 milioni iniziali vanno aggiunti i 270 raccolti dagli amici e un contributo dell'Ulss di Bari. "Ma all'ospedale di Miami vogliono il saldo, e anche in fretta, mancano 300 milioni". Costa il servizio, racconta Cioce, ma è eccezionale: ti seguono sempre, non ti manca nulla. I medici si fanno chiamare per nome e sono sempre disponibili, non come qui in Italia dove devi inseguirli per i corridoi. E' un altro mondo: "C'è una ragazza di Vicenza che ha la poliposi, l'ho detto a Tzakis e lui poche ore dopo l'aveva già chiamata". Insomma gli ospedali dei film: infermiere belle e sorridenti, medici da nobel, stanze e corridoi tirati a lucido. Certo che Cioce, l'omino di plastica dalla volontà di ferro, li ha aiutati molto. "Prima dell'intervento Tzakis è venuto a parlarmi, mi ha spiegato tutto. E io sono entrato in sala operatoria tranquillissimo. Anche nelle settimane seguenti, quando ogni tanto spuntava il chirurgo e mi diceva "Leonardo, devo farti un piccolo intervento di correzione". Mi portavano di nuovo sotto i ferri e io sorridevo. Me ne hanno fatte 18, di operazioni: un record...". Perfino il dolore, dice Cioce, è visto in un modo diverso: "Negli Usa la morfina non è un tabù: ti applicano una macchinetta e tu la dosi da solo a seconda dei dolori che hai".

Ma per uscire vivi e vincenti dal trapianto più complesso del mondo, serve anche altro: "Ai miei genitori ho chiesto sempre la verità, e loro me l'hanno detta. E poi gli amici che mi sono stati vicini in ogni momento, mi hanno aiutato sempre". Il lavoro? A casa, per ora. Cioce è operatore-programmatore di computer, adesso disegna al pc le porte blindate per la ditta del padre. "Con il chirurgo di Miami ci sentiamo una volta alla settimana, via Internet. Ma ora devo andare in Florida per una visita di controllo, per vedere se la mia resistenza al rigetto è ancora buona".

Paura? Morte? Non sembra pensarci, Leonardo Cioce. In fondo si sente un eletto. E ha un debito morale da saldare: "Della mia donatrice non voglio parlare, per una forma di riservatezza, di pudore. E' così per tutti i trapiantati: io, adesso, mi sento responsabile anche per lei".

Alessandro Mognon