[LIBRI]


Letture di Natale

PER ADULTI. Richard Ford, Il giorno dell'indipendenza, Feltrinelli, pp. 468, L. 38.000

PER BAMBINI. L'albero delle parole, a cura di Donatella Bisutti, Feltrinelli, pp. 259, L. 20.000

REQUISITI DI UN LIBRO PER NATALE. Un buon libro per Natale dev'essere innanzitutto (si dice) abbastanza grosso. Poi dev'essere abbastanza buonista o comunque non turbare le coscienze. Infine bisogna trovare il difficile equilibrio tra notorietà del libro (e/o dell'autore) e sicurezza che il destinatario non ne sia già venuto in possesso (motu proprio o ricevendolo in regalo da altri). E' da sconsigliare quindi il dono dell'ultimo successo di grido, del libro troppo visibile, dell'autore troppo facile (Biagi, Bevilacqua, Follett...). Per il Natale 1996 NAUTILUS non si getta nella mischia del "consigliare tutto per tutti" (vedi i vari paginoni di Tuttolibri, delle riviste illustrate ecc.) e consiglia per il regalo ben due libri due. Uno per adulti e l'altro, ufficialmente, per bambini: ma buonissimo anche per gli adulti.

NUOVE AVVENTURE DI FRANK BASCOMBE. Richard Ford è autore abbastanza noto in Italia, ma non troppo (quindi regalabile). Il suo nuovo romanzo Il giorno dell'Indipendenza (Feltrinelli, pp. 468, L. 35.000, trad. Luigi Schenoni; nulla che vedere con il film che ha lo stesso titolo) si presenta come "continuazione" del precedente Sportswriter (pure Feltrinelli, circa altrettanto grosso): il protagonista è lo stesso, Frank Bascombe, ex scrittore, ex giornalista sportivo, ex marito, ed ex altre cose. Dai tempi di Sportswriter è passato qualche anno (ma attenzione: non è per niente necessario aver letto Sportswriter per leggere Il giorno dell'Indipendenza: sono due romanzi autonomi), Frank si sente un po' più maturo, un po' più felice e, insieme, un po' più incerto. Si ritiene arrivato alla mezza età, a quello che lui chiama il "periodo di esistenza" (per "esistenza" Frank intende forse qualcosa di meno che "vita"; ma qualcosa comunque di accettabile), nel quale dopo tante traversie è riuscito a prendere "l'abitudine soddisfacente di ignorare molto di ciò che non mi piace o che sembra inquietante e coinvolgente, e poi di vedere che di solito si allontana" (p. 17). La grande aspirazione di Frank è la semplicità e gradevolezza della vita. "Un buon vivente sarebbe un uomo o una donna che hanno distillato tutto ciò che è importante della vita in pochi principi e avvenimenti interconnessi, che siano facili da spiegare in un quarto d'ora e non richiedano molte pause perplesse e scuse perché questo o quello non è facile da capire a meno di non esserci stati" (p. 101).

IL MESTIERE DI PADRE. Le 468 pagine del Giorno dell'Indipendenza raccontano in tutto tre giorni dell'esistenza di Frank. Frank oggi fa l'agente immobiliare, è benestante se non ricco; l'ex moglie si è risposata, e da qualche tempo il figlio Paul (di quindici anni) dà delle preoccupazioni. Recentemente in un grande magazzino ha rubato una confezione di preservativi giganti e, sorpreso da una sorvegliante, l'ha aggredita e malmenata. Da qui in poi: tribunale, psicologi, e così via. Frank ha progettato di fare una gita con suo figlio, per parlarci un po' e per vedere che cosa può fare, nel suo ruolo di padre lontano, per il suo benessere: "Se tuo figlio comincia all'improvviso a precipitare a capofitto, con l'aiuto dell'amore e dell'età più avanzata devi gettargli una lenza e tirarlo su" (p. 22). Tuttavia, Frank non si nasconde la difficoltà. "La cosa peggiore di essere un genitore è quindi il mio destino: essere adulto. Non possedere il linguaggio giusto; non temere le stesse paure, le stesse eventualità e le stesse occasioni perdute... Così con ogni probabilità non sarò mai in grado di fornire una buona cura per la sua malattia, non riuscirò mai neppure a immaginare correttamente quale sia questa malattia, ma la subirò con lui per un certo periodo, e poi me ne andrò" (p. 23).

SUCCEDE TUTTO, NON SUCCEDE NIENTE. Il romanzo comincia così: Frank deve vedere una coppia (piuttosto ostica) alla quale tenterà di vendere una casa; poi andrà a passare una serata con Sally, la sua attuale amica; poi passerà a prendere Paul, e farà questa gita con lui. Il tempo sarà riempito da tentativi di comunicazione, incertezze e delusioni rimediabili. Poi, all'improvviso, l'incidente: Paul si caccia imprudentemente in una gabbia d'allenamento per il baseball, si prende una palla a 120 all'ora in faccia; un occhio è ferito, è abbastanza grave, Paul dev'essere operato. Frank avvisa Ann, l'ex moglie; agiscono insieme. C'è qualcosa che a Frank sembra una sorta di riavvicinamento. Ma poi: «"Ti ho sempre amata molto", le dico. "Certe cose non si possono sistemare dopo, vero?", dice Ann. "No, dopo no", confermo, "no, dopo non si può". Ed essenzialmente e definitivamente è tutto lì» (p. 269). Paul viene operato, pare che se la caverà.

IL FASCINO DI UN PERSONAGGIO. Due cose rendono formidabile questo libro: la scrittura di Ford e le qualità del personaggio. La scrittura di Ford è minuziosa, minimalista senza iperrealismo; Frank viene seguito minuto per minuto, e minuto per minuto viene raccontato il suo approccio alla realtà, condito da innumerevoli riflessioni e considerazioni. Tutto ciò non appesantisce la storia: anzi, è questo che più attira. A tutti i lettori quarantenni piacerà questo Frank, buon diavolo se ce n'è uno, capace di sbagliarsi, di accorgersene a volte, di accettarlo quando sono altri a farglielo notare. Pieno di buona volontà, e assolutamente non deterministico nell'agire. Desideroso che tutto vada bene, che nessuno stia male, che le buone maniere interiori (se così si può dire) non vengano turbate. (E sempre sull'orlo, tuttavia, di un terribile cinismo.) In fin dei conti, se oggi ha scelto il mestiere di agente immobiliare, è perché in questo modo si sente più integrato nella sua comunità (Haddam). "Non si vende una casa, si vende una vita", riflette Frank (p. 123), e il suo desiderio è trovare la casa adatta alla persona che si rivolge all'agenzia: c'è in lui come una smania di prendersi cura degli altri, che tradisce il desiderio di essere circondato da persone che magari non sprizzino allegria ma che siano quietamente felici, che non creino problemi e che siano legate a lui da un moderato affetto e da una discreta riconoscenza. Cento volte durante i tre giorni del romanzo questa "tecnica dell'esistenza" è messa alla prova: reggerà? Non reggerà? Provate a leggere il libro.

BELLISSIME POESIE PER BAMBINI. A quasi vent'anni dalla prima edizione, Donatella Bisutti ripropone L'albero delle parole, antologia di grandi poeti di tutto il mondo per i bambini (Feltrinelli, pp. 259, L. 20.000): e la novità è che, stavolta, compaiono in abbondanza anche poeti italiani. La scelta è molto buona, diremmo indiscutibile, con qualche guizzo di genio (chi conosce l'esistenza della poetessa polacca Maria Pawlikowska Jasnorzewska? Eppure le sue cose sono bellissime); funziona molto bene l'ordinamento dei testi, non cronologico né alfabetico né rigorosamente tematico: Bisutti si è lasciata guidare dall'istinto e dalla fantasia, e la sequenza dei testi è un vero viaggio in un immaginario accessibile ai bambini, misterioso, magico, confortante anche se non idillico, moderno, da giocare e da sognare. Evidentemente Bisutti si è data anche l'obiettivo di far conoscere ai nostri bambini i testi di alcuni tra i poeti italiani più importanti di questo secolo: la scelta è ottima, e il risultato è raggiunto senza che si senta odore di scuola

I RITRATTI DEI POETI. Sono molto ben fatte le schede che Bisutti premette ai testi. I poeti vengono raccontati come persone vive e vere, e spesso a Bisutti riesce un'immagine che li fissa e li rende memorabili. E' molto bello che, a volte, escano fuori la prima persona e il ricordo personale. "Zanzotto è un po' distratto e la porta della sua casa è sempre aperta. Poi magari uno entra e lui non si vede, chissà dov'è" (p. 38). "Sergio Corazzini era un poeta un po' piagnucoloso: si lamentava sempre e per questo a un certo punto a molti non è piaciuto più ed è stato quasi dimenticato... Beveva Pernod, un liquore all'anice molto forte, che certo non doveva fargli bene" (p. 41). "Mi ricordo Ungaretti da vecchio, con i capelli bianchi che gli scendevano sul collo, il basco in testa e gli occhi di porcellana azzurra, che lui strizzava di continuo mentre di continuo sorrideva" (p. 55-56). Montale "sarebbe stato più felice se avesse avuto, anziché il Nobel, un riconoscimento importante come cantante lirico: il suo grande sogno era il palcoscenico dell'opera. A volte cantava da solo, quando nessuno lo sentiva, in qualche saletta in penombra, davanti a una platea di sedie vuote. Però non se la prendeva troppo" (p. 73). Difficile dimenticare queste figurine.

Giulio Mozzi