ACQUA
racconto di Matteo Galiazzo
MATTEO GALIAZZO
è nato nel. Abita a Genova. Collabora alla rivista di narrazioni
Il Maltese (cf. NAUTILUS, agosto 1996). Un suo racconto
è compreso nell'antologia Gioventù cannibale
appena pubblicata da Einaudi (cf. NAUTILUS, novembre 1996).
In marzo 1997, sempre presso Einaudi, uscirà la raccolta
di racconti Una particolare forma di anestesia chiamata morte.
Non occorre che le dica, professore,
che siamo tutti cannibali. Gli uomini muoiono e i vermi bucano
i loro corpi. Poi i vermi muoiono e radici di piante bucano i
loro corpi. Poi le piante muoiono strappate dai denti, e vanno
a morire negli stomaci di grossi ovini. Poi io entro in un supermercato
e dentro la plastica trasparente c'è carne umana, professore,
strappata dai vermi strappati dalle radici strappate dai denti.
Nulla si crea, lei lo sa, la materia in circolo è sempre
quella, gli atomi sono sempre quelli.
Oppure. Se ora c'è una persona,
una persona a caso, e sta per addentare un panino, se io rubo
quel panino a quella persona, non le permetto di mangiarlo e invece
lo mangio io, è cannibalismo anche questo, capisce. E'
come se mangiassi direttamente la carne che si sarebbe formata
dentro di lui dopo aver mangiato il panino, non c'è nessuna
differenza. La direzione nella quale il tempo scorre non è
una giustificazione a niente, professore. L'aborto è un
omicidio, professore.
La materia è sempre la stessa,
l'ho già detto. Non ce n'è dell'altra, di nuova,
non ce n'è una scorta infinita alla quale la natura possa
attingere per fabbricare i nostri corpi. La natura è come
uno scultore, uno scultore a corto di materiale, costretto a distruggere
le opere create il giorno prima per potere avere di che costruirne
delle altre. Ogni giorno la natura distrugge vite, perché
altre vite possano essere create. La natura ha bisogno dei nostri
atomi, professore. E' per questo che si muore. E' per questo che
tutto muore, gli uomini, gli animali, le piante. Perché
altri uomini, altri animali, piante, rocce, altri fiumi, altri
pianeti, stelle galassie, perché altri universi possano
nascere. Perché quando Dio ha creato l'uomo, contemporaneamente
il fango dal quale ha preso vita ha dovuto morire. Perché
il miracolo della creazione è solo l'altra faccia di un
altro miracolo, professore, quello della distruzione di tutte
le cose.
Durante il nono decennio di questo secolo
avvenne qualcosa, qualcosa che avrebbe potuto benissimo restare
confinato negli spazi soliti della divulgazione medica, ma che
invece dilagò nell'immaginario collettivo con la forza
sociologica simile a quella che avrebbe potuto avere l'invasione
della Terra da parte di forze extraterrestri.
L'invasione avvenne per gradi. All'inizio
si pensava che la malattia, che allora era ancora solo un piccolo
ruscello, scorresse all'interno di alcuni alvei ben precisi. Questi
alvei vennero riconosciuti in un primo tempo come l'omosessualità
e la tossicodipendenza. La maggior parte della gente si sentiva
al sicuro, poiché questi alvei interessavano una parte
ridotta e ben delimitata di popolazione. Si può dire che
l'eterosessualità in quel periodo rappresentava come un
pendio, una collina, e si pensava che mai sarebbe stata raggiunta
dal ruscello.
Il livello delle acque tuttavia non
rimase costante, e in pochi anni crebbe fino a lambire gli argini,
argini che ora apparivano sempre più precari e non affatto
definiti in modo preciso.
Ma ancora prima che ciò avvenisse,
quando ancora la malattia era solo un ruscello, avvenne che la
diffusione della notizia della sua esistenza si avvantaggiò
di mezzi che nessun'altra malattia, per quanto grave e più
diffusa, aveva fin lì potuto usare.
I due alvei lungo i quali la malattia
scorreva incontravano nel loro cammino una zona illuminata da
potenti riflettori. Gli sguardi di molte persone erano normalmente
puntati verso questa zona, cosicché quando si vide passare
il primo cadavere portato a valle dalle acque, be', tutti, fu
proprio tutto il mondo a vederlo. E tutti seppero della malattia.
Il cadavere era quello di un attore americano. Il suo nome era
Rock Hudson.
C'è stato un tempo, professore,
un tempo in cui un uomo in riva a un lago dette da mangiare
a una grande folla radunatasi per ascoltare le sue parole. Ecco,
le potrà sembrare ambizioso, forse, ma è quello
che farò anch'io. Non ho intenzione di mettermi a predicare,
questo no, o di girare di città in città a portare
la parola di un ipotetico Dio, non ho intenzione di annunciare
nessuna salvezza per quelli che mi seguiranno. Eppure io li salverò,
professore, io li sfamerò, io moltiplicherò il cibo
per le loro bocche, lo farò di nuovo. Io darò loro
da mangiare. Forse le sembra poco. Ma non lo è. Io sfamerò
quella gente, tutta la gente.
Forse lei non capisce. Non posso
vedere le espressioni sul suo viso mentre ascolta queste cassette
che le mando. Lei si chiederà perché proprio lei.
Un giorno forse glie lo spiegherò. Vede, è un motivo
del tutto personale, non ha niente a che fare con la materia dei
miei studi. Non ho scelto lei come destinatario nella speranza
che in qualche modo possa aiutarmi nei miei studi, o anche
solo incoraggiarmi. Lei è un immunologo, i miei studi invece
riguardano la chimica organica. Lei non mi può essere utile,
in questo senso. La sua incompetenza, mi perdoni ma sono sicuro
che capirà il senso assolutamente non offensivo del termine,
la sua incompetenza anzi mi è molto di conforto. Se lei
si occupasse di chimica sarebbe umana per lei la tentazione di
giudicare quello che faccio da un punto di vista accademico. E
non voglio che sia così. Non mi occorre quel tipo di giudizio
o di conforto. Ho bisogno di sentire la mia voce che parla a qualcuno,
di modo che io possa intercettarla lateralmente. E' una specie
di autocoscienza, in un certo senso.
Olifea ad esempio non capisce. Stanotte
l'ho sognata. Allevava api. Le portava in giro dentro la bocca,
così, nello stesso modo con cui si possono portare i criceti
in tasca. E' stato quando l'ho baciata che mi sono accorto dell'ape.
E quando l'ape è morta dopo avermi punto la lingua Olifea
se ne infilava subito un'altra in bocca, non so, le tirava fuori
da un sacchetto e se le metteva in bocca come fossero caramelle,
come fossero pop-corn.
Olifea comunque non capisce. Con
lei non posso parlare così come sto parlando a lei in questo
momento. Ah. Mi accorgo che l'uso del lei che le riservo, professore,
può creare degli equivoci, potrebbe pensare che le sto
attribuendo modi e pensieri di Olifea. Passerò momentaneamente
all'uso del voi, quindi, in modo da distinguerla da lei. Dicevo,
con Olifea non posso parlare. Tutto il tempo che io passo a studiare
alla mia idea Olifea lo considera rubato a lei. E' inutile per
me spiegarle l'importanza e la portata dei miei studi, non vuole
sentire ragioni. Dice che a fare come me sono i bambini, che quando
vogliono essere lasciati in pace dai genitori dicono che stanno
studiando, e improvvisamente i genitori stanno zitti, abbassano
la voce, il televisore, spengono l'aspirapolvere. Oppure quando
le mamme chiedono ai figli se per favore possono andare giù
a fare un po' di spesa. Sto studiando, mamma. E la mamma scende
lei a fare la spesa. Magari si insospettiscono un po', ma vedete,
specie per quei genitori che non hanno studiato, lo studio è
una specie di lasciapassare assoluto che i figli hanno diritto
di usare comunque. Magari non è vero, magari non stanno
veramente studiando, ma per quei genitori l'idea di rischiare
di interrompere veramente lo studio dei figli è capace
di annichilire tutto il resto. Come dire, meglio un reo libero
che un innocente in prigione, così ragionano loro.
E Olifea pensa che io faccia lo stesso
con lei, che io utilizzi questo lasciapassare collaudato con i
miei genitori per crearmi dei tempi franchi, degli spazi, per
tenerla lontana, insomma.
E poi odia le mosche. Le mosche che
si riproducono nelle teche di vetro. In un certo senso è
gelosa di loro. Dev'esserci qualcosa di simbolico nel fatto che
l'ho sognata con un'ape in bocca.
L'impressione che la malattia fosse
alle porte, alle porte di tutti, fu una conseguenza del dilagare
delle informazioni. In un certo senso il livello immaginario al
quale l'acqua era arrivata era molto più alto del livello
reale. Gli argini sembravano destinati ad essere sommersi. L'eterosessualità
non fu più un pendio abbastanza elevato. La monogamia sessuale
diventò quello che poteva essere considerato l'ultimo lotto
di terreno asciutto.
Nel frattempo era inevitabile constatare
un altro fenomeno. Pubblicità significa commercio. I flussi
di informazione sono veicoli fondamentali sfruttando i quali non
è difficile provocare paralleli flussi di denaro.
Non tardò ad accorgersene Robert
Gallo, un ricercatore del NIH statunitense, il quale in barba
ai tre postulati di Koch, dei quali nemmeno uno veniva soddisfatto
dall'HIV, pretese di avere isolato per primo il virus della malattia,
l'HIV appunto.
A questo punto mi permetto un'apparente
digressione. Esistono contesti microsociali tipici dei gruppi
maschili dell'adolescenza all'interno dei quali vi è una
continua tensione in ciascun soggetto verso la coesione. In altre
parole, è tipico dell'adolescenza maschile il formarsi
di gruppi, i cui elementi non cercano altra legittimazione che
all'interno del gruppo stesso. Questa situazione si manifesta
in maniera visibile nei rapporti con l'altro sesso. Il ragazzo
facente parte del gruppo, accantonati i propri gusti personali,
cerca di avere rapporti con ragazze che lui può anche personalmente
considerare brutte, ma che è sicuro che piacciano agli
altri componenti del gruppo. Siccome però nessuno manifesta
di fronte agli altri i propri gusti reali, i gusti che vengono
assunti come gusti del gruppo sono gusti fittizi.
C'è comunque una fase nella quale
il ragazzo si accorge di non essere in grado di stabilire autonomamente
quali siano i gusti del gruppo. Questo avviene per le modalità
attraverso le quali questi gusti dovrebbero emergere.
A questo punto avviene spesso che ragazze
oggettivamente bruttissime sotto tutti gli standard, ma che hanno
capito il meccanismo, riescano a convincere, attraverso trucchi
e atteggiamenti particolari, di essere ragazze che corrispondono
perfettamente ai gusti del gruppo. Uno di questi atteggiamenti
tipici è l'essere stronze. Quando una ragazza si comporta
in maniera molto indisponente, si crea nel maschio l'idea che
questo comportamento si sia formato come difesa alle continue
avance da parte dell'universo maschile.
Il solo fatto di comportarsi come se
la sua vita non fosse stata altro fino a quel momento che evitare
approcci, è in grado istantaneamente di cancellare l'evidente
ammasso di tare fisiche che la compone. La reazione a catena che
si crea è simile a quella che si può osservare gettando
pezzi di polistirolo in un pollaio. Il fatto che anche una sola
gallina accorra fa scattare immediatamente anche tutte le altre,
in un putiferio di zuffe e beccate che si prolungherà anche
quando è ormai chiaro a tutte l'apporto calorico del polistirolo.
Per altri versi ci sono analogie molto
più forti che si possono riscontrare all'interno di una
qualsiasi borsa valori. E' una specie di aggiotaggio all'incontrario.
Comunque, la capacità delle donne
di sfruttare questa tara nelle comunicazioni inframaschili ha
qualcosa del modo con cui Robert Gallo ha affermato la propria
scoperta. Si può dire che l'odiosità che lo contraddistingue
ha creato attorno a lui un'aura di autorevolezza che i risultati
delle sue ricerche sicuramente non hanno mai avuto.
Il movente etico da cui Gallo era sostenuto,
il motivo che gli dava la forza di lottare e lavorare ininterrottamente
fu chiaro abbastanza presto. La battaglia legale con l'Istituto
Pasteur di Parigi che stabilì chi poteva sfruttare economicamente
i risultati della scoperta dell'HIV fu in questo senso uno spettacolo
assolutamente illuminante.
Olifea dice che i corpi si deteriorano
prima dei cervelli. Che sarebbe quindi razionale sfruttare adesso
le possibilità che i nostri fisici offrono l'un l'altro.
Ma io la penso diversamente. Esistono
stati mentali alternativi. Esistono finestre, per così
dire. C'è un periodo durante il quale puoi puntare il telescopio
e vedere Giove ed è un periodo passato il quale non
puoi più. Le finestre si chiudono, insomma.
Esiste uno stato che mi permette
gli studi che sto compiendo. Questo stato è una specie
di stanza mentale, per così dire, all'interno della quale
io entro. Una volta entrato osservo la forma dei miei pensieri,
e hanno una consistenza diversa da quella abituale, si associano
tra loro attraverso altri sistemi di valenze. E' questa stanza
mentale che mi permette di progredire nei miei studi. L'ingresso
in questa stanza non è una cosa affatto semplice. Non utilizzo
nessun tipo di droga, a volte basta la stanchezza a provocarmi
allucinazioni che mi facilitano l'ingresso. Occorre in particolare
provocare il rilassamento di una particolare area del mio cervello,
o almeno questa è la cosa che io mi figuro per raggiungere
questo stato mentale. Non ne so molto di neurologia, professore.
Comunque, il fatto che questa stanza
mentale sia necessaria ai miei studi è la mia più
grande fonte di angoscia. Se fosse possibile non uscirei mai da
quella stanza. Ma non è fisicamente possibile. La mia
paura è che un giorno, domani stesso magari, io non riesca
più ad entrare. Che per qualche motivo fisiologico la finestra
si sia chiusa, che il mio cervello si modifichi per qualche motivo
organico e io non sia più in grado di entrare nella stanza.
Per questo devo finire i miei studi al più presto. E' questo
che tento inutilmente di spiegare a Olifea. Ma lei non crede alla
stanza nascosta. Dice che è solo un modo come un altro
per dire che ho bisogno di concentrarmi. Ma non è così.
Spero che almeno lei capisca, professore.
E poi i bambini. Lei non può
capire, professore, la disgrazia di abitare un appartamento rivolto
verso un cortile frequentato da bambini. I bambini sono le aggregazioni
di molecole più irregolarmente rumorose che esistono. Giocano
a calcio qua sotto. La porta è la saracinesca abbassata
di un garage. Già fa rumore quella. Ma le loro urla. Sono
qualcosa di orribile. Cocaina. Ecco quello a cui penso ascoltandoli.
La cocaina fa quell'effetto. Qualcosa di molto simile devo scorrere
nei loro sangui.
La stanza nascosta ha pareti molto
fragili, professore, è un po' come un acquario. Ci vuole
poco per le voci dei bambini a rompere le pareti e a fare uscire
l'acqua con tutto quello che c'è dentro, me compreso. Ogni
volta che questo succede, professore, mi sento in diritto di odiarli.
Rozzi, disarticolati. Distributori di fonemi tribali.
Potrei studiare da qualche altra
parte, mi dirà. Ma le mosche. Non posso staccarmi dalle
mosche. E' tutto collegato: la stanza nascosta, le mosche, sono
parti di un procedimento che mi è necessario per progredire,
professore.
L'idea che l'HIV non avesse niente a
che fare con la malattia fu espressa per la prima volta ufficialmente
da Peter Duesberg dell'Università di Berkeley. Duesberg
ricordò al mondo dell'esistenza dei postulati di Koch.
Il primo postulato dice che il microrganismo
sospetto deve essere presente in tutti i casi della malattia.
Questo non avviene con l'HIV.
Il secondo postulato dice che il microrganismo
deve poter essere prelevato da un ospite e fatto riprodurre in
una coltura pura. Questo non avviene per l'HIV.
Il terzo postulato dice che delle inoculazioni
di colture pure dei microrganismi in animali devono produrre in
questi la medesima malattia. Questo non avviene con l'HIV.
La conseguenza è che l'HIV non
è la causa della malattia. Inoculazioni di HIV in soggetti
sani non possono provocare la malattia.
Robert Gallo ha risposto alle osservazioni
di Duesberg nel modo più convincente. Col silenzio. Sfruttando
il collegamento diretto che si era creato tra il suo staff e i
media Gallo è praticamente diventato l'unica fonte primaria
di informazione sulla malattia. La sua preoccupazione è
stata quella di convincere l'opinione pubblica scavalcando così
le obiezioni del mondo accademico. Mondo accademico che del resto
non ha tardato ad allinearsi sulle posizioni di Gallo quando sono
cominciate a diventare chiare le implicazioni della propulsione
pubblicitaria che si era creata per la malattia. Per prima cosa
i fondi venivano offerti solo per quelle ricerche che seguivano
il filone dell'HIV. Le ricerche alternative, basate su altre ipotesi,
non sono state confutate sul piano scientifico, è stato
semplicemente impedito loro di evolversi, sono state prosciugate.
Inoltre l'esistenza di una causa alla
quale attribuire la malattia ha fatto sì che William Haseltine
e Max Essex, tanto fare i nomi di due dei più importanti
ricercatori mondiali, potessero fare miliardi attraverso una società
farmaceutica che vende i test per l'HIV.
Un tale esercito di allineati annunciò
l'arrivo del farmaco.
Il farmaco si chiamava azidotimina AZT.
Fu immediatamente autorizzato dalla Commissione Farmacologica
Federale degli Usa. L'efficacia del farmaco viene affermata sulla
base di un unico esperimento, condotto nel 1986 su 282 soggetti.
Per 17 settimane a una metà dei soggetti furono somministrate
dosi di AZT, mentre l'altra metà riceveva un placebo. L'ipotetica
segretezza che di solito è un fondamento perché
esperimenti di questo tipo siano significativi non fu mantenuta
a lungo, per cui i malati appresero chi di loro stava ricevendo
l'AZT e chi il placebo. A quel punto chi riceveva l'AZT cominciò
a dividerlo con chi riceveva il placebo, in modo che tutti avessero
una probabilità di sopravvivere. Il resoconto dell'esperimento
può essere considerato il più chiaro episodio di
falsificazione di dati degli ultimi cinquant'anni.
Quando scelsi la specializzazione in
immunologia tutto questo doveva ancora succedere. Ero già
disgustato allora dalle interferenze che i flussi di denaro provocano
nelle direzioni della ricerca. L'idea di esperimenti puri, dettati
solo dalla sete di sapere e di guarire si era ben presto dovuta
scontrare con la realtà dei fatti. Era estremamente doloroso
per me constatare quanto venisse stanziato per la cura di trascurabili
malattie tipicamente occidentali e quanto per le malattie da sottonutrizione,
ad esempio. Le ricerche sull'obesità. Sulle carie. Sull'alito.
Sui difetti della pelle. Un esercito di medici che si occupa di
eliminare nei, raddrizzare nasi, iniettare silicone. Ho sentito
che ora numerosi chirurghi americani sono in grado di eseguire
un'operazione al tendine inguinale che permette di allungare il
pene di qualche centimetro. Per aumentare il diametro gli stessi
medici iniettano del grasso sotto la pelle. Non so se capite.
Contemporaneamente, in altre parti del mondo, i medici servono
ad altro. A salvare vite, per quanto è possibile, ma non
è questo, vedete. I flussi di denaro sono come una corrente
d'aria che ti sposta la rotta, tu punti in una direzione e invece
ti stai spostando di traverso. Creano una mappa che delimita i
confini tra le cose che puoi fare e quelle che non puoi fare.
E non te ne accorgi, ti si falsa tutto il quadro. Ad esempio è
successo anche a me. Avrei potuto scegliere una specializzazione
che mi avrebbe portato direttamente in Africa in mezzo ai lebbrosi.
Invece no. Praticamente senza accorgermene ho scelto immunologia.
E' stata una specie di compromesso, una via di mezzo. E non è
finita.
Una volta conseguita la specializzazione,
neanche allora sono partito per l'Africa a debellare contagi tropicali,
no. Avrei potuto farlo. Sono rimasto qua. A insegnare. L'Università
mi ha offerto un posto e io sono rimasto. Mi sono accorto dopo
due o tre mesi di aver accettato il posto. Ma sono scattati dei
meccanismi di difesa mentale interni. Il mio sistema nervoso deve
aver rilasciato delle endorfine autogiustificanti. Comunque si
tratta di bloccare malattie, malattie vere, o almeno di insegnare
ad altri a farlo. Questo era il messaggio in codice contenuto
nella chimica di quelle endorfine. Ancora non era arrivata quella
malattia.
Quando la malattia arrivò ero
ancora abbastanza disorientato, disorientato dal fatto che le
mete che mi prefiggevo e che avrebbero dovuto dare un senso a
tutto quello che vivevo mi si spostavano da davanti e venivano
sostituite nottetempo con delle altre, più bieche, più
materiali. Sottostanti ad un altro baricentro, diciamo. Mete più
egoistiche.
La cosa che mi colpiva era che tutto
questo avveniva evidentemente sotto i miei occhi, eppure io non
riuscivo ad oppormi in nessun modo. Mi accorgevo solo in seguito
che una certa decisione che avevo preso non poteva aver altro
scopo se non un mio vantaggio personale. Eppure nel momento in
cui prendevo la decisione non c'era nessuna decisione, non c'era
un calcolo tra me e me, un dialogo interno, un dissidio, una scissione,
tutto avveniva come se quella fosse l'unica strada. Solo dopo
un po' di tempo riuscivo a vedere cos'era successo, scoprivo che
c'erano altre strade che avrei potuto seguire, e che queste strade
non erano strade nascoste, ma erano lì, evidenti, lì
dove sempre erano state e dove sempre avevo saputo che stavano.
La mia coscienza insomma era sempre in ritardo rispetto alle mie
azioni. Diciamo che io inseguivo la mia vita, correvo dietro me
stesso cercando di rimettermi ai comandi, e inseguendomi trovavo
solo i disastri provocati, i bivi disertati, le opportunità
lasciate cadere. E la distanza tra me e me era sempre la stessa.
Non so se questo succeda a tutti in
un modo o nell'altro, o se solo io sia oggetto di questo fenomeno.
Del resto non ha importanza.
L'arrivo della malattia cambiò
molte cose. Ricordo ancora l'ultima cosa che ho pensato prima
che succedesse quello che poi è successo. L'ultimo pensiero
fu un commento alla notizia dell'isolamento dell'HIV da parte
di Robert Gallo. Pensai: che strano. Un virus che per trasmettersi
ha bisogno dello scambio di cellule umane. Mi sembra molto strano,
pensai, i virus non hanno bisogno di nessuno scambio di cellule,
basta anche uno starnuto, una stretta di mano, per alcuni nessun
contatto, si appoggiano lì e aspettano che qualcuno li
contragga. Questo fu quello che pensai. Fu l'ultimo pensiero fluttuante.
Poi arrivò la corrente. Avvenne l'allineamento, vedete.
Fummo come un gruppo di alghe attaccate a uno scoglio. Le nostre
libere fluttuazioni ondeggianti furono sostituite da una tensione
che ci rese tutte perfettamente parallele. Con i nostri corpi
indicavamo tutti la stessa cosa. Eppure non riuscivamo a toccarci,
non riuscivamo a parlarci, a chiederci l'un l'altro perché
proprio lì, perché. Fu la corrente a farlo. I soldi.
I giorni migliori per me, professore,
sono quelli in cui piove. La pioggia tiene i bambini chiusi in
casa, li manda via dal cortile. E Olifea non guida mai quando
piove, quindi non può venire qui. Rimane il telefono, ma
spesso lo stacco.
Il problema, professore, è
che gli appunti che scrivo quando sono nella stanza mentale nascosta
spesso mi risultano incomprensibili una volta che li rileggo a
freddo. Dovrei sforzarmi di scrivere procedure concrete, che
abbiano una rilevanza pratica, che io possa verificare meccanicamente,
anche se non ne capisco più il meccanismo. Ma non è
così semplice. Ogni volta che riesco a entrare mi sembra
tutto talmente chiaro che mi lascio sviare e nei miei appunti
presuppongo lo stato. Non so come facciano gli altri.
Ricordo il giorno che ho scoperto
la stanza. E' stato dopo l'incidente. Ci fu una trasfusione, ricordo,
e ne ebbi delle conseguenze dopo qualche anno. Mi fu prescritta
una cura. Non so, probabilmente doveva esserci qualche scompenso
laterale. So che in una specie di dormiveglia ho cominciato
a vedere le mie idee, le vedevo aleggiare sospese, cioè,
non solo le mie, anche quelle degli altri, anche quelle di nessuno,
le vedevo come una sostanza palpabile. No, non so. Non so se fossero
palpabili, so solo che le vedevo, mi sembravano palpabili così,
alla vista. Sembravano ologrammi. Ricordo che non so perché,
ho cominciato a pensare alla fotosintesi. E ho capito. Ho capito.
Non so spiegarlo molto bene, ma pensando alla formula, alla semplice
successione di passaggi, ho capito cosa succede veramente, il
processo ora lo vedevo non più come una successione di
passaggi ma come un flusso continuo, una trasformazione continua,
una rifrazione, ecco, la cosa che più si avvicina all'idea
è rifrazione, i raggi piovono dall'alto, colpiscono le
foglie e rimbalzano, ma quando rimbalzano non sono più
neutri, ma verdi. Da quel momento, la simbologia mentale che in
me viene evocata dal termine fotosintesi non è più
composta da segni grafici che indicano atomi, ma da quel flusso,
appunto, un flusso che non riesco bene a riportare a parole, ma
che dentro di me è chiaro e completo, ecco, completo, contiene
tutti i passaggi e tutte le sfumature. E' totale in sé
stesso.
In seguito, nel periodo della malattia,
mi è successo altre volte. Allora ho capito che l'accesso
a quello stato mentale non era un fenomeno casuale e incontrollabile,
ma avveniva in modo più semplice durante la stanchezza
mentale provocata da molte ore di studio ininterrotto. Allora
pensavo che fosse una specie di euforia, come quella che provano
i maratoneti dopo diverse ore di corsa, quando la mente si stacca
dal corpo e il corpo alleggerito dal peso mentale della fatica
continua a correre scorrevolmente e senza sforzo.
Mi vengono da pensare cose strane,
a questo proposito. Io non so precisamente da dove escano le cose
che penso. Io credo che ognuno di noi si porta dentro un bagaglio
di risposte, apprese in maniera indiretta attraverso l'osservazione
e l'esperienza, e a seconda delle circostanze uno tira fuori
la risposta più adatta. Difficilmente questo modo, che
è poi il modo naturale di pensare, porta a cose nuove.
Sono semplicemente ripetizioni già viste vivere in altre
persone.
Ad esempio uno scrittore. Generalmente
chi scrive lo fa in seguito al fatto di aver letto molti libri.
Questi libri creano una specie di utensileria di frasi già
pronte, situazioni già lette, un retromagazzino, insomma.
Dopo aver scritto la prima frase lo scrittore pesca nel suo repertorio,
nella sua memoria una seconda frase che gli sembra adatta a seguire
lo spirito della prima. Poi una terza frase, e così via.
Tutto viene da sé. Se quello che scrive a noi può
sembrare originale è solamente perché noi non abbiamo
accumulato le stesse esperienze, non abbiamo lo stesso vocabolario
di situazioni, nella nostra infanzia non abbiamo letto gli
stessi libri. Se avessimo letto esattamente gli stessi libri che
ha letto lo scrittore, e avessimo avuto più o meno le stesse
esperienze, ecco che il libro ci sembrerebbe completamente inutile,
completamente non aggiuntivo di niente. La comunicazione ha senso
solo se lo scambio avviene tra persone che non hanno lo stesso
vocabolario. I vasi comunicanti, per comunicare, devono essere
posti a livelli diversi.
Ecco, questo avviene anche nella
ricerca, in un certo senso. Gli anni di scuola e di università
servono più che altro a delimitare i campi nei quali cercare,
a creare delle risposte automatiche che ci traggano d'impaccio.
Ma nella stanza, nella stanza nascosta che ho trovato nel mio
cervello, lì no. Le normali leggi che regolano l'immaginazione
là dentro non regolano niente. Le leggi di gravità
che determinano il modo in cui le idee vengono normalmente costruite
ammassandone una su di un'altra, spingendole verso terra lì
dentro non hanno nessun vigore. Extraterritorialità. Ecco.
Forse quando tutti, ogni persona
al mondo potrà accedere alla sua stanza, allora quello
che ho fatto sembrerà banale, sembrerà alla portata
di tutti. Ma io sarò stato il primo, professore.
Una volta vidi Robert Gallo, era venuto
in Italia ad un convegno sulla prevenzione. Nessuno metteva in
discussione quello che diceva. I suoi soldi, moltiplicati dal
nulla erano lì ad indicare quanto avesse ragione.
Non che i soldi all'inizio fossero molti,
per noi. Ma erano precisamente indirizzati, ci permettevano di
fare certe cose, potevano essere spesi solo in alcuni modi ben
precisi e non in altri.
Non è che improvvisamente tutti
abbiamo cominciato a pensare allo stesso modo, no. Ognuno aveva
i suoi dubbi, manteneva le sue ipotesi mentali, era convinto che
alcune cose fossero giuste ed altre sbagliate. Diciamo che tutti,
insomma, sicuramente io e qualche altro, continuavamo a pensare
abbastanza liberamente alle ipotesi sulla malattia. Ma nello stesso
tempo le nostre azioni, le nostre azioni concrete, le provette
spostate, gli esperimenti sulle colture, quelle erano perfettamente
allineate. Eravamo una specie di succursale dello staff di Robert
Gallo. Ad esempio durante i corsi all'università, spiegando
ai miei studenti i tre requisiti minimali che un parassita deve
avere per essere considerato patogeno, dev'essere biochimicamente
attivo, dicevo loro, deve colpire o intossicare un maggior numero
di cellule dell'ospite di quante l'ospite non sia in grado di
rigenerare, l'ospite deve accettare l'agente patogeno, i ragazzi
più svegli quando scrivevo alla lavagne queste cose mi
chiedevano perché allora l'HIV fosse considerato il virus
che provoca la malattia pur non rispondendo a uno solo di questi
requisiti. Allora cominciavo a parlare di latenza, di meccanismi
indiretti di uccisione delle cellule, tanto per farli stare zitti,
l'avevo visto fare a Gallo con i giornalisti e io facevo lo stesso.
Ma non è che dentro di me avessi smesso di avere dei dubbi.
Solo che questi dubbi non scalfivano le mie azioni esterne, ecco.
Poi gli esperimenti, le ricerche, le tesi di laurea assegnate.
Vedete, a questo punto devo spiegare l'importanza che una cosa
come la statistica descrittiva ha per noi ricercatori. Anche ammettendo
che i dati di partenza siano esatti, nel momento in cui questi
dati vengono riassunti in indici, ecco, vedete, esiste una tale
gamma di indici che si possono usare, indici non univoci, discordanti
tra loro, un po' come i sistemi elettorali, è del tutto
agevole dare ai dati l'inclinazione che ci serve per dimostrare
quello che ci eravamo ripromessi di dimostrare. La statistica
descrittiva è il mezzo attraverso il quale fenomeni assolutamente
oggettivi come liste di cifre, diciamo fenomeni che non potrebbero
essere interpretati soggettivamente, vengono espressi attraverso
indicatori sintetici che di oggettivo hanno solo la loro estrema
manipolabilità.
Fu in questo periodo che cominciai ad
avere dei dubbi sul libero arbitrio, in senso filosofico. Ho cominciato
a pensare che il tempo non esistesse così come noi comunemente
lo intendiamo. Decisi di considerare il tempo come una scansione
laterale dell'attenzione, una costruzione sequenziale dell'attenzione,
una ricostruzione a posteriori del mondo esterno, solo uno dei
possibili modi nei quali la realtà più essere interpretata
e letta. Letta. Ecco. La lettura. Il tempo è solo uno sguardo
che scivola, un fascio di luce che illumina un punto alla volta
e si sposta lentamente e continuamente a illuminare altri punti,
ma i punti esistono già tutti fin dal principio. La lettura.
E' come quando si legge un libro, si comincia dall'inizio, ma
questo non toglie che il libro esista già tutto, non toglie
che esistano già anche le ultime pagine, ogni singola riga
esisteva già prima che noi prendessimo per la prima volta
il libro in mano.
Il libero arbitrio, dicevo. Be', c'era
anche il fatto che come dicevo prima mi accorgevo di aver preso
delle decisioni solo dopo averle prese, che inseguivo me stesso.
Così pensai che il libero arbitrio non esiste per nessuno,
o forse no. Forse esiste un tempo zero, o un punto al di fuori
del tempo all'interno del quale tutte le decisioni vengono prese,
e poi queste vengono distribuite man mano nel corso della vita.
Non so. Più che altro ero stanco,
molto stanco di inseguire me stesso, e cercavo teorie che giustificassero
il fatto di stare rallentando.
Ci fu un periodo, però, limitato
a qualche mese, non di più, durante il quale ebbi l'illusione
di non essere un semplice lettore, ma uno scrittore a tutti gli
affetti. Pensavo di essere riuscito a riprendere il comando. Non
so se fu effettivamente così. Avvenne quando lessi in un
articolo la relazione di un medico di New York, Stephen Caiazza.
Caiazza si era occupato per molto tempo
di malattie veneree. Assieme a Joan McKenna era stato in Germania
a trovare l'équipe di Dierig e Waldthaler. Caiazza era
convinto di una cosa. La malattia non esisteva. O meglio esisteva
da molto tempo. Esisteva da sempre. La malattia non era altro
che sifilide terziaria.
Caiazza aveva circa un centinaio di
pazienti in cura. Trattava i malati con dosi massicce di penicillina,
ma non del comune tipo benzathina, dato che questa non penetra
negli occhi e nel cervello e lascia che i microrganismi si riproducano
continuamente.
In sostanza si poteva dire che i morti
attribuiti alla malattia erano aumentati quando casi clinici che
precedentemente all'isolamento dell'HIV sarebbero stati diagnosticati
da qualsiasi medico come sifilide, e curati di conseguenza, hanno
invece, a seguito dei test per l'HIV appunto, cominciato a essere
trattati con chemioterapia e AZT. I morti sono stati provocati
dalle cure per una malattia che non esisteva e dalla mancanza
di cure per una malattia che invece esisteva.
C'era una cosa che la relazione non
riportava, ma che io venni a sapere in seguito. Caiazza era positivo
ai test dell'HIV. Si era punto accidentalmente molte volte con
aghi infetti. Si ammalò, e per curarsi si autoprescrisse
delle endovenose di penicillina. E guarì. E dopo di lui
guarirono i suoi pazienti, uno dopo l'altro.
La ditta da cui Caiazza comprava la
penicillina per il trattamento era una di quelle case farmaceutiche
che producono AZT. Caiazza chiese al responsabile della ricerca
di essere aiutato nei suoi esperimenti. Il responsabile della
ricerca rispose no. Ma perché? chiese Caiazza, se con circa
duecento dollari di penicillina posso fare quello che prima richiedeva
diecimila dollari di AZT.
Appunto, rispose il responsabile della
ricerca.
All'inizio pensavo che tutto questo
lo avrei utilizzato per fare la tesi. Avevo scelto anche il professore,
mi sembrava un tipo a posto. Gli ho spiegato cosa intendevo fare,
in termini molto generici, lui ha detto si può fare, può
buttare giù qualche pagina e portarla al mio assistente.
E' quello che ho fatto. Dopo qualche giorno sono tornato per sentire
cosa avevano deciso. L'assistente appena mi ha visto è
scoppiato a ridere, ha detto, venga, venga qua, quelle pagine
che ci aveva lasciato, sono assolutamente spassose, io e il professore
abbiamo riso a crepapelle, le giuro, non avevamo idea che potesse
esistere una comicità degli elementi chimici, capisce,
veramente innovativo. Il professore la vuole conoscere, ma lei
è così divertente anche quando parla?
Insomma, ci volle un po' di tempo
per riuscire a convincerli che facevo sul serio. Non volevano
proprio crederci. Alla fine hanno capito. Allora sono tornati
seri, a malincuore, e hanno scosso tutti e due la testa, il professore
ha detto no, no, guardi, sarebbe ingegnoso ma molto probabilmente
non si può fare.
Ma io ho capito. Il fatto è
che non se la sentiva di rischiare.
Questa faccenda mi ha molto depresso,
all'inizio, poi invece ho pensato che è stato meglio così.
Il continuo contatto con l'ambiente accademico forse mi avrebbe
impregnato dei limiti mentali che restringono quelle aule, ecco.
L'essere appoggiato da un professore, essere seguito passo
per passo da un assistente mi avrebbe certamente condizionato.
Poi non so, forse la ricerca istituzionalizzata
è una contraddizione in termini. Ogni volta che qualche
scoperta viene effettuata in un laboratorio di una università
io mi stupisco. Mi sembra sempre molto strano. Non so. Il fatto
è che sono molto presuntuoso e diffidente, ecco.
Ad esempio penso che nessuno troverà
mai una cura per il cancro. Con tutti quei miliardi che piovono
continuamente per chi si occupa della ricerca sarebbe come darsi
la zappa sui piedi. Anzi, secondo me le ricerche che vengono effettuate
hanno lo scopo precisamente opposto, cioè impedire che
una cura effettiva venga alla luce. Probabilmente esiste una cura
già da anni. O forse no, non so. Forse è una specie
di strategia della tensione, nessuno ha il coraggio di rompere
l'omertà per primo.
Dopo aver letto la relazione di Caiazza,
segretamente cominciai a consigliare l'uso della penicillina in
soggetti che avevano contratto la malattia. Fui scoperto abbastanza
presto, perché io non ho uno studio medico dove ricevo
miei pazienti, quindi i medici che avevano in cura queste persone
si accorsero della cosa ed ebbi dei fastidi. Allora chiesi se
era possibile fare un esperimento, trattando un certo numero di
pazienti con la penicillina, ma nessuno sembrava competente ad
autorizzare una cosa del genere. L'unica cura accettata era quella
dell'AZT. La malattia è una grande drago, mi dissero, non
dobbiamo disperdere le forze in mille direzioni, dobbiamo attaccarlo
tutti insieme in modo da sconfiggerlo una volta per tutte. Io
so, so per certo che dentro di loro, che sotto, che dietro le
loro facce, che all'interno del loro cranio, che una parziale
parte di loro mi dava ragione. Ma questa parziale parte di loro
non aveva nessuna capacità di controllo riguardo ai movimenti
fisici. Quella parziale parte di loro era completamente impotente,
non poteva controllare niente di quel corpo che la conteneva.
Così il mio esperimento si ridusse
all'osservazione effettuata in segreto del campione composto da
un solo paziente. Aveva contratto la malattia a seguito di una
trasfusione dopo un incidente stradale. In quel caso ero riuscito
a falsificare i risultati del test per l'HIV e a nasconderne la
positività. Nemmeno il paziente ha mai saputo di avere
la malattia. Lo curai come se fosse stato un normale malato di
sifilide terziaria, con dosi molto pesanti di penicillina. Dopo
qualche mese però dovetti interrompere. Diciamo che non
ero più molto convinto, non degli effetti della cura, fino
a quel momento erano del tutto incoraggianti, ma della possibilità
di mantenere il segreto ancora a lungo, e specialmente della valenza
dimostrativa praticamente nulla di quell'esperimento, le condizioni
della cui esistenza erano state da me create attraverso una massiccia
falsificazione di referti a priori.
Tutt'al più la cosa poteva avere
un significato personale. Lasciai perdere anche per un altro motivo.
Se l'esperimento avesse avuto successo sarebbe stata la dimostrazione
che tutto quello che si stava facendo era sbagliato. E l'esperimento
come ho detto non era in grado di dimostrare niente. Diciamo che
era in grado di convincere me solo, nessun altro, cosicché
sarei stato costretto a continuare a fare per anni le stesse cose,
pur essendo assolutamente certo della loro inutilità. Ecco,
io ebbi paura che questo succedesse. Be', c'era la vita di quel
ragazzo, mi direte. Lasciai perdere anche quella.
Poi il flusso dei soldi lentamente stava
aumentando, impacciando, bloccando tutti i nostri movimenti. Non
facevamo in tempo a imparare ad usare un macchinario che subito
ne arrivava un altro, e un accumularsi di persone, ognuno arrivava,
diceva la sua, intascava assegni, le stanze erano sempre più
piene, anche semplicemente fare cose in quella direzione, anche
fosse stata la direzione giusta, non si sarebbe più riuscito,
era come se i laboratori fossero allagati da un'ondata di piena,
era come cercare cose in una stanza che si stava allagando, gli
strumenti, le cose che servivano restavano sul fondo e il livello
continuava a salire e più saliva più noi ci allontanavamo
dagli strumenti, ecco.
Non era questione di essere avidi o
no, onesti, ambizioni, queste cose non c'entravano niente, era
il flusso, la corrente, il livello si alzava comunque e comunque
ti spostava dagli strumenti. Era impossibile lavorare in quel
modo.
Raschio il fondo delle teche di vetro.
Facendo attenzione a non far scappare le mosche. Ammucchio su
un vetrino da microscopio. Poi cerco elementi, faccio analisi,
scaldo le mie beute, normalizzo, osservo il colore della fiamma,
mescolo acidi, cerco proteine.
E' un'idea molto semplice la mia,
professore. Forse troppo semplice perché possa essere accettata
facilmente. Non so. Penso che ci saranno pesanti conseguenze sul
sistema economico, molte cose dovranno essere riorganizzate. Non
so, le industrie alimentari saranno le più interessate.
Non so se l'industria alimentare sopravviverà. Non so immaginare
le conseguenze sull'assetto produttivo di tutto questo. Una cosa
è certa. Il giuramento di Rossella O'Hara non avrà
più molto senso. Nessuno soffrirà più la
fame.
I soldi. Non so. Può darsi
che quelli sopravvivano. I soldi sopravvivono sempre. Sopravvivono
a qualsiasi cosa.
Ad esempio io non li ho mai voluti
i soldi, eppure non riuscivo lo stesso a fare quello che volevo
fare. Maturare significa rinunciare, lasciare perdere un sacco
di cose. Ma io non ero così. Quando ho scelto medicina,
l'ho fatto in base ad alcune idee ben precise.
Mi è tornato in mente la prima
volta che ho ricevuto una di queste cassette. C'è incisa
la voce di un uomo, si direbbe un ragazzo. Pare che stia studiando
qualcosa, nel campo della chimica. Evidentemente mi conosce, anche
se la sua voce non mi fa tornare in mente niente.
Ma sono le cose che dice che mi ricordano
una persona. Quella persona è me stesso, tanto tempo fa.
Un me stesso che si è spento gradualmente ma inesorabilmente.
O forse non si è spento, è stato immobilizzato dentro
di me, è stato reso innocuo, non so come. Ma queste cassette,
anche se devo dire la verità, molte volte fatico a seguire
il filo del discorso, queste cassette possiedono una specie di
codice di accesso verso me stessi sepolti da anni. E' un po' come
ascoltare una canzone di allora, una canzone dimenticata da un
sacco di tempo.
Ogni sera prima di andare a dormire,
sera per modo di dire, poiché come il poeta amava dire
'Solo ho amica la notte' e la maggior parte delle volte mi corico
all'alba, comunque al momento di andare a dormire spesse volte
mi metto a pregare. Prego che arrivi la pioggia e mi aiuti a finire
il mio lavoro. Mi è sempre più difficile entrare
nella stanza, me ne sto accorgendo. E' come se lo spiraglio
attraverso il quale passo si restringesse ogni giorno di più.
Non so a cosa attribuire tutto questo. So solo che il tempo scarseggia
e che la pioggia mi è necessaria.
La stanza nascosta mi ha rivelato
comunque molte cose. Lei crede che io non sappia, professore.
Invece ho sempre saputo. Nella stanza molte cose sono chiare.
E la cosa più chiara di tutte che aleggia nella stanza
è la cosa che lei ha fatto per me. A volte penso che la
stanza sia un effetto collaterale della penicillina.
C'è solo questo. Cancellare.
Strappare via pagine e ricominciare. Dimostrare che la mia vita
non è una continua lettura di cose già scritte.
E' questo quello che avevo rinunciato a fare. Maturare significa
smettere di scrivere e limitarsi a leggere. E' questo che i soldi
provocano, provocano una sovrabbondanza di scritti già
pronti, utilizzabili, i soldi scavano la via, scavano il solco
nel fondo del quale siamo costretti a vivere. Ma io non voglio
più farlo. Voglio riprendere in mano la penna che sta scrivendo
la mia vita, voglio essere io, io di nuovo.
Vieni dolce pioggia ad attutire tutti
i rumori. Venite nuvole nere. Scioglietevi in lacrime, piangete,
e che il vostro pianto tenga in casa i bambini, li rinchiuda dietro
la finestra a guardare il cortile bagnato. Tenete Olifea lontana.
E avvicinatemi alla mia idea.
Un'idea così semplice, vede,
professore. Tutto parte dalla fotosintesi, tutto è cominciato
la prima volta che ho messo piede nella stanza. Noi respiriamo.
Ci prendiamo l'ossigeno dall'aria, ed emettiamo anidride. Le
piante si prendono l'anidride ed emettono ossigeno. La materia
si muove in circolo, capisce? Tutta la materia, tutte le molecole,
gli atomi.
Noi ci prendiamo il cibo. Ed emettiamo
sterco.
Le mosche si prendono lo sterco.
Ed emettono?
Affronterò il drago grande. Saremo
lui e io, e sarà un corpo a corpo. Il drago che uccide
persone, ma non persone qualsiasi, no, un drago che sceglie le
sue vittime tra omosessuali e drogati, un drago fascista che si
mangia le puttane e i loro clienti. Persone che danno fastidio
a chiunque. Io sconfiggerò il drago. Io salverò
queste persone. Questa gente è mia. Questa gente è
la mia gente. Voi tornate pure alle vostre liposuzioni, a raddrizzare
nasi, tornate a fare lifting, ad allungare uccelli e lasciatemi
solo con lui.
Ci sono avvertimenti sopra le provette.
Provette nel frigo. Ci sono avvertimenti, avvertimenti, avvertimenti.
Ci sono corridoi, porte, luci al neon. C'è un carrello
spinto via. C'è un infermiere. Ci sono siringhe. C'è
una siringa. Siringa. Ci sono sacchetti di sangue dentro al frigo,
sono come confezioni di termoisolante. Sono freddi. Sono rossi.
Aspiro. Espiro.
E ricomincio a scrivere. E' la mia vita.
La penna è questa. Una siringa. L'inchiostro è questo.
Sangue infetto.
Matteo Galiazzo
Le avventure di Al Cultman: Winona
Ryder
Oggetti di culto degli adolescenti d'oggi:
libri, film, fumetti...
di Alberto Fassina
Perché Winona la prima volta
che Al l'ha vista è stato in "Edward..." ma li
non valeva, cioè era bionda
e ad Al, Al Cultman la Winona piace
castana.
Però per la cronaca la prima
volta che l'ha incontrata era su quel lenzuolo bianco del vecchio
cinema Esperia.
E lì sul lenzuolo bianco tra
le braccia del povero Edward Al la guardava.
E poi l'ha rincontrata anche su una
foto in bianco e nero su un CIAK di settembre.
E da lì non l'ha più dimenticata,
che lei era vestita da ballerina col tutù e la foto spettacolare
era in bianco e nero.
E Al non scorda.
E poi le ha rapito il cuore in "Schegge
di follia", perché lì era perfetta, e stava
bene anche con le calze azzurre.
E per star bene con le calze azzurre
bisogna proprio essere speciali.
e lei lo è.
Perché è si una stella
dello spettacolo, cioè è una di quelle ragazze che
esistono per quella frazione di fotogramma, per la bellezza impressa
nei misteri della sensibile celluloide.
E' si una di quelle, ma nei suoi film,
nelle sue parti ha delimitato un personaggio coerente,
che ad ogni pellicola aggiunge e precisa
qualcosa di se stessa.
Perché Al, poi per la Winona
proprio ha una fissa, perché lei ha i capelli castani.
perché lei ha i capelli sia lunghi
che corti
che basta mettere nel video "Reality
bites" che ce li ha corti
oppure "Schegge di follia"
che le tornano di nuovo i capelli lunghi.
Che Al desidera di annusare dopo la
doccia.
Che Winona è quella bellezza
che Al cerca quando è in autobus.
Che Winona è quegli occhi che
cerca di incrociare in quelle ragazze che camminano un po' con
la testa china e pensano a
Che Winona ha l'altezza giusta che Al
desidera perché è così fatta da stringere
è così fatta da baciarle
il collo
con la sua pelle chiara, senza abbronzatura.
E Al non sa cosa darebbe per aspirare
un po' di odore di pelle di Winona, l'odore del rosa chiaro della
sua schiena,
Al sa che la Winona forse ha particolare
importanza per lui perché quel giorno che ha deciso di
cominciare la sua storiasenzaagettiviperchénonservono,
quando Al ha deciso, per calmare l'attesa della risposta si è
rinchiuso nella sala del cinematografo con la Winona in cerca
di lavoro da ammirare.
E al suo fianco aveva il Beo che anche
a lui piace la Winona, è che lui ha dice che per le attrici
superato un certo livello non gli fa differenza, invece ad Al
fa la differenza perché Winona è la migliore
Che che ne dica il Beo che per lui tra
Demi Moore, la Nicole Kidman, e la Winona fa lo stesso e fa decidere
ad Al.
Lo stesso un bel niente, per Al c'è
la Winona e basta.
Si e quindi trascinato in una sala buia
per trovare qualcos'altro a cui pensare, il Cultman aveva deciso
di affidare i suoi pensieri alla Winona.
Che le parole, e gli sguardi della Winona
quella sera avrebbero avuto la meglio sulla paura che quell'altra
ragazza vera dicesse che forse non era il caso.
Al si affidava alla compagnia del Beo,
e all'immagine della Winona per passare una sera tranquilla di
cinema e pizza margherita consumata fuori dalla pizzeria al taglio
seduto sulla vespa del Beo.
E la pizza quella sera scottava, e quando
Al si è messo sotto al lenzuolo di metà giugno la
Winona ha avuto la meglio.
e il sonno si è agganciato a
quella foto di Winona ballerina.
Ma la pizza la notte fa venire sete
e Al bevendo l'acqua fresca del frigo
che illuminava la cucina
Al capiva, che quella sera Winona aveva
per la prima volta fallito
perché Al con l'attesa che seccava
la gola
non ha più ripreso il sonno
Alberto Fassina
Dal nostro inviato in libreria
MENTRE LOU REED SI APPISOLA
di Simone Battig
Treviso, libreria Canova, 22 novembre
1996. Guardo Jay McInerney mentre legge, rigorosamente in inglese,
un brano inedito dal libro che ha in preparazione. Dal vivo Jay
McInerney sembra di gomma. Guardo la foto della quarta di copertina
del suo libro, appena uscito in Italia, L'ultimo dei Savage.
Nella foto McInerney sembra più giovane.
Comunque legge bene. Tutti noi che lo
stiamo ad ascoltare capiamo sì o no una frase ogni cinque,
ma lo ascoltiamo e godiamo della sua lettura espressiva, quasi
teatrale. Prima di tutto ciò Fernanda Pivano ha letto una
scheda di presentazione su Jay McInerney, ha elogiato per diversi
minuti lo stile perfetto, la prosa elegante... Non è stato
molto interessante.
McInerney continua a leggere. Alla sua
sinistra, due sedie più in là, Lou Reed si è
appisolato. Sarà il fuso orario, sarà che è
Lou Reed, sarà il vino italiano traditore, saranno le droghe,
ma si è proprio appisolato. Lou Reed non doveva partecipare
a questa serata in libreria, ma si è aggregato al gruppo
essendo appena arrivato dall'America. Lou Reed. A non più
di due metri. Fantastico.
McInerney finisce la sua lettura, tutti
applaudono, lui sorride (in fondo è simpatico, anche se
è di gomma), Lou Reed si desta di colpo e applaude, Fernanda
Pivano si sistema sulla seggiola. Io ho caldo.
Fernanda Pivano legge ora la scheda
di un altro autore presente questa sera: Mark Leyner. Dice che
è stato scoperto da McInerney, che ha un linguaggio rutilante
e futuristico, che è già autore di culto in America
e profeta degli anni Novanta. Lou Reed si appisola.
Quando Mark Leyner prende la parola,
con l'aiuto di una traduttrice, confessa di aver cercato di comportarsi
con contegno a tavola con Lou Reed. Ma quando sarà a casa
impazzirà e racconterà a tutti di aver conosciuto
Lou Reed. Dice che leggerà dei brani dal suo libro Mio
cugino, il mio gastroenterologo e che, successivamente, la
traduttrice leggerà i brani dall'edizione italiana del
libro.
Leyner legge. Legge con il ritmo frenetico
che richiede la sua scrittura, si capisce una frase ogni dieci,
ma già così mi sembra bello quello che legge, mi
sembra coinvolgente.
Nel silenzio della sala, ad una frase
di Leyner che nessuno ha colto, Lou Reed scoppia in una risata
isterica piegandosi in avanti. Tutti noi sogghigniamo nel vederlo
sbottare così. Lou Reed ci guarda, nota la nostra espressione
catatonica e si ricompone.
Leyner legge stupendamente un brano
che parla di supposte anfetaminiche. Ogni tanto Lou Reed ride
sguaiatamente nel silenzio assoluto, si asciuga le lacrime, si
contorce, si ricompone guardandoci e fissandoci improvvisamente
serio. Al sesto passaggio finalmente anche noi capiamo una battuta
e ridiamo insieme a Lou Reed.
Scrosciano applausi alla fine del brano,
per Mark Leyner ma anche per Lou Reed. La traduttrice comincia
subito a leggere in italiano. L'impressione che avevo avuta sulla
qualità della carica innovativa di Leyner è confermata
da quello che sento.
"Sto mettendomi in contatto con
il Galles, Colorado, Vladivostok, Altamont, Barnes & Noble,
Norimberga, Biafra. Rimescolo un boccale di Martini Tanqueray
con una mano e col piede faccio scivolare nel forno un vassoio
di vongole all'origano surgelate. Ho una dozzina di sigarette
che vanno simultaneamente in cenere in tutto l'appartamento. Dio,
queste supposte anfetaminiche che mi ha dato Yogi Vilthaldas sono
buone! Mentre stiro un paio di pantaloncini da tennis detto al
registratore un haiku e sturo il lavello del bagno e mi sparo
tre minuti di cyclette prima di fare un origami di una mantide
religiosa e leggere un articolo della rivista High Fidelity
mentre rigiro il coq au vin. Queste supposte anfetaminiche che
mi ha dato Yogi Vilthaldas sono fantastiche!"
Forse Leyner non sarà mai un
autore straordinario per ciò che racconta. Ma il suo linguaggio,
il suo stile, la sua tenuta vanno a comporre un modo di
scrivere originalissimo, forse unico.
Ci si avvicina al termine dell'incontro.
Qualcuno chiede quali siano le caratteristiche della generazione
di scrittori come McInerney. Lou Reed si riappisola.
McInerney e Leyner rispondono esponendo
le loro teorie. Io sto pensando che avrei dovuto studiare più
inglese a scuola. E ascolto attentamente la traduttrice. Ho caldo.
McInerney, Leyner e Lou Reed, che si ridesta per l'occasione,
si accendono una sigaretta. Ora ho caldo e ho voglia di fumare.
Un giornalista chiede insistentemente
a Lou Reed come sia possibile che lui abbia dichiarato di apprezzare
molto James Ellroy e invece Ellroy abbia detto di odiare il rock
e in particolare Lou Reed e i Velvet Underground.
Lou Reed lo guarda con i suoi occhi
a fessura e gli dice, giustamente, che non capisce quale sia la
domanda. Il giornalista ripete lo stesso discorso per due o tre
volte, fino a che Lou Reed lo fissa e, in un inglese che capisco
perfino io, gli dice: "Non me ne frega niente. Ho detto che
mi piace leggere James Ellroy e non che voglio andarci a letto."
Tutti ridono. McInerney ride, ma sono
sempre più convinto che sia un androide di gomma costruito
da Mark Leyner per farsi scoprire.
Simone Battig
DA TRADURRE: Ecstasy, di Irvine
Welsh
di Monica Benucci
[Irvine Welsh è diventato
famoso di colpo dopo la pubblicazione del romanzo Trainspotting
(in italiano da Guanda, pp. 361, L.26.000, trad. Giuliana Zeuli).
Nella primavera 1997 sarà tradotto in Italia, e sempre
pubblicato da Guanda, il successivo Ecstasy: Three Tales of
Chemical Romance. Lo presentiamo in anteprima. L'edizione
inglese è distribuita in Italia da Messaggerie Internazionali.]
Se non avessi avuto l'incarico di terminare
Ecstasy, dopo il primo quarto d'ora avrei abbandonato l'opera
alla sua sorte. Non è il mio genere. Magari l'anno prossimo,
per pura curiosità, avrei dato un'occhiata in libreria
alla traduzione italiana, come ho fatto con il primo libro di
Irvine Welsh, Trainspotting, finalista al Booker Prize.
Dunque, dopo le prime pagine di Ecstasy
mi sono detta che probabilmente si trattava dell'ennesimo
Ecclesiaste niente-di-nuovo-sotto-il-sole, camuffato da
novità delle novità. Con questo non intendo dire
che Welsh sia un narratore mediocre, tutt'altro. Quest'ultimo
libro mi pare ben scritto e ben confezionato. Però, fin
dall'inizio, c'era qualcosa che proprio non mi tornava.
Come recita il sottotitolo, Ecstasy
è composto di tre storie d'amore "chimiche"
(Three Tales of Chemical Romance), nel senso che l'omonima
droga, E-4-ecstasy appunto, è in qualche modo il filo conduttore.
Ma il termine estasi sta anche per l'estasi d'amore, nonostante
tutto questo sembri un'interpretazione forzata finché non
si arriva all'ultimo racconto.
In "Lorraine goes to Livingston",
la prima storia, c'è ben poca estasi, in entrambi i sensi.
Si racconta di una scrittrice bulimica di romanzi rosa, Rebecca
Navarro, che scopre di aver sposato un uomo dalla sessualità
perversa, che non la ama affatto e la sfrutta per il suo denaro.
Già in questa prima parte veniamo aggrediti da una materia
di sicuro impatto. Tanto per fare un esempio, c'è un presentatore
televisivo, dal forte accento scozzese, appassionato di necrofilia:
il suo passatempo preferito, tra una ripresa e l'altra, consiste
nel recarsi in un ospedale di fiducia per farsi qualche morto.
Mi dico che forse il racconto successivo
mi chiarirà il significato di quello precedente, che per
il momento mi sfugge, e quindi procedo risoluta verso "Fortune's
Always Hiding" (la fortuna si nasconde sempre). Scopro subito
che questa storia è davvero tuta un'altra storia, ma solo
nel senso che non c'entra nulla con la prima dal punto di vista
della trama. Cambiano i personaggi e le vicende, eppure il tono
è sempre lo stesso. Si parla in abbondanza di sesso, violenza,
perversioni e simili, senza indulgere ad alcun eufemismo. Altre
somiglianze tra i primi due racconti sono la suddivisione in brevi
capitoletti, da prendersi tipo pastiglie, e il metodo narrativo
dell'accostare all'inizio personaggi apparentemente irrelati,
per poi ricostruire gradualmente le connessioni.
Noto una novità: la prima persona.
Dopo il prologo che introduce "Fortune's Always Hiding",
il primo capitolo è narrato dalla viva voce gergale di
Dave, in puro slang. Questo tipo ne fa di tutti i colori, finché
s'innamora di una ragazza che ha perso le braccia a causa di un
farmaco, e grazie a lei trova la sua vera vocazione: da semplice
teppista passa all'omicidio premeditato.
In realtà qualcosa di simile
al racconto in prima persona c'era già in "Lorraine
goes to Livingston", dove vengono riportati brani dai romanzi
rosa scritti da Rebecca, seguendo i mutamenti improvvisi del suo
estro creativo man mano che lei scopre la doppia vita del marito.
Questo espediente del racconto nel racconto ha una precisa funzione
narrativa, ma in ogni caso è una prima persona "scritta",
mentre la voce di Dave Thornton è quanto di più
vicino al parlato si possa immaginare. Accanto a questi monologhi,
sopravvive comunque la terza persona del narratore, che domina
interi capitoli.
Giunta al termine della seconda storia,
la mia prima impressione resta inalterata: non è il mio
genere e non capisco dove si voglia andare a parare. Leggo l'ultima
frase, che riporta le parole di una canzone degli ABC intitolata
"Poison Arrow" (freccia avvelenata), dall'album preferito
di Dave, Lexicon of Love (il lessico dell'amore):
"I'm forever blowing bubbles...
pretty
bubbles
in
the..."
(faccio sempre bolle di sapone... belle
bolle nell'...).
Da brava lettrice, concludo io stessa
il discorso, decidendo di andare a prendermi un po' d'aria nella
speranza che quella parola mancante, "air", sia una
promessa per l'ultimo racconto.
Quando riprendo in mano il libro, mi
auguro che con "The Undefeated" (che significa letteralmente
"gli imbattuti"), riuscirò a tirare il fiato
e a capirci qualcosa, ma in realtà ci spero poco. Il sottotitolo
recita: "An Acid House Romance", traducibile più
o meno come "Un romanzo da discoteca". Di droga se n'è
vista ancora poca, quindi suppongo che a questo punto irromperanno
dosi massicce di ecstasy.
Effettivamente, non solo la famigerata
E diventa protagonista, ma l'orizzonte si rischiara, non tanto
perché si raccontino storielle meno mozzafiato, quanto
piuttosto perché comincio a scorgere il senso dell'intera
operazione. Il metodo seguito nel montaggio delle tre storie sembra
essere, ancora una volta, quello del graduale svelamento delle
connessioni.
In "The Undefeated" compare
solo la prima persona, il narratore in terza persona è
scomparso, si limita a giustapporre i discorsi dei due protagonisti,
Heather, un'impiegata di 26 anni sposata con un uomo che non ama
più, e Lloyd, 31 anni, spacciatore e consumatore di droghe
varie. E' chiaro che i due, nonostante conducano esistenze molto
diverse, prima o poi s'incontreranno. Difatti, dopo un certo quantitativo
di capitoli-pillole ecco comparire l'estasi d'amore con la E maiuscola:
Heater e Lloyd si conoscono in un club e s'innamorano. L'amore
diventa per entrambi un'energia rigenerante, una forza creativa
che permette di trasformare in positivo le loro esistenze. Anche
il sesso, che per Lloyd consisteva nell'avere a disposizione un
"buco" tutte le notti, meglio se appartenente a donne
diverse, si trasfigura in un'esperienza quasi-mistica.
Leggendo le pagine finali mi viene in
mente lo stato nascente descritto da Alberoni (!). Questa è
l'ultima frase: "We turned our backs on the chaos and headed
downstairs" (Volgendo le spalle al caos, ci dirigemmo giù
per le scale). Prima persona plurale: non più io, ma noi.
Adesso mi sembra chiaro che le prime due storie narravano incontri
imperfetti, mentre questa descrive l'incontro perfetto, l'estasi
appunto.
Quest'ultimo racconto io lo trovo più
divertente degli altri due, più piacevole a leggersi, e
anche ben costruito per quanto riguarda la verosimiglianza psicologica
delle trasformazioni che coinvolgono Heater e Lloyd. L'innamoramento
finale, l'incontro perfetto, viene preparato gradualmente seguendo
la ricerca di "significato" e di esperienze autentiche
dei protagonisti.
D'accordo, penso a questo punto, qualche
significato l'ho trovato anch'io, alla fine il quadro è
ricomposto e Welsh mi sembra un tenace assertore dei valori umani
universali, a dispetto di tutte le mostruosità che ci sono
nel mondo. Il racconto ben orchestrato e senza mezze misure del
caos contemporaneo sembra giustificarsi per il fatto che il narratore,
andando a pescare nel più torbido, scopre in fine un diamante,
proprio là dove mai ci saremmo aspettati di trovarlo.
Leggo la seconda di copertina. Si promettono
emozioni senza pari, accelerazioni cardiache e cose del genere.
Sarà... A me, più che stimolare l'adrenalina, questa
lettura ha prodotto spesso un senso di nausea, ma forse è
perché la settimana scorsa non stavo bene, e difatti oggi
ho l'influenza. Che sia l'effetto hangover, il malessere
del dopo-ecstasy?
Ci penso un po' sopra e respingo decisamente
l'idea: è inutile che me la racconti, l'intera operazione
non mi torna e non mi convince perché pare una furbata
escogitata da Welsh per fare soldi, con la carta stampata prima
e la celluloide poi. Già m'immagino il film, anche perché
il libro è di per sé una mezza sceneggiatura. Quanto
alla sua qualità come romanzo, ho l'impressione che sia
un prodotto tradizionale e convenzionale, nonostante il contenuto:
una novel in piena regola, con tante storie legate alla
vita contemporanea, che fanno presa facilmente sul lettore in
cerca di novità piccanti.
Adesso vi racconto cosa c'è
in giro per il mondo di questi tempi,
sembra dire Welsh, roba da non credere. Però io, ragazzi,
aggiunge alla fine, credo come voi nell'amore e nei buoni sentimenti.
Allora siamo intesi, ci si rivede alla prossima estasi! E
qui l'autore fa l'occhiolino, anzi no, una linguaccia, e compare
la scritta: THE END.
Monica Benucci
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