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Quello sì è uno Stato asociale

Il primo a parlarne è stato il vicepresidente del Consiglio Veltroni: l'anno prossimo rivedremo il welfare state. Poi è arrivata l'adesione dell'avvocato Agnelli e del governatore della Banca d'Italia Fazio. Perfino Cofferati della Cgil si dice d'accordo "a patto che dietro al progetto ci sia il rilancio dell'occupazione". Il rischio? Che ne esca il solito pateracchio all'italiana.

E' vero che la Confindustria con il suo presidente Fossa ne parlava da un pezzo. Ma è anche vero che per l'associazione degli imprenditori non è poi così strano. Molto più strano è sentire Walter Veltroni, vicepresidente del Consiglio nonché una delle menti del Pds, parlare di "riforma del welfare state a partire dal prossimo anno". Cioè pensioni, sanità, ammortizzatori pro-disoccupati. Un discorso che ha sorpreso sindacati e alcuni alleati dell'Ulivo ma non, ad esempio, il governatore della Banca d'Italia Antonio Fazio ("Tagliamo") e l'avvocato Giovanni Agnelli. Che non si è fatto pregare per porgere la mano se non il braccio a Veltroni: "Lo Stato sociale va abbattuto prima che ci crolli addosso".

Così il sasso è lanciato: con i sindacati sul chi vive ("Prima lavoro e crescita, poi se ne parla"), Rifondazione comunista in allerta, Forza Italia che si frega le mani (ma An vede le cose un po' diversamente...) e gli imprenditori che non nascondono la soddisfazione. Comunque anche se tra mille distinguo, le posizioni in fondo sono due: mantenere uno Stato sociale ma renderlo più agile e moderno da una parte e applicare il "tatcherismo", cioè tagliare il tagliabile dall'altra. Ricordando, in ogni caso, che l'Italia è uno dei Paesi europei che spende meno nel settore. E che se in molte nazioni dell'Ue lo stato sociale è in crisi, lo è sia per chi (Paesi scandinavi) sul welfare ha puntato molto che su chi (Gran Bretagna) lo ha dimezzato.

Cosa dice Agnelli? Che "il welfare all'italiana non ha ridotto le ingiustizie ma ha creato nuovi ed estesi privilegi (...) Si tratta di capire che l'edificio del welfare, come è stata costruito, sta crollando da solo e a rimanere immobili si rischia di esserne travolti". Agnelli risale agli anni '60 "quando l'idea era che l'ampliamento delle prestazioni sociali non avesse costi per nessuno. Abbiamo visto lo Stato concedere vantaggi alle generazioni adulte, mentre sono i giovani che già pagano, con la disoccupazione, e dovranno continuare a farlo quando lavoreranno. Ci siamo dati un sistema pensionistico che costringe un numero sempre più ristretto di individui attivi a farsi carico di un numero sempre più grande di individui non attivi. Abbiamo messo in piedi un sistema sanitario che promettendo a tutti un'assistenza illimitata di fatto la nega proprio a chi ne ha più bisogno. Abbiamo ingabbiato con mille vincoli il mercato del lavoro, premiando gli occupati e penalizzando i disoccupati". Soluzioni? "Non si può aumentare la pressione fiscale...bisogna quindi tagliare con decisione". Premendo anche sulle privatizzazioni e sul decentramento.

Anche Sergio Cofferati, leader della Cgil, crede in una riforma dello Stato sociale. A condizione che il governo dopo aver proposto una strategia non faccia il solito tira e molla per compiacere le diverse anime dell'Ulivo. "Le Confederazioni comunque non si presenteranno a quell'appuntamento senza idee". Quello che conta, spiega Cofferati, è che "al confronto a tre (governo-sindacati-industrie) sull'argomento il governo si presenti con una proposta di merito e che questa abbia il consenso preventivo della maggioranza parlamentare che sostiene il governo". Per non dover fare i conti, poi, con successivi ritocchi "politici". Il che non significa saltare il Parlamento, ma avere "coerenza nel negoziato".

La convinzione di Cofferati ad ogni modo è una: prima di ogni progetto che riguardi il sociale, dalle pensioni ai giovani, c'è il problema lavoro: "Lo sviluppo dell'economia e la possibilità di creare nuova occupazione è la priorità assoluta. Senza sviluppo non saranno disponibili risorse per nessun progetto (...) altrimenti si introducono elementi distorsivi e pericolosi". In altre parole "la crescita economica e la riforma del welfare debbono andare di pari passo. Non ci deve essere separazione".

Questione aperta, insomma. Anche se la paura è che dalla ricerca di una strategia vincente ne esca il solito pateracchio. Niente di peggio, infatti, che il compromesso tra i difensori del privilegio ad ogni costo e chi invece vuole abolire lo Stato sociale perché tanto è ricco e non ha problemi. Perché ci sono anche quelli. Come sospetta Curzio Maltese su Repubblica del 13 novembre, commentando la manifestazione di piazza del Polo contro la Finanziaria: "Il certo medio ce l'ha con i poveri. Vogliono infatti un mondo senza poveri. Nel senso di un mondo dove questi siano eliminati. Come? Semplice, andando al potere come classe per abbattere lo stato sociale...". Il solito destino, per l'Italia: la mediazione tra due posizioni sbagliate quasi sempre dà una soluzione sbagliata.

Alessandro Mognon