[ARTE]

E' DI SCENA IL DECO BOEMO

A Padova fino al 22 dicembre in mostra per la prima volta in Italia un repertorio vastissimo della produzione Art Decò boema, proveniente dal Museo delle Arti Decorative di Praga.

L'hanno definito il rinascimento delle arti decorative, quel lungo periodo che va dal 1890 a tutti gli anni Venti, e che ingloba una guerra mondiale, la prima, non ancora vissuta come crisi dell'ideologia positivista, ma come urlante laboratorio-mattatoio dei prodotti della modernità (dagli aerei ai sommergibili, dai mezzi corazzati alle armi automatiche).

Alla radice stanno le utopie vagamente revansciste di Morris e Ruskin, la ricerca di una qualità nell'era della quantità. La borghesia capitalista dopo aver scopiazzato per alcuni decenni la defunta aristocrazia attraverso un eclettismo storicistico frustrante, decide che è giunto il momento di celebrarsi attraverso un suo stile, che autodefinisce "Nouveau", e che per un quindicennio plasma le nuove metropoli e si insinua in tutti gli aspetti della vita, come autentico stile totale, sfruttando le nuove tecnologie, prima fra tutte quella della lavorazione dei metalli, aggraziando con decori d'ispirazione naturalista, l'architettura degli ingegneri. A fronte dell'internazionalismo di fondo, sono evidenti le sfumature nazionali, a testimonianza di un particolarismo che preannuncia una lunga stagione di lutti per l'Europa e per il mondo.

Ma il fenomeno art nouveau, certamente uno dei più indagati della modernità, come dicevo fin dall'inizio, non si chiude propriamente con la cesura violenta del primo conflitto mondiale, perché la guerra di trincea coinvolge aree limitate dell'Europa, non è ancora una guerra totale e riguarda spesso soltanto i poveri cristi al fronte e i loro famigliari, risolvendosi per la borghesia imprenditoriale sovente in un grosso affare. Lo sfavillio delle Folies Bérgeres vive pertanto solo un quinquennio di purgatorio, e ritorna a splendere per quella che sarà davvero la sua estate di San Martino, nei "roaring twenties".

La nuova desinenza di questa appendice liberty viene data dalla contaminazione con le avanguardie artistiche affermatesi prima della guerra: il cubismo e il futurismo innanzi tutto. Al naturalismo si sostituisce un geometrismo di natura pur sempre decorativa, al punto che lo stile del Grande Gatsby e del Chrysler Building adotta il nome di Art Déco. Il Déco - come tutte le espressioni degli anni Venti - si caratterizza per una vitalità tragica e in fondo per una marcata frivolezza che l'ha spesso relagato al ruolo di 'moda'. L'irrigidimento delle forme floreali in un geometrismo affascinante ma in fondo cupo, che è travisamento del senso intimo del modernismo, sembra il presagio di una crisi incipiente; il decò esprime più uno sforzo di ottimismo che una sua naturale espressione, è l'eccesso di bellezza e di raffinatezza del canto del cigno, e forse non a caso trova prodromi importanti nelle espressioni nouveau della Finis Austriae, nei geometrismi di Hoffmann, nell'oro disperato e decadente di Klimt, in un'ultimo giro di valzer.

Questa matrice - pur rimanendo la Francia, con l'Esposizione internazionale di arti decorative e industriali moderne di Parigi del 1925, il cuore dell'elaborazione Déco - ha anche fatto sì che i territori dell'ex Impero Asburgico, dissoltosi all'indomani del 1918, si dimostrassero particolarmente ricettivi alle nuove tematiche Decò.

Tra le nuove e spesso artificiose identità nazionali create, quella cecoslovacca si dimostrò particolarmente attiva nella ricerca pretestuosa ma stimolante di uno stile nazionale, e la Svaz ceskoslovenshého dila (Unione dell'opera cecoslovacca) strutturandosi per analogia alla Werkstaette viennese e al Werkbund tedesco, non mancò di produrre oggetti di altissima qualità, che ora, finalmente, vengono riproposti al pubblico italiano fuori dai confini della Repubblica Ceca. Qualora si sorvoli sulla presenza ricorrente e retorica dei colori nazionali rosso azzurro e bianco, le creazioni boeme degli anni Venti si impongono per creatività, coerenza e per l'ampiezza dello spettro ricoperto, che va dalla tradizionale lavorazione del cristallo, all'oreficeria, alla ceramica e all'ebanistica, fin'anche ai merletti e ai giocattoli.

Che la qualità dell'operato boemo fosse elevata fu del resto chiaro fin dalle mostre praghesi del 1921 e del '23, ma il culmine della celebrità e il riconoscimento internazionale venne dall'Esposizione Internazionale parigina del '25, dove gli artisti boemi raccolsero una ricca messe di medaglie e di Gran Premi che per qualche istante dettero l'impressione d'essere l'inizio di una grande stagione.

La storia fu molto differente, e l'esposizione parigina, così come, in un certo senso quella torinese del 1905 per l'Art Nouveau, si dimostrò anziché il lancio definitivo di uno stile, il suo apice e al contempo l'inizio del suo rapido declino. La modernità aveva imboccato la strada indicata alcuni anni prima da un altro grande austriaco, Adolf Loos, nemico giurato dell'ornamento e della decorazione, e che nel Bauhaus di Gropius, già dal '19, lavorava in aperta contrapposizione con il clima decadente dei "roaries twenties". Era un'altra utopia - quella del socialismo democratico - alla quale la borghesia, smarrito l'ottimismo positivista del primo decennio del secolo e il cupio dissolvi dei roaring twenties, avrebbe reagito come un cane rabbioso, abbandonando le scarpe di vernice per indossare pesanti stivaloni neri.

Luca Baldin



(per gentile concessione di ARTE IN)