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Al di là delle feste domenicali per padanie e secessioni o delle uscite tipo "i meridionali a casa loro", anche la Lega Nord ha un programma sul problema lavoro: un cocktail di federalismo, liberismo ed esaltazione della micro-imprenditoria

Lavoratori, fatevi i contratti vostri

Salari personalizzati e rapportati al costo della vita locale, assunzioni e licenziamenti facili, uso del part time, favorire chi vuole mettersi in proprio e formazione professionale ad hoc per ogni zona produttiva. E, manco a dirlo, totale autonomia legislativa delle regioni. Ecco le strategie del Carroccio per combattere la disoccupazione

Ma tra una passeggiata e l'altra per i fiumi della Padania, la Lega Nord come pensa di uscire dalla palude della disoccupazione? E' vero che al Nord le cose vanno meglio che nel Meridione, ma con un 7.2 per cento di senza lavoro e con prospettive per niente rosee non c'è da stare allegri neanche nelle regioni settentrionali. "Siamo preparati", dicono dall'ufficio legislativo della sede milanese della Lega. E mettono sul tavolo il programma elettorale sul lavoro e le strategie anti-disoccupazione. Ovviamente in versione federalista (e curiosamente non indipendentista).

Sotto la voce "lavoro" Bossi e seguaci propongono come lotta alla disoccupazione la cosiddetta contrattazione regionale. Assieme a questa "deve andare la diversificazione dei salari, intendendosi per tale che le retribuzioni devono essere rapportate al reale costo della vita nelle diverse aree. Concetto diverso dal salario d'ingresso proposto dalla triplice che anziché essere legato al costo della vita comporta una riduzione del 20-30 per cento per i nuovi assunti, o della flessibilità del salario che prevede una riduzione salariale indifferenziata nel mezzogiorno. Partendo dal concetto che laggiù si produce meno. Ulteriore sviluppo all'economia può venire poi dall'introduzione del lavoro interinale (in affitto) che consentirebbe di rendere più flessibile il mercato del lavoro".

Quali soluzioni allora? "Introdurre il criterio della flessibilità attraverso il tele-lavoro, il part time, il lavoro interinale - spiega il programma della Lega - la riduzione dell'orario di lavoro non generalizzato ma contrattato con le singole unità produttive ed i singoli segmenti di attività; adeguamento delle retribuzioni al costo reale della vita nelle diverse aree geografiche con la creazione di meccanismi differenti da utilizzare nella contrattazione collettiva locale". Infine "potenziare l'ispettorato del Lavoro e l'uso dell'informatica negli uffici pubblici con la trasmissione simultanea dei dati e delle informazioni".

Vediamo qualche passo più in dettaglio delle strategie leghiste anti-disoccupazione. Che a parte le strizzatine d'occhio alla piccola impresa (che è una buona fetta della base elettorale della Lega) e alle voglie di facili licenziamenti non sono certo rivoluzionarie, anzi: l'analisi alla fine non si discosta molto da quello che pensano gli altri partiti. Mancano perfino i riferimenti alla Padania

Cosa dice la Lega? Che "la ripresa produttiva che caratterizza le regioni più industrializzate non crea posti di lavoro". Inutile dire che per le grandi imprese, secondo i dettami di Bossi, "continua la sciagurata politica di usufruire degli aiuti dello Stato per trasferire gli insediamenti produttivi nel Mezzogiorno con il perverso risultato di creare disoccupazione al Nord senza reale aumento di produttività al Sud". Comunque si tratta di una disoccupazione "strutturale che colpisce le frange marginali dell'offerta di lavoro e preoccupa per la lunga durata".

Così se "l'imprenditore per far fronte agli ordini che gli vengono sia dall'estero che dall'Italia preferisce richiamare i cassintegrati e far fare straordinari". La causa? "La mancanza di flessibilità del mercato del lavoro". Insomma "occorre facilità di assumere e ridurre il personale a seconda delle necessità, possibilità e facilità ad instaurare rapporti di lavoro temporanei e subappaltare, facilità di spostare il personale dentro l'azienda e flessibilità salariale (pagare in base ai risultati e alla qualità della manodopera richiesta). Il che significa anche libera contrattazione tra le parti. Inevitabile arriva l'attacco a sindacati e grandi imprese: "Tutti parlano di flessibilità ma nessun fa nulla. Sindacati e grande capitale sono di fatto contrari alle gabbie salariali, alla contrattazione regionale, alla flessibilità in genere perché si rischia di sciogliere un grande patto che conviene a tutti e due". Comunque per la Lega "si devono individuare nuovi settori, comparti, nicchie su cui investire". Ad esempio "le telecomunicazioni". Poi "le grandi opere civili ferme da almeno due anni, i trasporto merci con porti e infrastrutture da rifare, gli investimenti in tecnologia per combattere la concorrenza dei Paesi dove la manodopera costa meno".

Tasto dolente (e per chi non lo è?) per Bossi & c. è la formazione professionale. "Sono introvabili meccanici, manutentori elettronici, capisquadra mentre le nostre scuole professionali continuano a sfornare letterati, ragionieri, segretarie d'azienda. Sia al Nord che al Sud le imprese trovano difficoltà a reperire figure professionali adatte". Tutto perché "il nostro sistema di formazione professionale è estremamente gracile, in Italia da 40 anni non si fanno investimenti nelle infrastrutture della formazione professionale". Serve quindi "un maggior dialogo tra mondo produttivo e sistema formativo". Scopo: "Esaltare la vocazione a mettersi in proprio" e "avere un terreno fertile dove esistano le condizioni per garantire la nascita e la moltiplicazione delle imprese".

Tutto, comunque, alla fine del programma strategico del Carroccio, confluisce nella tanto agognata autonomia leghista: "Tutto è collegato ad un'autonomia che non può essere solo amministrativa ma deve concretarsi in una autonomia legislativa che consenta a ciascuna regione di realizzare le riforme che meglio si adattano alla propria realtà economica e industriale".

Alessandro Mognon