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"Cari ragazzi, il lavoro
è innanzitutto dignità"

Un intervento dello storico Emilio Franzina sulle tematiche di occupazione e disoccupazione Per dire che tra sfruttamenti, contraddizioni e nuovi scenari tecnologici bisogna anche recuperare il valore del lavoro

Faccio un po' di fatica ad analizzare, alla luce dei dati statistici e delle note dei sociologi, la questione del lavoro come oggi si prospetta in Italia e in genere nel mondo cosiddetto sviluppato. Neanche oggi, infatti, l'idraulico con cui avevo preso contatto - l'unico disposto a darmi retta fra i molti che avevo interpellato - si è fatto vivo e così non ho ancora risolto il problema della caldaia e del riscaldamento da avviare nel mio studio. Sarà una coincidenza, ma pare evidente che piccoli inconvenienti di questo tipo funestano la vita quotidiana di tanta gente e soprattutto sottopongono alla nostra attenzione uno dei mille problemi connessi alla riorganizzazione e al nuovo orientamento del lavoro allo scadere del secondo millennio.

Va da sé che il comparto dei mestieri artigianali, ma realizzati sfruttando competenze e specializzazioni spesso abbastanza sofisticate non esaurisce l'insieme dei settori in cui risulta più evidente la domanda residua di lavoro, a fronte di altri in cui predominano invece la disoccupazione o la sottooccupazione. Non si tratta però, neanche qui, di un comparto del tutto marginale o ininfluente al di là dei fastidi che può, come ho detto procurare. Ben altre sono le questioni poste all'ordine del giorno dalla globalizzazione produttiva, dall'avvento dell'informatizzazione e dalla possibilità di conoscere in tempo reale le disponibilità a livello planetario di componenti e di pezzi assemblabili ma lavorati appunto in diverse parti della terra. Ciascuna di esse raffigura e configura uno scenario speciale in cui - sia detto en passant - predominano di norma, fuori dall'Occidente avanzato - i bassi salari e la disponibilità, incontrastata dalla legge, di manodopera femminile e minorile. Le condizioni medie di lavoro di larga parte di questi erogatori di segmenti di prodotto e di servizi fa impallidire il ricordo delle descrizioni di Charles Dickens o dello stesso Engels "inglese" e non c'è nulla di eversivo o di populistico in questa affermazione. Sta di fatto comunque che lo sfondo contro cui occorre guardare alla questione del lavoro e della disoccupazione in Occidente è precisamente questo e sarebbe sbagliato (qualcuno dice persino "immorale") scordarsene anche quando, come qui, ci si proponga di analizzare i profondi mutamenti in atto nel nostro mercato.

Le contraddizioni sono palesi e rese anche più stridenti dall'eloquenza delle cifre relative all'immigrazione straniera che sia in Italia che altrove si canalizza in gran parte verso attività ,come ormai si suol dire, schivate o evitate di proposito dagli "indigeni" pur bisognosi e desiderosi d'impiego. I profili professionali della forza lavoro più richiesta dalle imprese, in realtà, non corrispondono quasi mai al tipo di offerta che si concretizza nel campo dell'immigrazione, ma è un fatto che importanti bacini industriali - si pensi al caso del Nord est italiano e, in esso, proprio alla provincia pilota di Vicenza - attingono regolarmente da anni operai e altri addetti dalle file del flusso, continuamente rigenerato, degli stranieri. La leggenda dei vu' cumprà e dei venditori ambulanti o, peggio, dei criminali come cifra caratteristica del fenomeno opravvive anche per mantenere in vita, assieme ad altri pregiudizi, quello relativo alla natura residuale dei lavori presi in carico dagli immigrati quando invece pare evidente che solo in un caso - quello della prostituzione femminile, e non solo femminile siamo di fronte a un processo mirato di sostituzione. Ma altrove la sostituzione pur c'è e ammonisce a non sbarazzarsi troppo in fretta degli interrogativi sulle valenze psicologiche e culturali di un rifiuto opposto, al di là delle nuove frontiere del lavoro tecnico, a certe possibilità d'impiego.

La cultura del lavoro è più caratteristica, perché storicamente meglio radicata, in certe parti del mondo o, per restare all'Italia, in certe parti della penisola piuttosto che in altre. Prima ancora del sistema formativo scolastico e universitario,su cui si addensano giustamente molte critiche, bisognerebbe interrogarsi sul perché del venir meno presso le nuove generazioni di una tavola di valori che aveva retto beno o male negli anni delle prime ondate d'industrializzazione tra la fine del settecento e la metà del nostro secolo. Sarebbe nondimeno sbagliato voler ridurre tutta la gravità del problema a questo soltanto dopo che si son segnalati gli effetti di una evidente globalizzazione dei mercati e delle dimensioni pressoché planetarie rivestite dal problema. Occorre infatti trovarvi una risposta che vada oltre il presente e sia carica di concreta progettualità. Il che si ottiene sì conferendo importanza alle analisi predittive dei sociologi dello sviluppo e orientando quindi il sistema formativo-scolastico in un modo piuttosto che in un altro, ma anche agendo in profondità ovvero sulla mentalità delle giovani generazioni da cui bisognerà estirpare o prima o poi le idee semplicistiche propagate dal mondo dei media spettacolarizzati.

Naturalmente dati i dislivelli e gli squilibri impressionanti che esistono sul terreno delle retribuzioni e degli standard medi di vita in diverse parti del mondo da cui provengono prodotti e merci di cui si alimentano l'economia e la società occidentali, anche intervenire soltanto su questo aspetto e far fruttare le indagini previsionali del tipo che Nautilus mette a disposizione in questo stesso numero sarebbe illusorio e fallace.

Non sarà facile ricostruire per intero una cultura o crollata o vacillante sotto i colpi dell'ultima fase di modernizzazione i cui caratteri dominanti sono costituiti a mio avviso dal fattore tempo e cioè dalla crescente velocità con cui, a tutti i livelli, ci si deve muovere pur contando, come nel caso della componentistica elementare e degli assemblaggi primari, dei vantaggi offerti dalla persistenza, in Asia, in Africa, in America Latina, ma anche in parte dell'Est europeo, di forme apparentemente tradizionali di lavoro e ,vale la pena ribadirlo, da standard salariali ridicoli se posti a confronto di quelli occidentali.

Un intervento che non fosse coordinato e concordato da parte dei governi, ma anche più semplicemente che non fosse regolato da accordi tra grandi e meno grandi imprese rischierebbe di non portar lontano o peggio di condurre ad un aggravamento dell'attuale situazione di disagio che coinvolge, com'è noto, anche gli Stati Uniti e non solo gli anelli presunti più deboli della catena capitalistica mondiale.

Una strada percorribile con la riforma degli ordinamenti scolastici e delle istituzioni di ricerca universitarie potrebbe essere quella della cooperazione e delle joint ventures capaci di integrare un po' meglio i diversi mercati e di ricavare da ciò un reale beneficio. Ma è nella testa della gente e dei più giovani, io credo, che deve ritornare a farsi sentire, al più presto, non tanto il bisogno, quanto il "desiderio" di un'occupazione che dia dignità e che non sia intesa soltanto come "impiego" ovvero come "posto". Di posto al sole e nel mondo ce ne sarà fin troppo, ma di lavoro e di lavoro proficuo bisogna far sì che ve ne sia se non per tutti, per molti.

Intanto io aspetto il mio idraulico, figura se volete secondaria e non prevista fra quelle emergenti o di spicco, ma di cui ho un disperato bisogno.

Emilio Franzina