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Mazurca di periferia (versione 2.0)
di Davide Bregola

[bregola]Davide Bregola abita a Sermide (Mantova) e ha 24 anni; lavora a contratto stagionale con le Ferrovie dello stato. Ha pubblicato alcuni racconti in diverse fanzine e uno nel manifesto del 20 aprile 1996 («Omar vota "fetta"»), nell'inserto Gli scrutatori confezionato in vsita delle elezioni; altri due racconti appariranno nel'antologia Coda, di prossima pubblicazione presso Transeuropa. Si considera un amante di Rabelais e la sua ambizione segreta è riscrivere le Bucoliche di Virgilio in chiave postmoderna... [Nota: il "Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi intorno ad un sasso che cade nell'acqua" è un'opera del 1969 di Gino De Dominicis.]

Metti il caso di abitare in un paese che tutti considerano periferia, metti il caso che il paese sia invaso da una distesa di terra così ampia da attraversarla in bicicletta con fatica, di considerare un viaggio in macchina (tra le mille stradine di terra battuta o d'asfalto bucato dal freddo invernale e ramarri che attraversano indisturbati, fagiani maestosi e lepri dalle dritte orecchie sobbalzare al minimo rumore), alla stregua di una gita nel paese delle meraviglie, con colori che nemmeno il Corel Draw riuscirebbe a riprodurre, e pensare che i Bit, gli zero e gli uno, sono una gran bella scoperta e tutto quanto, ma gli atomi, quelli rimangono sempre una meraviglia di miracolo saltato fuori da chissà dove, da combinazioni e casualità che nemmeno la logica Fuzzy riuscirebbe a risolvere.

E allora la notte, magari sospesi nell'afa di un giorno d'agosto vicino alla battigia del fiume con a fianco la ragazza che considerate la vostra musa ispiratrice, la vostra ventata di cellule che fanno aprire la mente come se ad un computer 486 a 33 Mhz metteste una scheda madre con Pentium 100 e 256 megabyte di RAM, vedete due stelle nel cielo buio, e vi immedesimate talmente in queste due stelle da diventare loro, due stelle parlanti, voi e la vostra musa, parlare e dire che il sole col tempo, milioni di anni, diventerà talmente grande da inglobare tutto il resto, e ad un tratto restringersi e comprimere gli atomi a causa della troppa energia e diventare una comune sfera di atomi compressi con dentro tutto il sistema solare, compresso a tal punto da pesare milioni di tonnellate senza però occupare spazio.

E voi, stelle, rimanere confuse dopo questa affermazione, e provare paura, paura di stella perché pensate già alla fine che potreste fare se questo si avverasse.

E ancora, metti che dal fiume e dall'agosto e dalle stelle vi allontaniate, prendete un'altra strada, in un altro giorno, un giorno qualsiasi sempre radicati alla terra in cui state vivendo, in periferia, con un sottofondo di mazurca, una mazurca di periferia, e in un giardino mettervi ad osservare i frutti, le albicocche, nate grazie al sole e alla pioggia, e alla terra fertile e a mani sapienti che ne hanno curato l'albero, e notare la loro forma tondeggiante, poi guardare le prugne, pure esse tondeggianti, e le mirabelle, e l'uva quando sarà pronta, e riportare la mente alle stelle, alla terra, al sole, alla luna, agli atomi e agli elettroni che girano intorno al suo nucleo, e dire: "Beh, ma allora tutte queste rotondità non sono un caso, tondo è il seno materno, tondo è il seno delle donne, tonda è la pancia della mamma che aspetta il bambino, tondo sono tante altre cose...", e questa semplice constatazione vi fa pensare chissà perché al trascendente, allo spirito che a quanto pare, potrebbe benissimo essere tondo, perché no, nessuno ha mai provato il contrario, ed inevitabilmente arrivate a pensare a Dio, al dio buono, ma del quale avete ancora soggezione, che non sentite ancora vostro perché vi basta vedere la natura che già di per sé è divina e per quanto vi riguarda potrebbe benissimo essere Dio.

In questi momenti la cosa si fa sempre più difficile, e il più delle volte ne uscite confusi, con la sensazione di non sapere niente di niente del mondo e delle persone che lo abitano. Stop, fermatevi per un momento, dedicatevi a qualcosa di concreto, di pragmatico, magari un buon lavoro, un sano lavoro manuale farebbe al caso vostro.

Trovate il lavoro che ci voleva, lavorate, usate le mani, le sporcate, le lavate, le sporcate di nuovo, parlate con persone di cui ignoravate l'esistenza, voi, venuti direttamente dalla scuola, non sapete nemmeno cosa vuol dire non avere mai preso in mano un libro, non sapete nemmeno cosa vuol dire non essersi mai appassionati ad un romanzo, ad un gruppo musicale, ad un film, ad un regista. Forse nel mondo del lavoro scoprite anche questo, e dapprima vi lascerà sconvolti questa cosa, poi ci fate l'abitudine, anzi, rientrerà nella normalità, e accetterete questo ritenendolo uno dei modi possibili di vivere.

Si può vivere in ogni condizione, dunque, anche non conoscendo questo o quest'altro, si può vivere bene, dunque, anche sapendo usare il tornio, sapendo smontare e rimontare attrezzi, apparecchi tecnologici, motori a scoppio.

Si può, dunque, fare andare avanti questo mondo anche senza usare il computer, anche senza sapere cosa sono i clock, i bit, le Ram o il Corel Draw, si può fare andare avanti questo mondo, questa periferia, questa mazurca con l'intelligenza acquisita lavorando, usando braccia, sprecando energie e sudando. Si può fare tutto questo, ma per migliorare la qualità di questa vita, è necessario conoscere e impiegare le nuove tecnologie come se fossero comuni strumenti, mezzi, non fini.

Metti il caso di poter dire a giorni alterni: "Questo è il più bel giorno della mia vita", magari urlato in solitudine, dopo una serata trascorsa con la propria musa, oppure in un giorno di meditazione assoluta, magari in un giorno in cui s'è guardato schiudersi un intero campo di rosolacci, magari il giorno in cui per la prima volta s'è fatto l'amore con la persona amata o nel giorno in cui avete pensato di essere immortali, o pensato la sera, prima d'addormentarvi con le membra stanche dalla fatica, o pensato davanti ad un quadro di un museo o dopo aver letto qualcosa d'importante.

Metti il caso che lungo una delle mille strade in terra battuta o d'asfalto bucato dal freddo invernale, i silos prendano vita, ed inizino a volare, a diventare missili che sfrecciano al crepuscolo, tra rossi e arancio, tra orizzonti opachi o volte del firmamento, e su uno di questi possiate salire, e sfrecciare lungo le rive dei fossi, a tutta velocità, con le orecchie che fischiano e gli occhi che tendono a chiudersi, e salire, salire in alto, salire e arrivare oltre il paese, oltre la terra, oltre gli uccelli che volano alti, salire dove c'è freddo, dove c'è buoi, ed avere paura di cadere giù e maciullarsi al suolo, e sentire la sensazione di vuoto nello stomaco, d'un tratto perdere propulsione e cadere in picchiata, ma nel momento dell'impatto, svegliarvi e ritrovarvi nel comodo letto di casa, tra comodità e persone amate.

Giorni come questi capitano a tutti e tutti i giorni, giorni in cui aprendo un catalogo d'arte, incappate nel "Tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi intorno ad un sasso che cade nell'acqua", e per questo correte al fiume e state ore a tirare pietre, a simulare un tentativo che sapete fallito in partenza. Poi a casa prendete la Polaroid e...

Prima istantanea: Oggi Giovedì sono andato al Fiume, ho chiesto ad un pescatore se poteva farmi una foto con la mia Polaroid; mi sono seduto vicino alla riva, ho preso una pietra, l'uomo era alle mie spalle, gli ho detto: io lancio la pietra, quando arriva nell'acqua e fa cerchi, lei scatta la foto.

Sono uscito in bianco e nero, di spalle, con canne palustri alla mia destra e l'inconfondibile forma dei cerchi concentrici nell'acqua.

Seconda istantanea: Ho provato a riprodurre dentro ad un catino i cerchi tondi che si formano in acqua; ho riempito un grande catino azzurro e di forma rettangolare con acqua, ho lanciato una moneta al suo interno, ho scattato la foto. E' uscito un risultato che non avevo previsto: si vede il catino - a colori -, e l'acqua al suo interno, la moneta è sul fondo, si nota, ma è leggermente sfuocata. Dei cerchi non v'è presenza. La foto ha fermato un istante della realtà che non corrisponde al vero. Così potrei benissimo affermare che si son formati dei quadrati che sbattendo sulle pareti del secchio a forma di parallelogramma, si sono annullate. Il mio tentativo di formare dei quadrati è riuscito, anche se ho usato un artifizio.

Morale: posso affermare, dati alla mano, anche il falso, importante è trovare chi mi crede.

Diciamo che se si riesce ad infiorare per bene la storia, qualcuno può anche cascarci.

Succede poi che un amico mi faccia conoscere un fiore a me prima d'ora sconosciuto, l'enothera o anothèra che dir si voglia, mi fa: "C'è un fiore fantastico, lo devi vedere assolutamente, si chiama enothera... se vuoi venirlo a vedere è nel mio giardino, questo fiore di giorno è lungo e affusolato, chiuso in se stesso, color delle nocciole, al tramonto inizia ad aprirsi, piano piano, senza fretta, tanto sa che il suo corso lo farà con sicurezza. Piano si schiude, e nel mentre gira su sé stesso, poi ad un tratto divampa, si apre ed un rosso pistillo fuoriesce insieme ai petali folti e rosa, quasi bagnati. La sua fioritura dura una notte intera, poi inizia ad appassire e cade. Devi venire a vederlo, pensa al simbolo che ci sta dietro, pensa al fuoco che divampa, pensa alla natura, alla flora, alle donne, al pistillo...pensa..." conclude estasiato con gli occhi tali e quali a quelli di persone che giurano d'aver visto la vergine Maria. Tali e quali.

Dovrò andare a vedere l'enothéra, dovrò ancora vedere molte cose. Non c'è fretta, se devono succedere è inutile forzarle. Nel momento esatto in cui stanno accadendo, vuol dire che quello è il momento giusto.

Come quando avete scoperto di riuscire a capire di chi potete fidarvi e di chi no, li avete guardati dritti negli occhi, gli uni e gli altri, li avete fissati, una, due, tre, quattro volte, poi avete pensato, avete fatto passare del tempo, a partire da quando bambini guardavate vostra mamma e vi fidavate dei suoi occhi, come quando per la prima volta dovevate fidarvi di una persona diversa da lei, come quando avete cercato di vedere negli occhi di questa persona un orizzonte simile, uno sguardo, un atteggiamento, un sentore che si poteva avvicinare allo sguardo di vostra mamma, poi avete pensato esclamando "Si! ci siamo, ora ho capito."

E quello era il momento giusto per capire che avevate capito.

Però, che strano, il vostro amico vi vuol fare vedere l'enothéra e a casa ha installato su disco fisso Sin City 2000. Dice: voglio riuscire a costruirmi una città ideale, voglio fare una città come dico io, con le case e i prati e la terra incolta o selvatica dove dico io, voglio fare le industrie fuori dai centri abitati, e fare negozi che da noi non ci sono, voglio fare e disfare, e mi accontento di vedere tutto su computer. Quando sono stanco demolisco tutto, quando non ne posso più di Sin City, basta un comando e lo elimino: Deltree e tutto scompare.

Ma come - ribatto -, hai un giardino reale, hai l'enothéra, le rose le spighe ed il verde e desideri surrogati? Non mi torna qualcosa...

Poi il discorso si blocca a mezz'aria, sospeso come un palloncino riempito d'elio da qualche giorno.

Se bastasse un Deltree, se bastasse un comando di Dos, se bastasse questo per eliminare qualsiasi cosa che non va, sicuramente riuscireste a fare del male comunque, riuscireste, riusciremmo a cancellare anche ciò che deve rimanere. Di questo ne siamo convinti.

Tu ad esempio - faccio col mio amico -, tu, se tu avessi a disposizione un Deltree, da digitare quando vuoi, in qualsiasi momento della tua esistenza, un Deltree che ha il potere di cancellare, di rimandare qualcosa che non vuoi che si verifichi in quel momento, dove lo useresti?

Non so - mi ha risposto -, ci devo pensare, quando avrò la soluzione te lo dirò.

A distanza di un anno deve ancora rispondermi. E per fortuna che non ha girato la domanda a me, altrimenti ero nelle stesse condizioni.

Come quando gli ho chiesto qual è la cosa che più gli da gioia, mi fa: dipende, ho leggeri sprazzi di gioia che tendono a svanire, a depositarsi nel fondo e non smuoversi più, dipende, per avere gioia devo sempre tenermi pronto a sostituire una situazione con un'altra, altrimenti tutto diventa stucchevole.

Mi ricordo una volta che sono state gioioso per giorni. Ero alla finestra di casa mia, guardavo un uomo che con una sega elettrica tagliava dal tronco un pioppo bianco che mi copriva la visuale, stava tagliando un pioppo che con i suoi rami e le sue foglie non mi permetteva di vedere la strada, oltre.

Il tempo di constatare che in strada non c'era mai niente di nuovo, e avrei dato chissà cosa per riavere l'albero che almeno con i cambi di stagione mutava; le foglie crescevano, le foglie si rinverdivano, i rami crescevano, le foglie diventavano color del pongo mescolato poi cadevano. Basta.

Faccio spesso domande di questo genere al mio amico per avere almeno un'idea su cosa dire o non dire nell'eventualità dovessero chiedere a me qualcosa di simile.

Venerdì: istantanea numero tre. voglio immortalare il momento esatto in cui si accende il lampione che illumina il parcheggio che sta' di fronte a casa mia, voglio vedere quando con la sua luce inizierà a diventare la metafora di un sole per le falene, il mio occhio è diventato uno zoom, il mio occhio destro è talmente fisso sul lampione da lacrimare, ma appena la soglia di luce farà scattare la fotocellula...click! scattato.

La metafora fissa sarà un sole per miriadi di insetti e falene.

Vi capita a volte di essere eccessivamente crepuscolari, in quei momenti potreste benissimo fare istantanee ad un lampione, mentre in altri giorni, specialmente quando il sole è una lampada alogena su base azzurra, la vostra felicità è incontenibile, e capita di sentirsi gli esseri più felici del mondo viaggiando in auto, con a fianco il fascino invisibile che la vostra ragazza emana, un fascino che nasce dall'assenza di ragioni per cui si dovrebbe rimanere affascinati.

Dici: andiamo a fare un giro per le stradine dei paesi, delle frazioni, dei borghi...

Dice: va bene, andiamo...però voglio perdermi...

Dite: è difficile perdersi in questi luoghi così circoscritti.

Dice: vedrai che invece riusciremo...mettici un po' di fantasia, inizia a parlare senza pensare dove stai svoltando, parla e dimentica la strada che hai fatto in precedenza, parla e cerca di destrutturalizzare lo spazio.

Sarà, eppure funziona. Riuscire a perdersi nei luoghi d'infanzia, è più facile di quel che si crede, ma il bello è che poi si riesce in fretta ad orientarsi, e il ritorno a casa, mano nella mano è un ritorno felice. C'è sempre un punto di riferimento, un camino, una casa, una strada, una pianta od un sole che vi danno la certezza di essere sulla via giusta.

No, dico, non si sta parlando del centro del mondo, non si sta parlando di estraneamento, si sta parlando di vita e di entusiasmo, si sta parlando di curiosità e di arricchimento, si parla di tecnologia e di amicizia, di amore e di meraviglie e di colori che si vedono, di rotondità e di strade (di fili se si guardano dall'alto).

Metti il caso che il paese, se lo giri di notte, è una scatola aperta, giri a piedi, in bicicletta, in macchina o come vuoi, e vedi case, saracinesche abbassate, lampioni e fari che illuminano i monumenti dislocato qua e là, vai sull'argine, una brezza afosa ti inumidisce la pelle, ti orienti con le curve, il sottopassaggio del ponte, le case a ridosso del greppo, arrivi nel punto in cui un grosso albero di quercia precede una discesa, la percorri stando attento a non beccare tutti i buchi che la terra battuta forma a contatto con l'acqua piovana e con il passaggio di mezzi in movimento, arrivi sulla sabbia, se sei in auto o in bici devi per forza fermarti e metterle giù, devi proseguire a piedi, vedi quattro falò e in ognuno di essi ci riesci a distinguere delle sagome, riesci a sentire delle voci allegre, che cantano, che fischiano che discorrono ad alta voce, ti togli le scarpe, cammini con i piedi nudi, ti viene voglia di fare un grosso respiro, inspiri tutta l'aria che riescono ad accumulare i tuoi polmoni, guardi in terra, guardi il cielo, camminando vedi una coppia di giovani con il viso rivolto verso l'alto, questi due giovani credono di essere stelle, si sono immedesimati a tal punto che una luce fioca è comparsa al di sopra delle loro teste, una luce tonda, simile ad una aureola pulsa su di loro, cerchi di camminare piano per non disturbarli. Si amano, lui sicuramente considera lei la sua musa, si vede da come le tiene la mano.

Sei contento, felice di essere li a condividere momenti. Scintille partono dai falò ed arrivano in alto, svaniscono e ricadono, sono piccoli lampi di luce che vogliono diventare stelle.

C'è vita dunque, c'è vita in periferia, anzi, nella periferia della periferia, vicino al fiume c'è un brulichio di sentimenti, sensazioni, profumi e atmosfere che rendono i margini vivi più ancora della vita. Constatato questo te ne puoi ritornare a casa, ripercorri il tragitto iniziale, risali sull'argine, lasciando la quercia alla tua sinistra. C'è vita, pensi, c'è vita in ambienti dove nessuno immaginerebbe ci fosse.

Non sono solo, dici, e pensi ad una domanda che potresti fare al tuo amico: Ti piace star solo?

A volte, ti risponde lui il giorno dopo, a volte mi piace star solo e stupirmi di tutta questa solitudine, stupirmi a tal punto che l'unica soluzione è uscire, in mezzo alla gente, in mezzo agli amici, in mezzo alle amiche, e parlare, parlare, raccontarci storie e ridere.

Bello! - continui -. Il segreto è stupirsi di tutto, avere sempre lo stupore stampato sul viso, stupirsi se mentre camminate una lucciola si attacca alla vostra camicia e appena sente che è il momento prendere il volo e posarsi tra ranuncoli e bocche di leone, stupirsi quando accendendo il computer si possono vedere immagini animate, stupirsi se...

Poi salutarsi e tornare a casa.

Metti che un giorno iniziate a pensare qualcosa da ricordare, qualcosa che vi faccia tenere a mente il momento che state vivendo, il luogo in cui lo state vivendo. Come fare?

Intorno a voi c'è silenzio, soffermate lo sguardo su un portafiori dell'ottocento, bucherellato da termiti nel corso degli anni, sopra ad esso c'è un vaso, o meglio, è una bottiglia blu che conteneva detersivo, per l'occorrenza è diventato un vaso per fiori di PVC, ossia bottiglie che sono state riciclate e fatte diventare fiori, basta tagliare a metà una bottiglia di plastica, prendere la parte in cui c'è il tappo e quello è già il pistillo. Tagliando a strisce la plastica, diventa dei petali, con un fil di ferro si può fare lo stelo. Quel vaso e quei fiori sembrano una composizione pop. E' tutto molto bello.

Aprendo l'obbiettivo, si vedono le finestre di casa, sono aperte per creare un po' di corrente tra una stanza e l'altra che vi dia un po' di respiro. Sotto a casa vostra, nel parcheggio in cui c'è il lampione che avete fotografato nel momento dell'accensione ci sono alcuni giovani e al di là della strada alcune pannocchie aspettano, attendono di essere tagliate.

Non si vede altro, lo zoom non riesce a distinguere più nulla, c'è troppo buoi, ma tendendo l'orecchio, trattenendo il respiro per percepire meglio i suoni, si sente un sottofondo musicale, che trasportato col vento si distingue: è una mazurca, una mazurca suonata da persone o uscita da un apparecchio, è una mazurca di periferia, che suona per voi, per noi, per loro, suona e arriva in tutte le case, entra per le finestre, segue il vento. Spegnete l'alogena, ora c'è solo lo schermo azzurrato del computer che illumina la stanza.

Fine della sessione di lavoro? pensate.

No, è ancora presto, voglio ancora godermi questa mazurca di periferia, non voglio andare a letto ora, non voglio andare a letto, ci sono troppe cose migliori da fare che stare a dormire in un letto.

Metti che poi succederà tutto quello che avete raccontato finora, o magari è già successo, chi lo sa!

E ancora vi chiedete: Fine della sessione di lavoro. I casi sono due o scegliete Ok cliccando col mouse, oppure dite Annulla, e tutto proseguirà come prima.

Per il momento è meglio annullare, cliccare su annulla per rimanere così, allo stato attuale delle cose, senza cambiamenti e tutto il resto, ma arriverà il punto in cui bisognerà per forza di cose digitare su okay, allora non si sa, forse le cose cambieranno, ma cambieranno con i vostri occhi ben attenti sul video, magari stupiti, e allora il caso ha voluto che voi abitaste in periferia, dove il sottofondo di una mazurca fa da colonna sonora alla vostra serata ed alla quiete che precede il sonno, ma non fate nemmeno in tempo ad accorgervi dove siete che è già arrivata mattina.

(Sermide, agosto 1996)

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[direleggere]Dire scrivere pubblicare leggere valutare

CRONACA DI UN CONVEGNO CON SCRITTORI, EDITORI E CRITICI

SCETTICI. "La forza di chi ha avuto il coraggio di non prendere mai in mano una penna": questa frase era scritta a biro (quindi, chi l'ha scritta, l'ha ben presa in mano una penna) vicino alla tastiera dell'ascensore che portava alla sala delle capriate, al secondo piano del palazzo ducale di Colorno (presso Parma): dove si teneva (12/13 ottobre) un convegno dal titolo (come d'uso) chilometrico: "Dire scrivere pubblicare leggere valutare. La vita della letteratura è la vita dell'editoria?". Si tratta del secondo appuntamento organizzato dall'editore Guaraldi (i contenuti dell'edizione 1995 si ritrovano nel volume I nuovi selvaggi, curato da Fulvio Panzeri ed edito ovviamente da Guaraldi, pp. 160, L. 20.000) nel tentativo di smuovere le stanche acque del dibattito letterario ed editoriale. "Scrivere sembra essere diventato un'attività, più che una necessità", spiega Panzeri, deus ex machina intellettuale dell'iniziativa. "Si scrive per diventare scrittori e quindi per avere un ruolo riconosciuto, e non per la necessità di rischiare le proprie idee, un proprio linguaggio, anche l'immersione in un mondo immaginario, paradossale, grottesco che metta a nudo, implacabilmente, le incertezze della realtà o le sue impossibilità. Mancano le emozioni della scrittura: sembra che non ci sia più né d ridere, né da piangere, né da riflettere e tanto meno da indignarsi. C'è una calma piatta, una trasgressione da primi della classe e un'irriverenza molto accomodante e comunque assai comoda."

PRATICI. Animati da molto spirito pratico sono sembrati i due relatori invitati a parlare a nome dell'editoria: Daniela De Rosa, editor della Sperling & Kupfer (gruppo Mondadori) e Leopoldo Carra delle edizioni Guanda (gruppo Longanesi). Il mercato del libro continua a restringersi, ha detto De Rosa, gli unici libri che vanno bene sono quelli per ragazzi o i supereconomici (sotto le ottomila lire). Per gli hard cover, cioè i romanzi nuovi con copertina cartonata, il cui prezzo va da 24.000 in su, è uno sfacelo. A questo punto un editore che voglia vendere (e soprattutto un editore come Sperling, la cui vocazione sono i libri d'intrattenimento) deve affrontare la realtà. Infatti un po' tutti i grandi editori hanno avviato (sulla scorta di due esperienze diverse: i centopaginemillelire della Newton Compton e i miti della Mondadori) collane a prezzo bassissimo. E non conta che si tratti di edizioni non integrali, o non annotate, e così via: importa il prezzo. Da parte sua Leopoldo Carra ha cercato di raccontare la trasformazione delle edizioni Guanda, da piccola ed elitaria casa editrice di poesia (che pure pubblicò alcuni tra i libri più importanti del secolo, soprattutto traduzioni), a settore di qualità di un grande gruppo editoriale. Mentre la poesia è ormai una presenza quasi residuale (fatta eccezione per alcuni libri di culto, come Il profeta di Gibran), Guanda oggi è orientata verso la prosa di qualità, con anche alcune scelte insieme audaci ed astute come quella di prestare particolare attenzione alla narrativa erotica.

CONFUSI. Lettori ed aspiranti scrittori non sembrano invece avere idee molto chiare. "Sperling non ha mai pubblicato un solo libro di poesia", ha detto De Rosa, "e tuttavia riceviamo quotidianamente dattiloscritti di poesie. Abbiamo l'impressione che chi scrive romanzi e versi non sia mai entrato in una libreria, non abbia la minima idea del profilo culturale e di mercato di ciascun editore. A leggerli, poi, questi dattiloscritti, cascano le braccia. Di nuovo, la sensazione è che chi scrive non legga. La maggior parte di ciò che riceviamo è insostenibile, solo lo scrupolo (e la speranza che, prima o poi, da un plico esca un testo di valore) ci fa ostinare a guardare tutto. Poi succede che magari trovi un testo con qualcosa di interessante, che forse potrebbe (lavorandoci sopra, rifacendo, tagliando eccetera) essere adatto per la casa editrice. Allora prendi contatto con l'autore, fai le tue osservazioni, proponi una rielaborazione o una riscrittura o un adattamento: e quello sparisce. Non si fa più vivo. E poi scopri che ci ha provato con un altro."

OBERATI. Difficile il lavoro anche per i critici letterari (erano ospiti del convegno Renzo Paris, Giorgio Bàrberi Squarotti, Armando Colasanti, Fabrizio Frasnedi, Antonio Spadaro ed altri, più alcuni giornalisti che si occupano sistematicamente di libri, come Roberto Barbolini (di Panorama) e Pietro Spirito (del Piccolo di Trieste). Lavoro difficile perché la massa del pubblicato è enorme (si calcolano circa 150 novità all'anno) e anche perché, in questo momento, viene prodotta e pubblicata una grande varietà di scritture, ed è difficile individuare delle linee forti. Sostanzialmente si sono contrapposte le posizioni del critico militante, che si propone al pubblico come consigliere ed educatore, e che legge e valuta sulla base di una propria idea di letteratura, correndo semmai il rischio di privilegiare le intenzioni dei testi rispetto alla qualità dei risultati; e quella del cronista letterario, che si propone come semplice informatore e per il quale il pericolo è di ritrovarsi appiattito sulla produzione delle grandi concentrazioni oppure (il che è quasi lo stesso, ha fatto notare Bruno Pischedda) su ciò che si ritiene sia il gusto del pubblico.

COMBATTIVI. Fare l'editore è come andare alla guerra, ha detto Mario Guaraldi, editore e promotore del convegno. Si ha un bel voler fare, agire, pubblicare, scegliere: poi ci sono le strozzature. "La distribuzione si prende la parte del leone dei già miseri profitti. Le librerie sono poche (circa milleduecento), spesso piccole, gestite o con logiche da supermarket (tutto a scapito dell'editoria di ricerca e qualità) o con logiche dinosauresche. Non c'è un raccordo con il sistema bibliotecario, non esiste una politica del libro, non ci sono produzioni tutelate o incentivate (come avviene invece per la musica, il teatro, il cinema). Non esiste prezzo imposto, esiste solo formalmente in quanto è stampato sulla quarta di copertina del libro: poi in realtà c'è la guerriglia degli sconti. E il lettore, il giovane lettore, non viene minimamente educato. Basta vedere: se si apre una bancarella in piazza, si vende e stravende; ma in libreria non ci entra nessuno, esistono ancora timori reverenziali e diffidenze. La scuola ha abdicato, si limita a far leggere e rileggere quei quattro eterni classici, ci sono insegnanti che hanno smesso da vent'anni di comprar libri." E allora? Allora, la proposta immediata di Mario Guaraldi è una lettera aperta al ministro dei beni culturali, Walter Veltroni, affinché non sia sordo al grido di dolore che viene dagli operatori del libro.

UNA LETTERA APERTA A WALTER VELTRONI: CONVOCHIAMO UNA "COSTITUENTE PER IL LIBRO". LA CHIEDONO SCRITTORI, GLI EDITORI, I CRITICI, E SOPRATTUTTO I LETTORI

Alla cortese attenzione dell'onorevole Walter Veltroni, Ministro dei Beni Culturali. In occasione del convegno Dire scrivere pubblicare leggere valutare, ovvero La vita della letteratura è la vita dell'editoria?, i partecipanti rivolgono un appello al ministro dei Beni Culturali onorevole Walter Veltroni affinché convochi una "costituente per il libro". Il libro muore: si sta spegnendo - e male - in un universo editoriale al centro del quale è stata posta la merce e scalzato l'uomo. E' in crisi il rapporto produzione/distribuzione, è sempre più necessario un rapporto diretto tra sistema editoriale e sistema bibliotecario; si confondono l'informazione critica, promozione, e ragioni commerciali; il panorama e il dibattito culturale ne risulta altamente impoverito; l'editoria scolastica sembra deprima il gusto del leggere invece di avviare ad una corretta educazione alla lettura. Il suo dicastero ha dimostrato grande sensibilità per il cinema, il teatro e le arti visive: chiediamo la stessa attenzione (anche al governo di cui Lei fa parte) per il mondo del libro.

Lo chiedono gli autori, lo chiedono gli editori, lo chiedono i critici. Ma soprattutto lo chiediamo come lettori. Per adesioni: Mario Guaraldi editore, via Covignano 302, 47037 Rimini.

INTERVENTI. Tra le relazioni e gli interventi presentati al convegno, riportiamo quello di Pietro Spirito, redattore del quotidiano Il Piccolo di Trieste: un preciso richiamo (forse un po' moralista, ma anche sottilmente ironico) alle regole dell'informazione culturale e ai diritti del lettore.

IL DODECALOGO DEL CRONISTA LETTERARIO

di Pietro Spirito, redattore del quotidiano Il Piccolo di Trieste

Il cronista letterario è, già nell'accezione di Geno Pampaloni, il critico militante, ove per militante si intende non tanto - e non solo - l'adesione a una teoria o a un percorso, a un inquadramento critico "al servizio di" programmatico, quanto piuttosto "militante" nel senso del critico impegnato in una partecipazione attiva e costante nell'ambito di una funzione culturale che è quella dell'informazione. In tal modo la figura del "cronista letterario" - specie nella sua preminente funzione di recensore - si può collocare in posizione intermedia tra la critica militante e accademica propriamente intesa e un più vasto pubblico. Il cronista letterario è perciò una sorta di "critico divulgatore" il quale, senza appiattirsi sull'evento - sul "fatto" letterario quale "notizia della modifica di un patrimonio culturale" (Papuzzi) - tramite una mera registrazione e notificazione di ciò che accade, si dibatte, si pubblica ecc., applica invece gli strumenti critici secondo una "formula" che si può sintetizzare in tre parole: scegliere, valutare, informare (anche nel suo significato di fornire un indirizzo, dare un'impronta).

Sul finire dell'Ottocento il fondatore e direttore del quotidiano Il Piccolo di Trieste, Teodoro Mayer, stilò un dodecalogo ad uso dei giornalisti e collaboratori del giornale, dando prova di una visione estremamente moderna e onesta del giornalismo e dei criteri di base che regolano l'informazione. Quello che segue è un "dodecalogo del cronista letterario" (colto qui nel suo ruolo di recensore) vagamente - e forse provocatoriamente - ispirato a quel documento.

  1. Lavora per il lettore. Mettiti nei suoi panni: lui vuole solo sapere se quel testo vale la pena o meno di essere preso in considerazione, e perché. Adèguati alla sua richiesta di informazione ma non dimenticare che il tuo è anche e soprattutto un ruolo di indirizzo. Scrivi in modo da essere capito da chiunque, e cerca di porgere il tuo giudizio in maniera tale che il lettore possa elaborare un giudizio suo proprio.
  2. tieni presente che il tuo giudizio non durerà: altri verranno per giudicare usando strumenti e misure diverse. Se tutti parlano male o bene di un'opera non cercare di unirti al coro, ma non assumere posizioni preconcette. La storia della letteratura è una cernita, la letteratura si fa giustizia da sé.
  3. Leggi quello che puoi e più che puoi, ma non farti prendere dall'angoscia se non riesci a stare dietro a tutto. Ci sono troppi libri. Ci sono sempre stati troppi libri, e pochi davvero riescono a tener dietro alla produzione dei torchi. Cerca di sviluppare quel senso di "percezione bibliofilica extrasensoriale" in virtù del quale un buon libro si può riconoscere anche dall'aura che emana con la sua sola presenza. Fidati, ma con cautela, della prima impressione.
  4. Stroncare è una disciplina che presuppone applicazione e solidità intellettuale. Non è da tutti, e alla lunga stanca e perde i suoi effetti benefici. Provare a imitare i più efficaci stroncatori è un azzardo: si rischia l'offesa gratuita e immotivata. La stroncatura migliore rimane il silenzio: se un libro non vale, ignoralo. Se proprio non puoi fare a meno allora porta all'estremo la tecnica del cronista: descrivi il testo tralasciando qualsiasi giudizio, porgilo al lettore nella sua drammatica nudità. Lui, il lettore, saprà cosa farne.
  5. Leggi e ascolta i pareri dei colleghi, e poi dimenticali. Sforzati di lavorare alla formazione di una tua estetica, per quanto piccola e labile questa possa essere, e sii pronto a rimetterla sempre in discussione.
  6. Prendi ciò che ti piace, ma non disdegnare ciò che non ti piace. L'abbaglio è sempre in agguato e con i libri ci si deve comportare come ci si comporta con le persone. Talvolta un volto insignificante nasconde un grande genio.
  7. Tieni a mente questo consiglio di Prezzolini ai suoi studenti: "Siate aperti a tutti, e chiusi a nessuno; ma ricordatevi che non vi è spazio per tutti, e tutto quello che perdete può esser perduto, senza recupero. Però rassegnatevi sempre a perdere qualche cosa, e siate lieti che in compenso avrete delle sorprese. Una cultura letteraria è fatta tanto di vuoti, che di pieni."
  8. Cerca di avere sempre presente la mutevole geografia narrativa, ma non perderti nei suoi labirinti. Frequenta piuttosto i santuari della storia letteraria e lascia le tue offerte alle anime degli antenati: ne trarrai indubbio beneficio. Se non trovi mappe soddisfacenti a orientarti nella giungla della nuova narrativa prova a disegnarne una da te: non sarà più imperfetta di tante altre, e non sarà meno inutile.
  9. Frequenta e ascolta gli autori, ma evita di stringere amicizie complici. Spesso è inevitabile che sottili affinità elettive portino il critico nelle braccia dell'autore e viceversa, ma ciò può essere dannoso per il lettore. Se tuttavia dovesse capitare, allora sforzati di recensire i libri di quell'autore adottando l'unica tattica possibile: la sincerità totale. Se nonostante ciò si guasterà un'amicizia, vorrà dire che non era un'amicizia autentica. L'amicizia, il rapporto personale tra autore e critico, sono subalterni e incidentali rispetto al compito di indirizzo del cronista letterario: "spingere", aiutare e celebrare un autore attraverso una corretta informazione è giusto e anzi necessario, ma quando ci si rivolge al lettore l'opera viene prima della persona.
  10. Nella malaugurata ipotesi che dovessi diventare tu stesso un autore, preparati ad essere o ignorato o indegnamente osannato dai colleghi. L'unica alternativa per ottenere un giudizio sereno o spassionato è affidarsi al caso.
  11. Tieni a mente che, di solito, nella letteratura italiana i testi migliori non nascono dall'applicazione accademica di una teoria o di un'ideologia, ma derivano da un atto di liberazione: liberazione da norme e da precedenti, da mode e tradizioni, da classici e moderni. Come è accaduto per molti autori da Dante e Ariosto fino a Gadda, i capolavori sono il frutto maturo di un'ossessione risolta, di una felicità espressiva nata dal bisogno di creare un mondo dominato dalla necessità del caso e da un irrefrenabile anelito di liberazione.
  12. Sfòrzati, con umiltà, di "aderire" alla scrittura dell'autore che devi trattare. Se necessario arriva al punto di adeguare la tua scrittura alla sua: nel ritmo, nelle cadenze, persino nei vocabili. Ma senza ostentazione o piaggeria: il tuo compito è quello di "presentare una scrittura" evocando tutto ciò che vi sta dietro: da dove nasce, dove vuole arrivare, in quale terreno affonda le sue radici. In questo approccio evocativo usa pure in citazione tutti i materiali di cui puoi disporre: sequenze cinematografiche, brani musicali, fotografie. Spesso, oggi, la scrittura di cui devi parlare parte proprio da lì: da un territorio caotico e indistinto dove crescono e si intrecciano le più diverse forme di espressione.


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Le avventure di Al Cultman: Brazil

Oggetti di culto degli adolescenti d'oggi: libri, film, fumetti...

di Alberto Fassina

[brazil]Lasciatelo stare perché Al, il solito Al Cultman è intento nei 141 minuti di questa celluloide che si chiama come una canzoncina stupida che fa Brazil, ta na na na na ra na na na Brazil, Brazil ta na na na

Lasciatelo stare perché se rovinate il silenzio che questa sera il vecchio Cultman si è creato, se rompete questa atmosfera

Al mi sa che combina qualcosa che ancora non gli ho visto fare.

Sì perché dovete sapere che il Cultman della situazione si è messo a guardare la pellicola perché è in una situazione in cui neanche lui sa bene,

ma cosa, ma cosa diavolo sta facendo

non riesco mica a capire cosa diavolo sta succedendo

che la sala è troppo buia, che la sala da pranzo è solo illuminata dallo schermo,

ah!? ah sì eccolo, ha aperto la finestra, niente di strano, il vecchio Al Cultman ha aperto la finestra e si è buttato, si è buttato

come fa di solito

come fa di solito quando poveretto è in queste situazioni.

Ma guardalo, che ali che si è costruito, struttura in acciaio, e piume d'argento vere.

E poi quell'armatura, quell'armatura da bandito del tempo.

Che fa bene a portarla, perché il vecchio Al ora come non mai è ben vulnerabile

sì perché dovete sapere che è in una situazione in cui non sa bene dove sbattere la testa, perché lui sogna

sogna

e di ragazze, e a volte ce ne sono che spuntano da tutte le parti, che salgono e scendono dall'autobus, che girano e rigirano per il centro città, che parlano e si parlano al telefono, che sorridono per i corridoi della scuola.

E di ragazze a volte ce ne sono che Al si perde a seguirle tutte.

E a volte ce n'è soltanto una.

Una che basta a sconvolgere tutti suoi piani.

E allora il vecchio Al prende su le sue ali e vola un po' in giro

Perché è l'unico momento in cui sta bene veramente

perché così volando con lo sguardo sicuro

Al si dimentica della confusione.

Si dimentica degli attriti di parole di discussioni.

Si dimentica delle cose che non vanno, delle cuffiette che hanno il segnale disturbato, della lavastoviglie che fa saltare le resistenze e allora perde tutto quello che stava scrivendo al computer.

Si dimentica di tutto il casino

e vola tranquillo

perché sa che da qualche parte c'è lei, e lei è amore

è felicità veramente.

E non è tante ragazze è una e ha il viso ben definito, chiara, e vera che le può sfiorare le labbra.

Ma poi non si sa mai regolare con le ali e il vento e allora la sfiora e basta

ma questo basta al vecchio Cultman per stare

e sta in cielo e i colori sono più accesi

le cose si distinguono dal solito sfondo

dalle solite cose che rendono il mondo

E Al sa che nel mondo ci sono un bel po' di problemi

e lui nel suo piccolo si misura con questi

con il male che può fare, con il male che può fare alle persone che provano del bene per lui

con il male che le persone possono fare a lui

che le persone a cui lui vuole bene possono fare a lui.

E poi Cultman lo sa che c'è ben di peggio, che questo è poco in confronto

che questo è poco rispetto a dolori che neanche i film più truci e pazzeschi riescono a raccontare.

E allora Al prende le ali e l'armatura da bandito del tempo

per stare tranquillo per stare tranquillo in questo tempo

in questa atmosfera

prima che in sala arrivi qualcuno

qualcuno che lo svegli

dal bellissimo sogno che sta facendo.

Brazil è un film che tratta valori quali la libertà, la giustizia, l'amore, guerriglia.

Valori che farebbero di un qualsiasi film un prodotto, pesante, retorico (purtroppo), magari didattico da ore di religione e discussione sui mali del mondo.

Valori che farebbero di un qualsiasi film qualcosa di forse falso, e pretenzioso.

Brazil non pretende, non impone grosse tesi, le conclusioni a cui arriva sono tristi e pessimiste, ma sono anche delimitate da una musichina che è un'aria leggera, di spensieratezza, di sogno di libertà.

Brazil si conclude in maniera pessimista, ma si conclude anche con una musichina che sa di amaro e di dolce allo stesso tempo.

Brazil è la consapevolezza che il dolore esiste, e assieme al dolore esiste anche l'amore, l'amore per una donna, per un ideale, per la libertà,

Brazil dice che esiste l'amore, nel sogno e nella realtà

nel sogno o nella realtà.

Brazil è fuga

fuga che non porta ad un posto migliore

è fuga che porta nello stesso posto

nello stesso posto dopo esserti misurato con la tua coscienza

con quello che c'è

con il male ma anche con una canzoncina che fa Brazil, ta na na na na na na na, Brazil, Brazil ta na na na.

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