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Attento lettore, che ti mangio


GIULIO MOZZI RECENSISCE L’ANTOLOGIA IN STILE GRAND GUIGNOL "GIOVENTÙ CANNIBALE" DI GIOVANI AUTORI ITALIANI E REPLICA A SEBASTIANO VASSALLI CHE LI DIFENDE PERCHÉ "RACCONTANO LA REALTÀ COSÌ COM’È". PERCHÉ RACCONTARE LA REALTÀ NON È POI COSÌ FACILE

Gioventù cannibale, a cura di Daniele Brolli, Einaudi Tascabili Stile Libero, pp. 204, L. 13.000. Racconti di Nicolò Ammaniti, Luisa Brancaccio, Paolo Caredda, Matteo Curtoni, Matteo Galiazzo, Massimiliano Governi, Daniele Luttazzi, Stefano Massaron, Aldo Nove, Andrea G. Pinketts, Alda Teodorani.


S ono stati immediatamente cannibalizzati dalla cosiddetta cronaca o critica letteraria italiana i giovani e meno giovani autori inclusi in questa antologia con tanto rumore promozionata da Einaudi.

"Cannibali con i denti da latte", ha titolato astutamente L’Unità (21.10.96), mentre il Corriere della sera (26.10.96) ha sparato un’intera pagina col titolone: "Giovani scrittori, che ORRORE" e un curioso sopratitolo: "Tendenze: Il "punk" italiano: vera rivoluzione contro la melassa nostrana? Oppure esibizione gratuita di violenza? Un’antologia scatena le polemiche"; seguono, secondo salomonica tradizione, un articolo "a favore" di Sebastiano Vassalli e un articolo "contro" di Isabella Bossi Fedrigotti che contrappone ai giovani cannibali un libro come Gli occhi del padre di Sergio Ferrero (Mondadori), e spiega come "ogni libro che sia vero, non finto, non falso, non costruito, è capace di smuovere, di agitare, di sollevare irrequietezze e disagi, di risvegliare paure e malesseri, sebbene non necessariamente infelicità. Ci sono milioni di modi per ottenere questo risultato. (...) Per qualcuno ci vogliono squartamenti e sangue, mentre a qualcun altro basta assai meno".

Qui le cose da dire sono due. Primo: che non se ne può più dell’uso caotico di etichette come punk, splatter, splatterpunk, pulp, horror. Ciascuna di queste etichette indica un genere (meglio: un sottogenere) ben distinto dagli altri. Horror è parola classica ed indica un genere antico (E. A. Poe), che probabilmente ha generato tutti gli altri; ed è stretto parente del racconto del mistero (sempre E. A. Poe). Splatter significa, più o meno, spiattellato; è quasi più una tecnica di scrittura che un genere; dicesi splatter ciò che è raccontato mettendo sotto il naso del lettore tutti i particolari, in particolare (ma non indispensabilmente) quelli sgradevoli. Punk è parola più politica che altro; indica una scrittura d’opposizione, certamente molto sregolata e molto attenta alle cose sgradevoli, ma sempre motivata da un atteggiamento antagonista-anarchico. Splatterpunk è un collegamento funzionale delle due cose. Pulp (la più fortunata, in questa stagione, tra queste parole d’importazione; cf. "Pulp oggi, quale domani? Il caso italiano", in Nautilus di agosto 1996) deriva dall’espressione pulp-magazine, ossia rivista stampata su carta di cattiva qualità (fatta con la polpa del legno), destinata a pubblico popolare, contenente narrativa di cattiva qualità, fatta in serie ecc.; è stata rilanciata dal ben noto Pulp fiction di Quentin Tarantino; e indica una narrativa che si rifà parodisticamente e ironicamente appunto alla narrativa popolare di bassa qualità (pressoché sempre di genere), usandone le strutture narrative elementari e assolutamente false per rappresentazioni (cinematografiche o letterarie) iperrealistiche. Cose quindi abbastanza diverse; diciamo ad esempio che il pulp, essendo un’operazione interna al genere letterario, difficilmente può caricarsi della valenza politica che ha il punk; l’iperrealismo tipico del pulp è ben diverso dal realismo ravvicinato dello splatter; il pulp è divertente e fa ridere mentre l’horror fa paura, il punk inquieta e lo splatter disgusta; e così via. E allora: decidiamoci a usare queste categorie con un minimo di cognizione di causa, o almeno cerchiamo di trovare un accordo sul significato da attribuire convenzionalmente a ciascuna di esse.

Seconda cosa. In Gioventù cannibale si trovano racconti molto diversi: non solo nel contenuto, ma proprio nella scelta letteraria di fondo. Niente accomuna "Seratina" di Ammaniti e Brancaccio e "Il mondo dell’amore" di Aldo Nove, se non il fatto che in entrambi c’è violenza (ma anche nel Tg e nella Vita delle api di Maeterlinck c’è violenza). "Seratina" è un’esercitazione di genere del tutto priva di ironia (e pertanto è noiosissimo ed è veramente cattiva letteratura), mentre con "Il mondo dell’amore" Aldo Nove continua il suo discorso sulla merce che già aveva iniziato nel (forse troppo, questo è vero) fortunato libretto Woobinda e altre storie senza lieto fine (Castelvecchi). Il vero orrore, secondo Nove, sta nel fatto che c’è gente che guarda tutti i santi giorni Ok il prezzo è giusto e che passa i sabati a comperare merce scadente negli ipermercati. L’accostamento di questi comportamenti generalmente ritenuti normali a comportamenti generalmente ritenuti orribili (ad esempio evirarsi, come appunto avviene nel "Mondo dell’amore") è ciò che scardina nel lettore la normale percezione della realtà; e ciò si ottiene con una lingua che più pulita non si può: i personaggi narranti di Aldo Nove esibiscono sempre un perfettissimo candore, un’innocenza sterminata.

E’ questo in sostanza (scelta piatta del genere, oppure realismo) il discrimine utile per distinguere tra questi racconti. Dalla parte della scelta piatta del genere, il peggiore di tutti è "Cappuccetto splatter" di Daniele Luttazzi, che racconta la storia di Cappuccetto Rosso mixandola con American Psycho, ottenendo un curioso effetto: un racconto splatter che non è godibile come tale, perché siamo consapevoli fin dall’inizio che stiamo leggendo un’esercitazione di parodia letteraria; e un’esercitazione di parodia letteraria talmente appiattita sul modello da non produrre alcun effetto: ad eccezione della noia ("Poi divaricò le gambe di Cappuccetto rosso e si accanì sulla sua vulva con un frullino elettrico Moulinex. Sfaldatale la mucosa vaginale in un etto purpureo di macinato vivo, afferrò un coltello elettrico AEG e le asportò delicatamente il clitoride...", p. 67). A metà strada tra le due scelte sta "Diario in estate" di Massimiliano Governi, sostanzialmente un bel racconto rovinato dal finale con assassinio (che sembra quasi un modo di cavarsela da una situazione troppo complessa).

Decisamente dalla parte del realismo sta "Cose che io non so" di Matteo Galiazzo, probabilmente il pezzo migliore del libro insieme a quello di Nove, sicuramente quello con la situazione narrativa più curiosa: una ragazza figlia di Testimoni di Geova scrive a José, un ragazzo che ha violentato le sorelline sotto gli occhi dei genitori e successivamente le ha strangolate e ha infierito sui loro corpi ("con un coltello affilato, cioè, hai aperto vagine dove in origine c’era solo una lunga distesa di pelle liscia, e ci sei venuto dentro", p. 119), provocando en passant la morte dei genitori per infarto; nella lettera la ragazza compie un accurato esame della propria religione, la trova inefficiente sotto vari punti di vista (non quelli che si potrebbero pensare), e si propone di fabbricare una religione nuova, più efficiente, della quale il Messia sarebbe appunto José, che la ragazza ha veduto in televisione durante le riprese del processo: "Eri lì seduto, col tuo splendido sorriso aperto, eri calmo come solo gli antichi re, come solo ai saggi è concesso essere" (p. 103).

Dice Vassalli nell’articolo sul Corriere: questi scrittori "fanno ciò che gli scrittori dovrebbero fare in ogni Paese e in ogni tempo: ci mostrano il mondo così com’è, e non come si vorrebbe che fosse. Ci mettono sotto gli occhi, nelle loro pagine, la violenza e l’orrore e lo squallore che molti cercano di coprire, nel presente, con il loro ipocrita e disperato buonismo..." A parte l’uso della categoria buonismo, la cui sensatezza sia come categoria letteraria sia come categoria etico-politica pare piuttosto nulla, Vassalli indica sensatamente il percorso possibile per questi narratori: quello del realismo. Va da sé che realismo non è né il soggiacere alla ripetitività del genere (qui non si vuol dire che il genere non possa essere usato per rappresentazioni nel segno del realismo: ma deve appunto essere usato e non, per così dire, vissuto) né l’esercitazione parodistica iperrealista. Aspettiamo quindi, dagli autori qui presentati, prove di capacità realistica, dioè di "rappresentazione del mondo così com’è". Nove ha già dato ottime prove nel citato Woobinda, Governi in Il calciatore, Baldini & Castoldi, romanzo piuttosto bello; Ammaniti, Brancaccio, Curtoni, Luttazzi e Teodorani hanno finora pubblicato cose decisamente di genere, anzi sottomesse al genere; Andrea G. Pinketts, il decano della situazione, ha pubblicato alcuni interessanti romanzi per Feltrinelli ma probabilmente ha dato il meglio di sé nei reportages en travesti che ha realizzati per varie riviste, in particolare King. Dove, appunto, il rapporto con la realtà era obbligato.

Giulio Mozzi