[ECONOMIA]


Olivetti, a quel feuilleton
manca un finale

La storia del gruppo di Ivrea dal boom con Carlo De Benedetti fino alla crisi attuale con il via vai di manager chiamati al rilancio di un'azienda che era arrivata ad essere la quarta impresa industriale italiana.

Olivetti story. Dove va il quarto gruppo industriale italiano, le cui azioni sono in balia del mercato e la cui valutazione complessiva viaggia intorno ai 2680 miliardi? L'interesse sui destini del gruppo di Ivrea è grande non solo perché intorno all'Olivetti girano piccole e grandi meteore, che sono i piccoli azionisti, i 30mila dipendenti del gruppo, le multinazionali ed i gruppi finanziari interessati all'acquisto - più o meno possibile - di fette dell'azienda (personal computer, la Omnitel con l'appetitoso affare dei telefonini Gsm, la telefonia tradizionale Infostrada, la Lexikon macchine per ufficio, l'area servizi in cui Olivetti è tra i primi posti in Europa e l'area sistemi). Ci sono anche gli investitori che nel passato hanno sottoscritto a più riprese gli aumenti di capitale coprendo così più di 3mila miliardi di perdite negli ultimi tre anni, c'è il mondo dell'informazione che vuol sapere se giornali come Repubblica, l'Espresso e la catena di quotidiani Finegil resteranno saldamente in pugno a Carlo De Benedetti, "l'imprenditore progressista" che dal '78 fino a poche settimane fa ha guidato il gruppo di Ivrea.

Ci sono i poteri forti come Cuccia e Mediobanca, ci sono amici e nemici di De Benedetti: destra e sinistra, la fantasmagorica corte di tizi e Caio (Francesco, alla guida dell'Olivetti per pochi giorni come successore di De Benedetti), gli ex manager Passera e Francesconi: Ci sono vendette da consumare, nuove alleanze da costruire. E poi i figli, il ruolo di nonno, la barca a vela, il nuovo amore, un matrimonio in vista.

Non solo tutti questi ingredienti a solleticare un pubblico che va dai lettori della cronaca rosa ad Eugenio Scalfari, da Agnelli ai guru della borsa. Alla trama della più avvincente novella finanziaria degli ultimi mesi, manca un elemento fondamentale, quel finale a sorpresa che probabilmente solo l'Ingegnere, quel Carlo De Benedetti giudicato - e definito, a seconda delle occasioni - abile condottiero o imprenditore d'assalto conosce. Lui, uno degli ultimi rappresentanti delle grandi famiglie della finanza o il "corsaro" per i suoi assalti (falliti) alla Societè Generale de Belgique o alla Mondadori di Berlusconi.

Dopo la caduta dal trono, scomparsi dallo scenario Caio ed altre comparse che tramavano piani poi naufragati, sta a De Benedetti la prossima mossa. Anche se in Olivetti non è più azionista di maggioranza, è ancora l'Ingegnere che può bussare in via Filodrammatici, sede di Mediobanca, ed avere udienza dal grande burattinaio Enrico Cuccia. Ma, prima di delineare scenari futuri, è meglio - come in ogni feuilleton che si rispetti - fare il riassunto delle puntate precedenti. Personaggi ed interpreti, in ordine di apparizione.

Carlo De Benedetti - classe 1934, torinese. Compagnia italiana tubi è la ditta paterna che lo vede nascere come imprenditore. Agnelli lo nota subito e lo sponsorizza, negli anni '70, alla guida dell'Assindustria di Torino. Una carica che il rampante ingegnere mette a buon frutto. Nel 1976 Carlo De Benedetti approda alla Fiat e viene nominato amministratore delegato, ma non supera nemmeno il primo quadrimestre. Via da una parte, dentro dall'altra. L'Ingegnere entra in Cir (di cui detiene ancor oggi il 46 per cento), poi punta ad Olivetti. Una Olivetti con un solida tradizione e un nome da difendere, ma anche un'azienda che stava scivolando verso la crisi. De Benedetti capisce che l'epoca della macchine da scrivere è finita, il futuro è nei calcolatori. Stringe un accordo con la At&t. Gli va alla grande, specie quando in Germania e in Italia vince commesse su commesse per l'automazione degli uffici. I calcolatori diventano computer, il trend del titolo Olivetti è legato alle ricapitalizzazioni. In sella c'è sempre lui, anche se perde qualche battaglia. In Belgio con la Sgb, in Italia per il controllo della Mondadori. La breve vicepresidenza del Banco Ambrosiano di Calvi gli frutta un coinvolgimento nelle traversie giudiziarie.

I suoi giornali gli parano sempre i colpi, non così i giudici che anche in appello confermano la condanna per il crac Ambrosiano.

Ma la più brutta caduta d'immagine gli viene da un Caio qualsiasi.

Corrado Passera - Fa la gavetta a Londra alla McKinsey, ma cresce in Olivetti, dentro all'azienda di Ivrea ci passa ben 11 anni. Conosce vita morte e miracoli di Cir, Mondadori, Espresso, Credito romagnolo. E il braccio destro di De Benedetti, l'erede designato al trono. Ma non sarà lui il candidato alla successione. L'Olivetti perde sempre più terreno, l'Ingegnere chiama al capezzale del malato il medico Caio. Passera sente l'aria pesante così butta qualche amo in giro. E, dalle parti di Brescia, viene su un pesciolone: l'Ambroveneto di Giovanni Bazoli gli propone lavoro come direttore generale e amministratore delegato. Accetta. Dai computer alla cassaforte. Dal mouse ad uno dei templi del credito. Passera ad inizio estate annuncia: "Quest'anno faccio le ferie lunghe". Il 23 luglio fa le valigie e se va per sempre. Stringendo la mano a tutti. Senza rancori. E quel po' di nostalgia gli passa subito quando la guerra per il ponte di comando diventa ancora più spietata.

Francesco Caio - Il mandrake dei telefonini, ma anche un cobra-travet, secondo Vittorio Feltri. De Benedetti se lo coccola a partire dal 1991. Per 24 mesi lo vuole a fianco e gli insegna i trucchi del mestiere. Quindi lo butta in acqua aggrappato ad una ciambella che si chiama Omnitel. Caio spreme il massimo, fa concorrenza alla Telecom, fa saltare dirigenti e collaboratori, ma porta a casa anche utili. Il titolo Omnitel vale più di Olivetti, gli abbonati superano ogni più rosea previsione. Salgono anche le azioni Caio. De Benedetti lo vuole alla guida della casa madre. Lui sale sul treno in corsa. Cambia il management, chiede e ottiene la testa dei consiglieri più vicini all'Ingegnere, il quale lascia fare e non sospetta di essere il bersaglio principale. Caio chiama alla direzione generale il suo fido Renzo Francesconi, già manager alla Rai, in Mondadori e all'editoriale Espresso. Caio punta a scalzare De Benedetti. Va persino a Mediobanca, agitando i bilanci di Olivetti e le deleghe di azionisti disposti alla guerra con l'Ingegnere. Quando Procura e Consob vogliono vederci chiaro ed esaminare i bilanci di Olivetti però si lascia andare ad uno sconsolato "mollo tutto, torno a Londra". Il biglietto glielo consegnano subito dopo. Sui di lui pesa il sospetto che abbia agito in conto terzi, soffiando sui carboni ardenti in nome di azionisti stranieri.

Renzo Francesconi - Una breve ma intensa presenza. Dal 15 luglio al 4 settembre. Ma ha fatto in tempo a farsi notare. Sussultando all'insegna del motto: "Sui numeri non si discute" non firma la relazione semestrale, anzi carica sul rosso. E si dimette. Mantenendo un profilo di mediatore.

Ma alla fine De Benedetti la spunta. Anche se ufficialmente fuori, riprende fiato. Salta fuori la divisa di skipper che sa portare la barca anche quando il mare è mosso. E si riparla di vendite controllate. Di quel filo mai rotto con Mediobanca , di contatti con investitori stranieri. L'ingegnere è uscito in mare aperto. Lo davano per disperso. Lui è deciso più che mai a scrivere la sua versione finale di Olivetti story. Magari sfruttando a suo vantaggio i suggerimenti di Caio: della serie i telefonini salveranno Ivrea.

Mauro Carrer