[cultura]
Non solo libri

Recensioni, schede e notiziole


RECENSIONI
  • NARRATIVA DAL MARGINE. Fabio Bozzato, L'acqua che cade, con una nota di Paolo Cacciari, La Fattoria, Padova, 1996, pp. 100, L. 10.000
  • NARRATIVA ITALIANA. Marco Lodoli, Il vento, Einaudi, pp. 125, L. 20.000
  • CALVINO: UN'IDEA DI LETTERATURA. Marco Belpoliti, L'occhio di Calvino, Einaudi, pp. 286, L. 42.000
  • POESIA: LE RIVISTE.Aa.Vv., Le regioni della poesia: riviste e poetiche negli anni Ottanta, a cura di Roberto Deidier, Marcos y Marcos, Genova, pp. 214, L. 22.000
  • FILOSOFIA E SCRITTURA. Rocco Ronchi, Luogo comune. Verso un'etica della scrittura, Egea, pp. X-144, L. 20.000
  • UNA LETTURA DI KEATS. Steven Brown, Steven Brown reads John Keats: the days is gone & other sonnets, Sub Rosa, CD004-21
  • RILKE IN MUSICA. Frank Martin, Die Weise von Liebe und Tod des Cornets Christoph Rilke [Il canto d'amore e morte dell'alfiere Christoph Rilke], su testi di Rainer Maria Rilke, per contralto e orchestra da camera, durata 1h.00'52", CD Philips 442 535-2

SCHEDE
  • NARRATIVA. Carla Fioroni, Sul perché mio padre non aveva mai voluto un cane, Pair 2000 (Latina), pp. 43, L. 14.000
  • FOTOGRAFIA. Raymond Depardon, La ferme du Garet, Carré (distr. Casterman), pp. 320, FF. 220.
  • POESIA. Altofragile, foglio di scrittura, n. 5 (foglio unico in formato grande)
  • POESIA. Dàrsena, trimestrale di letteratura, n. 3/4, ed. minimum fax, Roma, pp. 70, L. 7.000
  • POESIA. Il filorosso, semestrale di cultura, gennaio-giugno 1996, pp. 64, L. 10.000
  • UNDERGROUND. Letteratura underground, pubblicazione saltuaria di racconti brevi, n. 1, pp. 32, L. 4.000

NOTIZIE Recensioni

NARRATIVA DAL MARGINE. Fabio Bozzato, L'acqua che cade, con una nota di Paolo Cacciari, La Fattoria, Padova, 1996, pp. 100, L. 10.000

[bozzato] I cinque racconti che il ventiseienne veneto Fabio Bozzato pubblica in un volumetto che porta il titolo del primo sono scritti in una lingua mossa e rotta, tondelliana senza maniera e comunque non solo tondelliana, anche un po' testoriana (qua e là compare il dialetto), e che comunque, eventuali modelli a parte, sta benissimo in piedi da sola. Sono storie che si potrebbero dire "dal margine" (e questo sottolinea abbondantemente nella postfazione Paolo Cacciari, fratello del più noto Massimo e per anni consigliere comunale a Venezia), ma il loro interesse non è solo quello documentale. Bozzato sembra avere qualità di vero scrittore, e lo dimostra il diverso trattamento stilistico (ma la voce è sempre riconoscibile) che assegna ad ogni racconto. Riassumerli è difficile, perché sono racconti dove abbonda il non-detto, l'alluso, il girare attorno all'impossibile-a-dirsi. Il primo, "L'acqua che cade dall'alto", forse anche il più compiuto, è tutto qui: Davide passeggia con il suo ragazzo Tommaso (insieme, si intuisce, fanno fumetti o qualcosa del genere), incontra la sorella Anna più vista da anni; stanno insieme qualche ora, confrontano le proprie vite, parlano della mamma e dell'altra sorella, Dora, anch'essa più vista da anni. Alla fine Davide decide di andare a trovare Dora, e forse anche la mamma; Tommaso lo accompagna alla stazione dei treni. Non c'è molto di propriamente narrativo, ma il racconto si tien su per lo spostarsi continuo tra crudezza e malinconia: "I tetti sono tutti uguali, come al solito. La terra sembra sporca e ingorda, come al solito. E l'acqua che cade dall'alto lava i rumori, con la sua filastrocca ruvida. Un rivolo scivola da una sporgenza della grondaia, piscia giù i pensieri, che è il suo lavoro. E i balconi sono chiusi ovunque, viapiavemaledetta. E la pioggia continua a battere figliadicane batte. E i cani la guardano stralunati immobili attenti: forse loro sì la capiscono" (p. 10). "Tommi e io stiamo raggomitolati sul divano. Sai, eravamo piccoli un metro o giù di là, gli racconto. Il giardino. Che bel giardino avevamo. Mamma ci osservava. Non c'era nulla di più importante davanti a sé" (p. 23). E l'insistenza sull'immagine dell'acqua che cade, l'acqua che cade ovunque, anche ("dal basso", p. 15) nell'ascensore, l'acqua che d'inverno si "trasforma in lana" (p. 25), ci dà un grande senso di precarietà, di esposizione al male, di abbandono nel senso che Tondelli dava a questa parola ("Fenomenologia dell'abbandono", in L'abbandono, Bompiani 1993, pp. 28-33) . Poi sono belle, nel libretto di Bozzato, certe pagine dove non si capisce più se il regime sia realistico o fantastico: pagine allucinate, dove la realtà è reale e tuttavia si deforma e muta. Ad esempio, dal racconto "Rumore di vento e di tamburi": "Sbottonò i jeans blu, che erano blu come i suoi. Con le mani accarezzò il petto di Pietro, lo prese per la vita, inarcandolo leggermente. Lo passò tutto come si accarezza un airone. Poi le portò giù verso l'inguine, sentì i muscoli contratti delle cosce, arrivò alle geometrie conosciute delle natiche. Prese in bocca il sesso mezzoeretto, che divenne sempre più duro, sentendolo entrare in gola e con la lingua ne accudì la carne. Pietro teneva la testa indietro, mostrando il collo largo e le vene grosse gonfiarsi, la bocca un po' aperta e le mani di Lulu che scendevano, sottolacamicia sopralapelle. Lulu gli regalava pioggia, delicatamente. E dentro gli occhi chiusi, Pietro vedeva bulloni e coriandoli d'acqua scendere e stellefilanti che assomigliavano tanto ai capelli di Lulu. Quando arrivò vicino alle cascate enormi e prepotenti, dove le grida del bigbang escono da dentro, quando le sue mani che stringevano la testa dell'altro si lasciarono scivolare via, Lulu sollevò la testa e dalle labbra uscì solo una rosa al posto del suo sesso. Una rosa colma di rugiada" (pp. 43-44). Di passaggio notiamo l'uso forte che Bozzato fa dei verbi inarcare (transitivo!), passare, sentire, accudire: scelte da vero scrittore. (gm)

L'acqua che cade è pubblicato dalla cooperativa sociale La Fattoria (casella postale 435 Padova centro, tel. 049-8712541), nata nel 1984, come dice una nota in coda al libro, "con lo scopo di dar voce alla marginalità giovanile, tossicodipendente e non, attraverso un'attività produttiva e di servizi con l'attuazione di percorsi didattici di formazione e di lavoro. Come Diogene con la lanterna alla ricerca dell'uomo, così La Fattoria è riuscita a trovare occupazione e lavoro sviluppando, nel contempo, momenti di divertimento e di fantasia, musica, poesia, teatro. Si è guardata dentro e intorno e ha visto che ha tante esperienze da raccontare: così è nata una iniziativa editoriale autogestita per raccogliere testimonianze e racconti minimi finora dimenticati nel cassetto." Oltre a L'acqua che cade, La Fattoria ha finora pubblicato due volumi di Carlo Chiovato: Diario nero e In nome del figlio; prossimamente uscirà Il silenzio è blu di Elena Cardillo.

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NARRATIVA ITALIANA. Marco Lodoli, Il vento, Einaudi, pp. 125, L. 20.000

[lodoli]Il nuovo romanzo di Marco Lodoli, Il vento (che ha una bellissima copertina, di Antonio Viespoli, voluta e commissionata da Lodoli stesso) è un oggetto difficile da affrontare. Da un lato si può dire: è un romanzo del tutto conforme al Lodoli maniera Einaudi: è gradevolissimo da leggere, probabilmente, per chi non ha letto altro di Lodoli; ed è irritante invece, proprio a causa del sovraccarico di maniera, per chi Lodoli l'abbia letto e seguito dall'inizio. Fin dal ritratto del quasi-protagonista, Luca: "Luca ha la camicia bianca picchiettata dalle gocce, poche mille lire nel taschino, in bocca una sigaretta bagnata che non tira, pantaloni di cotone fradici sulle ginocchia, mocassini senza tacco, un orecchino che fa infezione" (p. 3). Teoricamente è una descrizione efficace, visiva e nervosa; all'atto pratico è un insieme di particolari emotivamente forzati che si ritrovano tali e quali, o talmente e qualmente trattati, in tutta la galleria di personaggi della Roma periferica e piccoloborghese o sottopiccoloborghese che Lodoli ha allestita dai racconti di Grande Raccordo (Bompiani, 1989) in qua. In sostanza, la voglia di saltar le pagine viene, eccóme. Tuttavia, la storia è (come al solito) così strana e curiosa che il libro non si può piantare lì.

Allora la storia è questa: Luca raccatta per la strada quella che crede sia una prostituta inseguita dai clienti (o dai papponi) e se la porta a casa; a casa scopre di aver raccattato un essere d'altro mondo, un marziano (ma viene dalla Luna, si scoprirà), abbastanza simile a un essere umano, ma pallido e glabro, senza capelli in testa e con uno specchietto tra le gambe al posto del sesso. Il marziano è stato ferito dagli inseguitori, perde sangue (un liquido giallo...), Luca non sa come fare per salvarlo. Ricorre al padre, alla domestica del padre, all'ex amico ed ex primo della classe Giancarlo (ora si fa chiamare Carlos), alla falsa dottoressa Bambi, eccetera eccetera: dopo poche pagine attorno al marziano morente si aggira e strèpita il consueto grande circo invalido di tutti gli ultimi romanzi di Lodoli; nessuno sa che cosa fare, provano a dare al marziano l'aspirina e gli omogeneizzati, lo disinfettano... A un certo punto Carlos dice: "Questa storia tutta scombinata mi ricorda i romanzi di Marco Lodoli. Al bar ne ho letti un paio, sono storie così, che zoppicano via. Una volta ho letto una sua intervista, le solite vaghezze letterarie sulla vita e sulla morte, roba senza né capo né coda" (pp. 74-75). E allora tutti alla ricerca di Marco Lodoli: sull'elenco del telefono ce n'è uno, ma non è lui, è uno zincografo che non ne può più di essere scambiato per lo scrittore, quel "maledetto che non ha l'indirizzo e il numero di telefono sull'elenco" (p. 78). Lo zincografo non sa il numero di telefono del Marco Lodoli scrittore, ma l'indirizzo sì: via Achille Loria 7 (nota: è proprio quello giusto). Allora Luca va a casa di Lodoli (che ovviamente, essendo l'autore, parla in prima persona) e, come un Giobbe, l'accusa: "Io sto vivendo dentro al suo nuovo romanzo, non è vero? E anche mio padre, l'Emilia, Zeta (il cane), Carlos, Bambi, sono tutti personaggi sputati giù da lei in un mondo inventato, solo per farli penare, è così? Sono come schiavi al remo, eh? Lei li pungola, li frusta, li spreme soltanto per far navigare la sua vanitosa barchetta di carta... E soprattutto, signor Lodoli, per la sua miserevole superbia d'artista, per un capriccio da quattro soldi, lei sta facendo schiattare il mio marziano..." (p. 84). La difesa di Lodoli-personaggio è debole: "Caro Luca, credi che sia in mio potere abolire la morte? Io la subisco e la maledico come ogni essere dell'universo. Posso solo arginarla nella mente per un poco, stordirla con una storia che confonda, sviarla su una pista falsa... fin quando non si accorgerà del trucco e mi tornerà addosso: ma forse sarà più stanca" (p. 86). Poi tutti insieme (salto un po' di avventure) Luca e Lodoli-personaggio e il marziano e gli altri si sbandano per Roma, sostengono dialoghi folli, imbarcano una ragazzona di nome Marta, decidono di andare a divertirsi al dancing, e finalmente si ritrovano in un campo di zingari; che però improvvisamente, scappano, perché "c'è della morte nel vento" (p. 113). Allora Marta (che, s'intuisce verso la fine, è la Morte o qualcosa del genere) dice: "Bisognerebbe domandare al re del mondo. E' lui che decide chi va e chi viene, che aggiusta e rompe e fa le stagioni piovose o torride, è lui che decide le domeniche e i lunedì, più o meno, sì." (p. 115). E chi è il re del mondo? E' "un ragazzo con una tanica in mano" che cammina lungo la Salaria alla ricerca di un benzinaio (p. 116). E la sentenza del re del mondo è questa: "Qualcuno deve morire, se non è il marziano sia un altro." (p. 120). Il gruppo esita, si rompe. Poi si fa avanti Zeta, il cane di Luca, "ossuto cane di quindici anni e rotti" (p. 121). Marta prende il cane e si allontana, mentre tutti inutilmente la prendono a sassate. E il marziano "s'alza in piedi, stira braccia e gambe come uscendo da un letto di piume, sbadiglia, libera un peto squillante" (p. 123).

Vale la pena di rileggere un brano dal primo libro di Marco Lodoli, il romanzo Diario di un millennio che fugge (Theoria, 1986):

"Troppe vite ci vorranno ancora per farne nessuna. Troppe speranze, memorie, delusioni, attese, lussurie, angosce, volontà, dovranno ancora intrecciare le loro spine e sempre più debolmente sanguinare, affinché dal pallido cespuglio emerga la fiamma di un uomo nuovo, o forse l'ultimo degli antichi, senza un passato né un futuro cui badare, puro presente attonito... Sì, molti uomini e molte donne saranno ancora necessari, ma già noi stiamo preparando l'avvento dell'essere che abbia dimenticato tutto prima di conoscerlo, il nome del padre e della madre come il proprio, l'ordine e la direzione dei mesi e dei giorni, gli alfabeti, la numerazione araba e romana, il metro, il litro e il chilo, i punti cardinali, la rosa dei venti, le tavole delle leggi, le pene e le scelleratezze e le inutilità sparse nei millenni e rilegate nei libri, che si meravigli e si commuova unicamente della vita, come d'un male ingiustificabile che non si può fingere di sapere organizzare, né spendere a piccole dosi, ma tutto insieme va assunto, respiro dopo respiro. A questa divinità inconsapevole di sé e dell'universo... stiamo già allestendo la cuccia, spegnendoci un poco ogni giorno o permettendo che per inerzia quelle che sembrano le nostre intenzioni si mutino in accadimenti, senza afferrarne il motivo... E una notte l'essere... partorirà da una clavicola o da un ciglio o da un sogno il proprio erede, primo degli innocenti, primo bambino della terra nuova, mondata dall'assoluta sofferenza del padre..." (pp. 174-175).

Forse si può dire che Lodoli, in dieci anni di scrittura, non ha fatto altro che raccontare dell'attesa e della ricerca di questa "divinità inconsapevole": poteva essere, come è nel Diario, una ragazza dolcissima e muta che può essere amata ma non mai posseduta; o una bestiaccia immonda trovata nel giardino da una maestra zitella, che se ne innamora perdutamente; o il figlio senza padre di una domestica in casa di ricchi, nato e cresciuto nella cantina buia e del tutto inetto alla vita con la luce; e così via, a ripensarci è una carrellata di divinità mostruose. Nel Vento Lodoli mette ancora in scena la stessa storia: la divinità inconsapevole è il marziano morente, che con la semplice e ingombrante presenza mette in moto tutta la storia, aiuta a stordire la morte con una storia confusa; e poi è, di nuovo, il ragazzo con la tanica, che è il re del mondo e non lo sa (ma: "forse tra pochi minuti il re del mondo sarà il benzinaio, poi un camionista che va a sud, uno che va a nord" [p. 119]) e, proponendo lo scambio, salva la vita al marziano.

La cosa nuova è che Lodoli-personaggio stesso, lo scrittore, dichiara la sua impotenza. Se ogni tanto cerca di affermarsi, è petulante e debole: "Ma sono io che debbo decidere, sono io lo scrittore", dice a p. 120. "Questo non interessa più a nessuno", gli si risponde.

"Eppure", riflette Lodoli-personaggio (che è anche Lodoli-in-carne-e-ossa), "come scrittore avevo esordito con autorevolezza, avevo impressionato i critici più spietati, quelli che scannano per un avverbio. Ho ancora gli articoli da parte, ingialliti dagli anni, ondulati. Qualcuno s'era sbilanciato prevedendo per me un futuro da scrittore internazionale, vendemmie di soddisfazioni. C'era chi sottolineava le frasi del mio primo libro per mandarle a mente. Chissà cosa pensano oggi, quanto li ho delusi; ma non è colpa mia se poi della letteratura non mi è interessato più molto, se ho sentito il tempo che correva con la lingua di fuori verso il precipizio, se la testa mi ha dato problemi e le parole da robuste e filosofiche si sono fatte vagabonde. Da giovane sarei andato in piazza come un araldo, a rullare il tamburo per leggere a tutto il mondo gli editti altissimi dell'anima mia. Stanotte... [ho solo] vaghi propositi di salvezza, la macchina satura di indecisioni e il vento che mi spinge in bocca i capelli della morte." (p. 100) "Penso ancora che scrivevo romanzi, una volta, mi invitavano a vantarmi nelle università, parlavo a gente che prendeva misteriosi appunti e alzava la mano per domandare, stavo immobile davanti agli scaffali dei classici per gli scatti dei fotografi, firmavo le copie e mettevo dediche... Ma il posto mio è questo, lo so, su questo divano che punge, dietro alle galline addormentate, in mezzo al vento." (pp. 107-108).

E così, si rimane con il dubbio. Che cosa fa veramente Lodoli quando racconta le sue storie? E' veramente maniera quella che sembra maniera, oppure è una sincerità spinta oltre i limiti del sopportabile? Lodoli è contro l'intelligenza oppure è magicamente oltre? Un'ossessione monotematica così lunga non si può trascurare, una così deliberata scelta per la cattiva letteratura non può essere liquidata dicendo: è cattiva letteratura. Ovviamente la rinuncia alla letteratura non può che essere condivisa, oggi, visto che cosa è diventata la letteratura: un'istituzione tra le altre, un ordine autoritario; oppure spettacolo leggero, caravanserraglio. D'altra parte ripugna questa sorta di infantilismo sfrenato che sembra essere la scelta (per ora) definitiva di Lodoli. E allora? Allora non si può che dire: questo libro è insopportabile, leggete questo libro. (gm)

Marco Lodoli (classe 1956) ha pubblicato Diario di un millennio che fugge, romanzo, Theoria 1986; Snack Bar Budapest, romanzo, Bompiani 1987 (scritto a quattro mani con Silvia Bre; ne ha ricavato un film imprevedibilmente bello Tinto Brass, con Giancarlo Giannini protagonista); Ponte Milvio, poesie, Rotundo, 1988; Grande Raccordo, racconti, Bompiani 1989; I fannulloni, romanzo breve, Einaudi 1990; Crampi, romanzo breve, Einaudi 1992; Grande Circo Invalido, romanzo breve, Einaudi 1993 (questi ultimi tre raccolti in un unico volume nei Tascabili Einaudi, con il titolo I principianti), Calendarietto, racconti, Castelvecchi 1994; Cani e lupi, racconti, Einaudi 1995.

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CALVINO: UN'IDEA DI LETTERATURA. Marco Belpoliti, L'occhio di Calvino, Einaudi, pp. 286, L. 42.000

Il narratore Marco Belpoliti (del quale va ricordato almeno - e vorrà dire qualcosa il nome del protagonista - il bel romanzo Italo, Il Sestante, pp. 397, L. 20.000) ha raccolto in volume (rielaborandole e aggiungendovi parecchio di nuovo) alcune indagini su Italo Calvino compiute nell'arco di una decina d'anni (ricordiamo che Belpoliti ha anche curato un numero monografico della rivista Riga intitolato: "Italo Calvino. Enciclopedia: arte, scienza e letteratura" (n. 9, 1995, ed. Marcos y Marcos). Il sugo del libro è dichiarato nel primo capoverso: ci accorgiamo, scrive Belpoliti, che Calvino è "uno dei pochi scrittori che può accompagnarci" nel "varcare la soglia del secondo millennio" (Six memos for the next millennium è il titolo originale di quelle che comunemente si chiamano Lezioni americane): "e non certo per meriti letterari - che pure non gli mancano - ma in virtù di un'idea di letteratura che egli ha coltivato nell'ultimo ventennio della sua lunga attività" (p. IX). Quindi il volume di Belpoliti non è, se non occasionalmente e funzionalmente, un libro di critica su Calvino, ma una vera e propria ricerca di teoria della letteratura; che pertanto si può consigliare non solo al lettore interessato alle indagini su Calvino, ma anche e soprattutto al lettore interessato alle sorti generali della letteratura.

Nella prima sezione ("Storie del visibile") Belpoliti definisce e articola una poetica (e una teoria, appunto) calviniana della letteratura come poetica della visibilità; usando indiscriminatamente (e bene) come fonti sia i saggi, sia le opere narrative, censisce e illustra le metafore usate da Calvino per alludere alla struttura dell'opera letteraria: la mappa, la rete, il labirinto, lo specchio, la griglia, il catalogo, il museo, il cristallo, la carta geografica ecc.: tutte metafore che tentano di istituire o fissare la relazione tra l'opera letteraria e il mondo, o piuttosto tra la forma dell'opera letteraria e la forma del mondo. Questa relazione è, inevitabilmente, la forma della nostra percezione. "Vedere significa percepire delle differenze" è una frase che Belpoliti estrae da un articolo di Calvino su un viaggio in Giappone (p. 33) e sulla quale lavora e lavora, usandola come baricentro del discorso. La seconda sezione ("Il foglio e il mondo") è centrata sulla descrizione e sulle modalità di descrizione che scaturiscono appunto dalle metafore già citate; la successiva è dedicata alle relazioni di Calvino con le arti visive: la fotografia e la pittura. Nella sezione sulla fotografia è particolarmente brillante (pp. 117-124) l'analisi del racconto "L'avventura di un fotografo" (negli Amori difficili), in quella sulla pittura sono suggestive le pagine su Giulio Paolini (159-167), riferite a un saggio pubblicato nel 1975 (e leggibile oggi nell'edizione mondadoriana dei Saggi di Calvino, 2 voll., L. 110.000).

Forse il volume di Belpoliti è un po' dispersivo e ridondante; tuttavia è opportuno perché Calvino è forse davvero, in questi anni, un maestro rimosso o nascosto (come già indicava Generoso Picone nel saggio sulla nuova narrativa italiana "Ipotesi critiche per la lettura di un'onda", in Paesaggi italiani, a cura di Angelo Ferracuti, Transeuropa 1993, pp. 58 sgg.). La ricerca di una lingua o di una parola innamorata, durante tutti gli anni Ottanta, ha molto rivitalizzato la nostra letteratura, in prosa così come in poesia; tuttavia qualcosa di quel che si è acquisito in vitalità si è perso in struttura (o: quel che si è guadagnato in lessico si è perso in sintassi); i narratori d'oggi sono molto più colorati del grigissimo Moravia o del traslucido Calvino, e tuttavia le loro immagini sono meno nitide. Se del romanzesco borghese non si sa più che farsene (ed è per questo che Moravia appare oggi, come maestro, morto e sepolto), la capacità strutturante di Italo Calvino appare invece ancor oggi utile, produttiva, imitabile e sviluppabile. E poiché la capacità strutturante di Calvino nasce proprio dall'esperienza della, e dalla riflessione sulla, visione, il libro di Belpoliti viene a battere un ferro caldissimo. (gm)

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POESIA: LE RIVISTE. Aa.Vv., Le regioni della poesia: riviste e poetiche negli anni Ottanta, a cura di Roberto Deidier, Marcos y Marcos, Genova, pp. 214, L. 22.000

Questo è un libro importante (vietato farsi ingannare dalla copertina orribile). Il mese scorso (Nautilus, agosto 1996) segnalavamo il volume a cura di Maria Ida Gaeta e Gabriella Sica, La parola ritrovata: ultime tendenze della poesia italiana (Marsilio, pp. 243, L. 34.000); ora questo volume curato da Roberto Deidier dà un altro bel contributo alla perlustrazione o mappatura della poesia italiana dello scorso decennio, o piuttosto dal 1980 in qua. (Viene da dire: ormai manca solo una buona antologia, e poi avremo gli strumenti per renderci conto di che cosa è successo in questo quindicennio di espulsione della poesia dalla cultura e dalle case editrici.) L'idea del libro è semplice, illuminante nella sua semplicità. Scrive Deidier nella premessa: "Dov'era finita un'intera generazione? Dove si esprimeva, e in che modi? Al lettore non specialista, ma in parte anche agli addetti ai lavori, poteva sembrare che, con rarissime eccezioni, la storia anagrafica della poesia italiana si fosse bruscamente interrotta. Su queste premesse si è formato lo spirito da cui nasce questo libro. Una prima ricerca, quindi, sulla poesia nel mondo delle riviste e delle loro piccole, eventuali filiazioni editoriali, di qualunque provenienza, entità e formato, indagata all'interno di un contesto regionalistico che amplia decisamente l'orizzonte delle contraddizioni e dei dualismi rispetto agli schemi più appariscenti" (p. 10). Dopo due brevi saggi riassuntivi e storicizzanti di Deidier (con asciutta e utile bibliografia) e di Daniela Marcheschi, seguono le descrizioni: "Passaggio a nordovest" di Umberto Silva, "Viste e riviste di poesia in Lombardia: storia e tassonomia" di Rinaldo Caddeo, "Ottanta a nordest" di Fernando Marchiori, "Gli 'immediati dintorni' della poesia in Emilia e in Romagna" di Alberto Bertoni, "Uno sguardo sulla Toscana" di Daniela Marcheschi, "Marche: per una mappa delle 'residenze'" di Daniele Garbuglia, "La 'scuola romana'" di Roberto Deidier, "Verso il sud del mondo: la poesia nelle riviste pugliesi" di Daniele Giancane, "Riviste a mezzogiorno" di Pino Corbo. In appendice le schede editoriali di un'ottantina di riviste, viventi e cessate (si sente la mancanza di un indice dei nomi; ma compilarlo sarebbe stato forse uno sforzo sovrumano, tant'è denso il volume).

I contributi sono, com'è naturale, di diverso spessore e non uniformi nell'impostazione: più storicizzante, ad esempio, quello di Deidier sulla cosiddetta "scuola romana", più appassionato e di parte quello di Fernando Marchiori sulla poesia nelle Tre Venezie, e così via. Nessuno comunque ha l'impianto rigidamente cronachistico, anzi c'è una grande circolazione di idee. Dispiace (ma non poteva essere altrimenti, probabilmente) che la rendicontazione di ciò che è avvenuto a sud di Roma sia meno puntigliosa e dettagliata rispetto alla pressoché completa informazione sul centro-nord.

Aspettiamo, dunque, che qualche coraggioso ponga mano all'antologia. (gm)

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FILOSOFIA E SCRITTURA. Rocco Ronchi, Luogo comune. Verso un'etica della scrittura, Egea, pp. X-144, L. 20.000

Di questo libro ci è sembrato notevole soprattutto il saggio che lo apre, intitolato appunto Verso un'etica della scrittura. "Ciò che l'immagine fa", scrive Ronchi, "è (...) un comunicare l'essere, la durata, nelle cose. Essa non aggiunge quindi nulla, ma disvela, mette in comune ciò che senza di lei andrebbe per sempre perduto." Dove il verbo comunicare non significa quel che intendono quando parlano di comunicazione gli esperti di marketing; ma significa "circolazione, trasmissione e condivisione da parte della comunità di un senso che non si appiccica dal di fuori alla realtà, ma che è la realtà stessa lasciata finalmente essere, resa visibile, pubblica". La comunità è fondata su fondamenti invisibili; la letteratura fa esistere, vedere, durare nel tempo, comunicare questi fondamenti. "Lo spazio ideale di una città (di un luogo comune reso abitabile da una comunità) non può essere sradicato; sopravvive anche quando le sue mura sono state rase al suolo, i suoi palazzi sepolti ed i suoi abitanti fatti schiavi. Non si può infatti distruggere empiricamente ciò che ha le sue radici nell'invisibile."

Il nostro tempo è il tempo della comunicazione (così si dice; e internet ne è l'emblema, si dice anche) ma è anche il tempo in cui, nel nome di un rinnovato senso di appartenenza a una comunità (tecnologicamente fondata), si tenta la liquidazione definitiva della comunità. La ragione filosofica (madre di tutte le ideologie) ha perduta ogni capacità di reale accomunamento tra gli uomini e il mito torna comodo come giustificazione della barbarie etnica. Per la sua capacità di aderire in modo incondizionato alla nudità dell'esistenza, ossia all'assenza di mito, la scrittura può allora (forse) proporsi come luogo comune di un'umanità riconciliata con la propria essenza mortale. Il nobile scopo del saggio di Ronchi è di far vedere il valore etico e fondante (e non più e non solo estetico o consolatorio) della scrittura.

Erano anni che non capitava di incontrare una riflessione così teoricamente spessa e così attuale sulla letteratura. Ci auguriamo che trovi lettori e ascoltatori, non solo tra i filosofi ma - soprattutto - tra gli scrittori, che Ronchi implicitamente invita a tirarsi fuori dalla condizione attuale di produttori di "semplice e sempre più obsoleta ricreazione intellettuale per una società alienata". Tra gli altri saggi compresi nel volume, particolarmente notevole "Lo scatto di una serratura", dedicato a Giorgio Caproni. (gm)

SOMMARIO. Introduzione: Verso un'etica della scrittura. Esempi: Il "senso dell'animo" (Leopardi); Sentire l'irreparabile (Pascoli); Lo scatto di una serratura (Caproni). Appendice: L'evidenza assurda (Tolstoj e Jankélévitch).

Rocco Ronchi è nato nel 1957. Ha pubblicato: Bataille Lévinas Blanchot. Un sapere passionale (Spirali 1985); Bergson filosofo dell'interpretazione (Marietti 1990); La scrittura della verità. Per una genealogia della teoria (Jaca Book 1996). Ha curato: Giovanni Pascoli, L'Era nuova: pensieri e discorsi, Egea 1994.

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UN CD DI KEATS. Steven Brown, Steven Brown reads John Keats: the days is gone & other sonnets, Sub Rosa, CD004-21 (distribuzione: PiaS). Durata: 42'3".

[keats]Questo CD (non recentissimo e abbastanza difficile da trovare) è particolare e molto bello. Alcuni sonetti sono semplicemente letti; altri sono accompagnati da una musica molto discreta e lieve, quasi minimalista ma senza concessioni al genere New Age. Alcuni brevi interludi musicali sono inseriti ogni tre o quattro sonetti. Il pezzo iniziale, che dura poco più di dieci minuti, è un collage di versi singoli o di estratti molto brevi da poesie diverse, tenuto insieme dalla ripetizione (più come un accompagnamento musicale, un riff, che come un ritornello) dei due versi iniziali (e finali) di Fancy (Fantasia): "Ever let the Fancy roam, / Pleasure never is at home" ("Lascia sempre vagare la fantasia, / il piacere non è mai qui"). In questo pezzo Steven Brown a volte sovrappone più volte la sua stessa voce, oppure mescola la voce naturale alla voce filtrata elettronicamente. Il tutto è fatto con molta discrezione e la tecnologia non si sente.

La lettura di Brown non si può definire espressiva o interpretativa (nel senso in cui spesso gli attori parlano di interpretazione): sembra invece molto tranquilla, umile, impegnata nella chiarezza della pronuncia. Brown sta molto attento a far "sentire" il verso (misura, ritmo, rima), riuscendo sempre a non banalizzarlo a cantilena. Molto bella è la Canzone degli opposti (Song of opposites, cioè la poesia che comincia con "Welcome joy, and welcome sorrow", "Siano benvenuti la gioia ed il dolore"), dove pure il rischio della cantilena (soprattutto per un orecchio italiano) è forte.

L'accuratezza del lavoro si vede anche nella ricerca di alcune corrispondenze. Ad esempio il disco inizia con Fancy: "Lascia volare la fantasia, spalancale la porta della mente. I giorni della primavera appassiscono, le gioie dell'estate si consumano; durante l'inverno, quando le notti sono lunghe e gelide, sta vicino al fuoco e lascia andare la fantasia: ti porterà, a rivincita sul gelo, tutte le bellezze che la terra ha perso" ecc.; e termina, simmetricamente, con uno stralcio da What can I do to drive away?: "Come posso togliermi il tuo ricordo dagli occhi? - che ti hanno vista, appena un'ora fa, mia regina splendente! Anche il tatto ha memoria...": così vengono messi in scena sia il potere liberatorio sia quello imprigionante della fantasia e della memoria.

Il disco contiene una dozzina tra i sonetti più celebri di Keats; non comprende invece nessuna delle grandi odi. Alcuni sonetti sono stati registrati all'aperto, nel cimitero degli acattolici di Roma (vicino alla piramide di Caio Cestio), dove si trova la tomba di John Keats. Si sentono, in lontananza, rumori di passi; e il rumore del terribile traffico di Roma. Anziché disturbare questi rumori danno una sensazione di vicinanza, di prossimità; e rendono l'esecuzione particolarmente commovente. (gm)

Al CD sono allegati i testi solo di due sonetti: The Day is Gone e O thou whose face. Risulta essere il primo numero di una collana denominata Psalmodia, ma non abbiamo trovato traccia di altri CD. Le segnalazioni sono gradite.

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RILKE IN MUSICA. Frank Martin, Die Weise von Liebe und Tod des Cornets Christoph Rilke [Il canto d'amore e morte dell'alfiere Christoph Rilke], su testi di Rainer Maria Rilke, per contralto e orchestra da camera, durata 1h.00'52", CD Philips 442 535-2

[martin]Frank Martin (Ginevra 1890 - Naarden [Olanda] 1974) fu musicista abbastanza isolato rispetto alle grandi correnti di rinnovamento della musica novecentesca; restò sempre fondamentalmente un musicista tonale, pur arricchendo man mano la sua tecnica di tutte le innovazioni che gli tornassero utili ai fini espressivi e comunicativi. Nella primavera del 1942, mentre era alla ricerca di testi per comporre un ciclo di lieder, s'imbatté (glielo propose la moglie) nel Canto d'amore e morte dell'alfiere Christoph Rilke. Martin mise in musica quasi tutto il testo, privilegiandone la perfetta intelligibilità, e affidandolo a una voce di contralto. La piccola orchestra comprende due flauti, oboe, clarinetto, sax alto, clarinetto basso, tromba, trombone, batteria, arpa, pianoforte e archi. "Ho cercato per ogni quadro - scrisse Martin - una forma musicale per quanto possibile adeguata alla forma letteraria, in modo da conservare il carattere proprio di ciascun frammento, che sia semplice racconto, descrizione, esplosione lirica o approfondimento tutto interiore dei sentimenti. In breve, ho cercato di restar fedele a questo testo, tanto fedele quanto esigeva la mia profonda ammirazione" (dal libretto allegato al CD). "Martin - ha scritto Armando Gentilucci - ha individuato l'insinuante fascino dell'ingenua composizione e soprattutto ha captato il lirismo sottile del poeta. E' significativo che gli episodi più moderni per la sottile ambiguità tonale e per il trattamento dell'orchestra secondo una struttura timbrica quanto mai umbratile, coincidano con i luoghi espressivi più tipicamente rilkiani (...); al contrario gli accenni illustrativi, ridotti a pochi nuclei (...) sono tenuti saggiamente a una certa distanza (...). Forse con il Canto dell'alfiere Cristoph Rilke, Martin ci ha dato la sua pagina più memorabile" (Guida all'ascolto della musica contemporanea, Feltrinelli 1990, s.v.).

Ottime l'esecuzione e la registrazione.

Jard Van Nes, contralto. Nieuw Sinfonietta Amsterdam diretta da Reinbert De Leeuw.

Libretto in tedesco, francese e inglese.

Scritto da Rainer Maria Rilke nel 1899 (in una sola notte e a lume di candela, dice la leggenda), il Canto fu pubblicato nel 1904 a Praga e, in versione definitiva, nel 1906 a Berlino. Ma solo nel 1912 il Canto, pubblicato in una collana popolare, incontrò quell'enorme favore di pubblico che poi l'accompagnò sempre. Si tratta di 23 pezzi in prosa poetica (molto musicale, ricca di allitterazioni ecc.) nei quali Rilke, rielaborando il mito a lui caro di una propria antica origine aristocratica, racconta la storia tragica del giovanissimo alfiere Cristoph, che muore nel tumulto della battaglia dopo aver colto per la prima volta le gioie dell'amore. Edizione italiana consigliabile del Canto: Studio Tesi, trad. Maria Teresa Ferrari, intr. Serena Burgher Scarpa e Adriana Sulli, pp. XLIII-61, testo a fronte.

Schede

NARRATIVA. Carla Fioroni, Sul perché mio padre non aveva mai voluto un cane, Pair 2000 (Latina), pp. 43, L. 14.000

Titolo: "Racconto dell'amore sfiorato". Svolgimento: "Quell'amore era troppo grande e, paragonato all'immensa tenerezza che il suo amante le offriva, il mondo le pareva un immenso fastidio." Conclusione: "Fu così che non lo cercò più". Fine. Questo è il più breve dei racconti accolti in questa plaquette; non che gli altri, comunque, siano molto più lunghi. Della scrittura di Carla Fioroni colpisce il tono perentorio (anche in alcune uscite gnomiche: "Nulla indebolisce la mente più di una perfetta forma fisica") e la sicurezza del passo nelle zone limite tra verità e racconto: "La storia dell'albero di Natale che un immigrato musulmano regalò a mio padre perché gli aveva offerto alloggio gratis è una storia vera e poiché si svolge in una città in cui tutti si credono cattivi e credono che lo siano anche gli altri si rende necessario che ve la racconti": notiamo la mancanza di virgole, l'uso temerario della parola cattivi, l'espressione si rende necessario. "Voglio raccontare storie senza inventarle", dichiara Fioroni, "limitandomi ad osservare la vita così come essa si svolge perché la realtà non è fatta di storie compiute ma solo di infiniti fatti che si ripetono infinitamente e mutano e si trasformano senza contenere la materia di un romanzo. Quello che ho cercato di fare è proprio questo: (...) [una] descrizione di fatti slegati, banali, abbandonati al loro accadere, insignificanti, pure noiosi, forse. (...) Ritengo che in tentativo di vedere una storia, una trama logica in ciò che accade porti sempre a una forzatura. La realtà, del resto, non contiene trame dal meccanismo perfetto e compiuto e la vita è solo una sorta di catena di montaggio dall'ingranaggio semplice e ripetitivo e se qualcuno ce la racconta qual è rimaniamo delusi." Il risultato non è sempre all'altezza dei propositi; ma le idee sono chiare e le idee chiare servono per fare strada.

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FOTOGRAFIA. Raymond Depardon, La ferme du Garet, Carré (distr. Casterman), pp. 320, FF. 220.

[depardon]Uno dei più bei libri fotografici mai visti; ma anche l'espressione "libro fotografico" gli va stretta. La ferme du Garet è una parziale autobiografia di Raymond Depardon, fotografo dell'agenzia Magnum; ma anche l'autobiografia è solo un pretesto per raccontare la storia della fattoria, costruita su un terreno acquistato attorno al 1870 da Philibert Depardon e Eugénie Tenand, trisavoli di Raymond; e nella quale il fratello di Raymond ancora risiede e lavora. Il racconto si snoda tra foto d'epoca (il primo scatto di Raymond è a p. 53), meticolose didascalie, brani narrativi che più sono aderenti ai fatti e più sono emozionanti per il contenuto affettivo e la delicata malinconia. "Quando siete sull'autostrada A6, due chilometri prima dell'uscita di Villefranche, sulla sinistra, giusto prima di un ponte e in faccia a una grande zona commerciale, per qualche secondo si può vedere un gruppo di case circondate da acacie. E' la vecchia frazione del Garet. E' un posto come ce n'è dappertutto in Francia. Ieri, era la campagna; oggi, è la periferia della città. E domani?" (ns. trad.). Più di un secolo di storia, molte vite, inimmaginabili trasformazioni sono raccontate da questo splendido libro.

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POESIA. Altofragile, foglio di scrittura, n. 5 (foglio unico in grande formato)

Nel quinto numero di Altofragile, foglio di scrittura curato da Franco Arminio, si trovano testi di Paolo Ruffilli, Valentino Zeichen, Daniele Gorret, Carolyn Galser, Livio Borriello, Donato Salzarulo, Andrea Lanni, Umberto di Donato, Maria Martini di Cigala, Domenico Melillo, Daniela Cologgi, Vittorino Curci, Lino Gabellone. Notevole la prosa di Senadin Musabegovic, "Le teste degli scrittori bosniaci": "Nel parco davanti a Svijetlost durante la guerra sono state tagliate le teste alle statue degli scrittori bosniaci. Le teste cadute dai piedistalli mi affascinavano, soprattutto perché mi ricordavano il momento immortale della decapitazione. Le statue acquistavano una forza nuova ai miei occhi (...) Le teste tagliate non possono esprimere il dolore, non sanguinano. Staccate dal corpo sono abbandonate anche dal dolore" (trad. Lidija Dominikovic).

Altofragile può essere richiesto direttamente e gratuitamente a Franco Arminio, via Caravaggio 1, 83044 Bisaccia (Av), tel. e fax 0827-89259.

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POESIA. Dàrsena, trimestrale di letteratura, n. 3/4, ed. minimum fax, Roma, pp. 70, L. 7.000

Il terzo numero di Dàrsena ha come tema o fil rouge "Le distanze"; e alle distanze sono, come di consueto, dedicati gli interventi anonimi (ma perché anonimi?) inframmezzati ai saggi e alle poesie. Da segnalare le traduzioni: di Once poemas romanos di Juan Eduardo Cirlot (a cura di Francesco Ardolino) e di North American Time di Adrienne Rich (a cura di Laura Pugno; un saggio nella sezione LETTURE di questo Nautilus). Belli anche i due interventi, l'uno di Marco Cassini e l'altro di Michele Fianco e Vincenzo Ostuni, su Elio Pagliarani e il suo poemetto, recentemente pubblicato nella sua integrità, La ballata di Rudi (Marsilio). Ciò che sembra interessante, in questa giovane rivista, è la passione di confrontarsi con la poesia nella più completa indifferenza verso gli usuali schemi "generazionali" o "di gruppo"; e la pratica intensiva, umile e orgogliosa, della traduzione.

Dai due numeri precedenti possiamo segnalare: la traduzione quasi collettiva di alcune poesie di Paul Auster, un breve saggio (che si autodefinisce "appunti") sulla poesia di Franco Fortini di Simone Caltabellota (n. 1), e ancora le traduzioni di poesie di Wislawa Szymborska (di Federica K. Clementi, nel n. 2). La redazione è in Piazza dell'Unità 24, 00192 Roma. I nn. 1 e 2 costano L. 5.000 ciascuno.

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POESIA. Il filorosso, semestrale di cultura, gennaio-giugno 1996, pp. 64, L. 10.000

Due cose interessanti, in questo numero del Filorosso (in mezzo a parecchie altre che non sembrano interessanti per niente). La prima è un corposo frammento di Roberto Roversi (Parte terza: Astolfo trasforma sassi in cavalli, vv. 429-533). Di Roversi, uno dei poeti più notevoli del dopoguerra, non occorre dire. La seconda è una poesia (di un centinaio di versi: quasi un poemetto) di Francesco Graziano intitolata: Verso il nuovo millennio (1995), che fa parte di un ciclo iniziato con Verso il nuovo millennio (1988) e proseguito annualmente. Incuriosisce questo progetto di "poesia annuale", e sembrano piuttosto alti i risultati. "Mille volti apparvero nel buio / deformati: sono del passato. / Eppure si diceva che il passato / non torna mai o se torna non fa male. / Mille volti vennero alla luce / più feroci d'un tempo, più assetati. / E vanno nelle strade, nelle case / con gli schermi, deformano le cose / e spaccano la vita col sorriso. // (...) Brucia il sole le carni in fiore di ragazza / col piede frantumato: esplose una granata / sulla spiaggia. Un giovane bronzetto / dall'acqua sale tra barche di cartone / buttate nella notte dal gioco di ragazzi / appese ad aquiloni, pioggia della luna". Sembra di sentire un po' la pronuncia di certi testi del primo Antonio Porta (poesie come Europa cavalca un toro nero e in generale le poesie della raccolta I rapporti). Francesco Graziano, si legge nella rivista, nato a Rossano (Cs) nel 1949, ordinario di italiano e latino nei licei, ha collaborato a varie riviste tra cui Calabria oggi e Periferia con saggi su Montale, Moravia, Pea, Roversi, Satta, Celati, La Cava, Seminara ecc. Sue poesie sono apparse su alcune riviste bolognesi: La Tartana degli influssi, Rendiconti (nota: entrambe fondate da Roversi) e Incontri 2000.

La redazione del Filorosso è presso Gina Guarasci, via Marinella 4, 87054 Rogliano (Cosenza), 0984-961020, alla quale è intestato il conto corrente postale utilizzabile per abbonarsi (n. 12040879; abbonamento a due numeri L. 20.000, per enti e scuole L. 50.000, sostenitore 100.000).

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UNDERGROUND. Letteratura underground, pubblicazione saltuaria di racconti brevi, n. 1, pp. 32, L. 4.000

Sono molto reboanti le intenzioni di questa pubblicazione dall'aria fanzinesca. Dall'editoriale: [vogliamo] "coagulare autori ed idee, alla ricerca di nuove prospettive di lotta sociale anzitutto, e poi nel tentativo di definire quale può essere il posto della letteratura in un qualsiasi processo di rottura. (...) Stimolare quella parte di controcultura che ancora resta nascosta in rifugi sotterranei, bunker asfissianti ma talvolta comodi: contro quel vago senso di appartenenza ad una tribù di alternativi, diversi per statuto ma di una diversità impossibile da argomentare e verificare." (Il riferimento è al "circuito dei centri sociali", che secondo Letteratura underground "segna (...) un momento di stanca e di ritirata, al di là dell'enorme successo di molte iniziative soprattutto musicali.") Il risultato poi è abbastanza scarso. Il tema di questo numero 1 (è esistito uno zero, del quale non abbiamo trovato traccia) è "desideri e sogni", e i racconti pubblicati spiccano soprattutto per ingenuità e per sudditanza (nonostante gli intenti generalmente parodistici) alle regole più elementari dei generi presi a bersaglio. Si distacca dagli altri Miadonna Cibernetic Corporation, di Daniela Gambino, un accettabile esempio di cyber-porno-comic-horror, se così si può dire.

L'indirizzo è: Letteratura underground, via Kramer 19, 20129 Milano, tel. 02-8376207 oppure 02-784188 (con segreteria telefonica e fax), E-mail Lett.Und.{Sostituisci con chiocciola}iol.it. L'invito è esplicito: "chiunque fosse interessato al progetto e volesse dare una mano, a tutti i livelli, contatti la redazione". I testi ricevuti non si restituiscono; è gradita la spedizione di dischetti, meglio se in formato Macintosh. Letteratura underground è in vendita: a Milano: Libreria Utopia, Libreria Calusca, Cuem, Infoshop C.S. Leoncavallo, Librerie Feltrinelli, Libropoli, Infoshop C.S. Garibaldi, Laboratorio Anarchico di via De Amicis, Sqott, Ice Age, Fridge, Birreria Tipota, Centro Giovani di via Forze Armate. A Roma: Infoshop Forte Prenestino, C.S. Auro e Marco. A Bologna: Infoshop Link. A Torino: C.S. Gabrio. A Pavia: Libreria Universitaria. A Padova: Libreria Feltrinelli.


Notizie

Libro e cibo. Ottava edizione di Parole nel Tempo.

IL CIBO. Si svolgerà sabato 21 e domenica 22 settembre al Castello di Belgioioso (Pavia) l'ottava edizione di Parole nel Tempo, che da quest'anno ha deciso di darsi un tema. Il tema scelto è quello del cibo e di quanto ad esso connesso. Questo naturalmente non significa che gli editori invitati saranno solamente quelli che si occupano di ricette o di alimentazione; semplicemente si chiede agli editori presenti di mettere in evidenza in quali volumi del loro catalogo sarà presente l'elemento cibo e mangiare nel significato più ampio. Perché il cibo? Perché - spiegano gli organizzatori - parlare di alimenti non è solo questione, banalmente, di ricette; perché il cibo è parte rilevante del vivere quotidiano, per i luoghi, gli usi e le ritualità che attorno ad esso sono stati costituiti nella nostra come in altre civiltà. Parlare di mangiare significa coinvolgere il nostro stesso modo di rapportarci alla vita e alle persone. Anche attraverso il cibo (o il suo rifiuto) noi comunichiamo, offriamo e ci offriamo, siamo e ci mostriamo.

PIATTOFAX. A latere di Parole nel Tempo vi saranno alcune mostre: una di quadri di artisti italiani con opere strettamente legate al cibo, e un'altra dal titolo Piattofax. Centotrentasei artisti, coniugando due mondi estremi come la tecnologia del fax e l'antico uso della ceramica, hanno inviato attraverso i cavi telefonici disegni che poi sono stati riprodotti su piatti di ceramica, rigidamente nei colori bianco e blu. Tra gli artisti partecipanti: Alessandro Mendini, Gianfranco Ferré, Matteo Thun, Ornella Vanoni, Ingo Maurer, Cinzia Ruggeri e Carla Accardi.

PICCOLI - GRANDI: LETTERATURA E POESIA DEL NOVECENTO ITALIANO. A fianco di Parole nel Tempo vi sarà un'esposizione di libri di poesia del nostro secolo. Saba, Montale, Bertolucci, Ungaretti, Pavese: nomi sulla bocca di tutti. Ma Minardi, Ribet, Parenti, Solaria, Il Selvaggio, in quale angolo dell'immaginario collettivo si trovano? L'esposizione vuole valorizzare il ruolo avuto dai piccoli editori e dalle riviste. La poesia è spesso stata pubblicata in zone fisicamente e intellettualmente lontane dalla grande editoria: I Canti anonimi di Rebora econo nel 1922 a Milano presso il Convegno Editoriale; i Lirici greci di Quasimodo nel 1940 per le Edizioni di Corrente, gli Ossi di Seppia di Montale furono pubblicati nel 1925 da Piero Gobetti... Al Castello di Belgioioso questi ed altri volumi saranno esposti al pubblico: una rassegna unica nel suo genere, di autori che hanno segnato il nostro secolo e di editori piccoli, a volte senza mezzi, a volte mecenati sempre curiosi, intelligenti e ambiziosi.

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Computer music, computer poetry

LE STANZE DI PROMETEO: RASSEGNA INTERNAZIONALE SULL'ARTE INTERATTIVA. 26-27 ottobre 1996, Padova, Palazzo del Monte, Piazza Duomo 14. Organizzato dall'associazione Scritture & Oltre (Giuseppe Di Meo, Piero Olmeda, Silvano Onda, Graziano Tisato). Con la collaborazione del Centro di calcolo dell'Università di Padova, di IM-Internet & Multimedia, Iris, Sum Microsystems Italia, Virtualife. Informazioni: Graziano Tisato, via Bachelet 5, 35010 Vigonza (Pd), tel. 049-8931220 o 049-8273753, E-mail tg{Sostituisci con chiocciola}nexttis.unipd.it.

Programma. Musica: 26.10.96, ore 21: James Dashow, First tangent to the givin curve per pianoforte e suoni generati dal computer; Gianantonio Patella e Carlo De Pirro, Tape 1, per pianoforte e suoni di sintesi; Jonathan Impett, Songline, per meta-tromba e sistema di elaborazione ISPW (Ircam Signal Process Workstation); Agostino Di Scipio, Cinque piccoli ritmi, su testo di Humberto Maturana; Carlo De Pirro, Doppio, mosaico, con voce, per pianoforte, pianoforte campionato e suoni campionati.

Poesia: 27.10.96, ore 21: Agostino Di Scipio, Simul per attrice e sistema interattivo su testi da Gianni Toti; Giuseppe De Meo: Prometeo o Pandora, recital intorno al mito; Piero Olmeda, Studi sulla poesia e sul tempo, per computer Next e sistema di elaborazione ISPW; Giancarlo Cauteruccio (Inter Art/Krypton), Performance di luce.

Scrittura creativa: Giulio Mozzi, Da Pinocchio al videogame: i congegni della narrazione, stage di scrittura creativa.

Computer Art: Giulio Menegazzo (VirtualLife), Il museo immaginario, percorso virtuale fra Vincent Van Gogh e Leonardo da Vinci; Roberto Bresin (IM-Internet & Multimedia), Surfing Art, navigazione nello spazio delle arti virtuali.

E inoltre: James Dashow, Media survival kit, satira lirica in tre parti per radio, su testo di Bruno Ballardini; Marco Stroppa, Proemio, opera radiofonica per coro e suoni di sintesi e In cielo in terra in mare, opera radiofonica per otto voci e suoni di sintesi; Michelangelo Lupone, In un grattacielo, radiofilm su testo di Enrico Palandri; IRIS, workstation in tempo reale per il controllo dello spazio sonoro.

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