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La conclusione a sorpresa di una ricerca sulle aspettative e sull'immagine "pubblica" del lavoro manuale nell'industria: per le nuove generazioni il mestiere in tuta blu è il peggiore di tutti. Preferiscono perfino fare i contadini. Anche se ci sono dei Cipputi, oggi, super pagati. Così l'impresa, piccola e grande, si trova di fronte al problema di trovare manodopera

Operaio? Meglio disoccupato

"Gli immigrati hanno coperto la prima falla. Ma per superare l'impasse bisogna ridare prestigio alla figura del manovale tra i giovani. E la risposta può venire dalla scuola"

A dire il vero il sospetto lo avevano in molti. Ma sembrava più un' impressione, quasi un discorso da bar. Invece adesso arriva la conferma ufficiale, grazie "ad una ricerca sulla cultura del lavoro come non se ne facevano più da almeno dieci anni", come spiega l'autore. E quello che dice non è facile da mandar giù: nel mondo del lavoro la specie più a rischio di estinzione è quella dell'operaio. E non solo quello in tuta blu, con le chiavi inglesi in mano. Ma anche quello specializzato, più sofisticato. Il problema però non è che sparisce perché non serve più o è superato: anzi, mai come ora le industrie piccole o grandi chiedono manodopera: tanta, generica, qualificata, specializzata. E ben pagata. Quella che è cambiata è l'immagine dell'operaio nelle nuove generazioni. Perché i giovani di quel mestiere in fabbrica, anche se di responsabilità, super specializzato, certo diverso dal Cipputi di trent'anni fa e con stipendi anche di 3 milioni al mese, non ne vuol più sapere.
Fare l'operaio? "Come fare il contadino" hanno detto gli studenti intervistati per la ricerca curata da Daniele Marini per conto dell'associazione industriali della provincia di Vicenza e della Fondazione Corazzin. "Il posto del lavoro - aspettative immagini del lavoro manuale nell'industria" si chiama lo studio. E le aspettative, a quanto pare, non riguardano certo il mestiere di operaio. Che finisce ultimo (ma proprio ultimo) nella classifica del "prestigio" assegnato al lavoro manuale da studenti (1254 gli intervistati), giovani lavoratori (304) e lavoratori adulti (153, ma sono anche i più morbidi).

Insomma un futuro senza manodopera? Per Daniele Marini "tratte conclusioni è difficile per tutti. L'indagine voleva capire il margine del lavoro operaio nell'industria. Pensare che abbiamo a che fare con una professione centrale perché la domanda da parte dell'impresa è alta. E per la piccola industria l'operaio specializzato è una figura cardine. Ma nonostante questo resta marginale come status, per le nuove generazioni l'immagine del lavoro operaio resta negativo. Come lo sono le industrie tra i luoghi di lavoro. Così prime in classifica sono le piccole realtà, ultime le grandi aziende. La conclusione? Che bisogna ridare immagine al lavoro operaio, alla manodopera. Bisogna spiegare che un caporeparto in un'officina metalmeccanica vale più di un ragioniere".

Un lavoraccio, forse senza speranza e con l'incognita di un futuro economico e sociale per niente chiaro alle porte. Così l'angoscia viene immediata: come le riempiamo le fabbriche adesso? "Un po' con gli immigrati - spiega sempre Marini - ma non si risolve tutto. L'altra linea di intervento, soprattutto a Nord est, è l'orientamento scolastico, la formazione. Ma anche la promozione dell'immagine. Certo si tratta di incidere sull'immaginario collettivo, impresa difficile. Insomma, c'è qualcuno che ricorda una sola pubblicità stampa o tv sugli operai?".

Ecco comunque i risultati sintetici della ricerca "Il posto del lavoro"

Associazione Industriali

della Provincia di Vicenza

Fondazione Corazzin

Venezia






Estratto della ricerca

IL POSTO DEL LAVORO

Aspettative e immagini del lavoro manuale nell'industria






Settembre 1996






I risultati in sintesi

La ricerca di cui qui presentiamo in modo sintetico i principali risultati ha come obiettivo lo scandagliare le aspettative e le attese, l'immagine nei confronti del lavoro manuale e, in particolare, di quello svolto in fabbrica. Il percorso dell'indagine si è sviluppato prevalentemente utilizzando strumenti standardizzati come il questionario. Nella fase preliminare, invece, sono stati utilizzati metodi più espressamente di natura qualitativa.

L'indagine è stata preceduta da una decina di interviste in profondità ad alcuni imprenditori vicentini, i cui esiti sono serviti nella messa a punto dei problemi principali oggetto dell'indagine e per la costruzione dei questionari. A questa prima fase è seguita una rilevazione che ha coinvolti un campione di studenti frequentanti le classi terminali dei diversi istituti della provincia di Vicenza (1254, pari ad una copertura campionaria del 23% dell'universo); un campione di giovani lavoratori di età compresa fra i 21 e i 24 anni (304 casi); un campione di controllo di lavoratori adulti di età compresa fra i 40 e 55 anni (153 casi). Questi ultimi due gruppi di intervistati sono stati estratti casualmente da una lista di nominativi di dipendenti di alcune aziende iscritte all'Associazione Industriali della Provincia di Vicenza, a sua volta sorteggiate casualmente fra quelle iscritte all'Associazione.

Le diverse rilevazioni sono state realizzate fra gennaio e maggio del 1996 e hanno previsto un colloquio in profondità con gli imprenditori; un questionario somministrato in classe agli studenti sotto la guida di docenti adeguatamente preparati; interviste face to face ai giovani lavoratori; una intervista telefonica ai lavoratori adulti. Va da sé che una parte consistente dei questionari avevano domande analoghe al fine di consentire un confronto.

La ricerca, realizzata dalla Fondazione G. Corazzin di Venezia, è stata promossa dall'Associazione Industriali della Provincia di Vicenza.

Daniele Marini ha progettato e diretto l'indagine. Al lavoro ha contribuito anche lo staff della Fondazione, composto da Alessandro Castegnaro e Valerio Belotti. Cristina Ghiotto, oltre alla realizzazione delle interviste agli imprenditori, ha avuto la responsabilità operativa e ha coordinato i rilevatori nelle diverse fasi della indagine. Cristina Toniolo, dell'Associazione Industriali della Provincia di Vicenza, ha fornito il supporto tecnico e operativo per la realizzazione della medesima.

Daniele Marini è responsabile della elaborazione dei dati e della stesura del rapporto di ricerca finale.

Gli studenti

L'indagine svolta su questa porzione di universo ha messo in risalto, in primo luogo, alcune costanti che le ricerche su queste problematiche evidenziano.

La componente femminile mostra migliori performances rispetto ai coetanei dell'altro genere: per più tempo rimangono nei circuiti formativi proseguendo nei livelli superiori dell'istruzione, ottengono risultati migliori e subiscono minori bocciature nella loro carriera scolastica. Tuttavia, rimane lo stereotipo di una scelta scolastica di carattere sessista, ovvero a taluni indirizzi di istruzione si iscrivono in netta prevalenza le femmine (magistrali, alcuni dell'istruzione professionale, per esempio), mentre sembra essere ancora preclusa la scelta verso altri indirizzi ritenuti tipicamente maschili (taluni indirizzi professionali, gli istituti tecnici industriali e così via).

Al termine del percorso dell'istruzione secondaria circa un giovane su cinque (22%) giunge avendo ripetuta almeno una classe e, come detto, ciò vede coinvolti in misura maggiore i maschi rispetto alle femmine.

Le scuole maggiormente selettive si confermano essere quelle dell'istruzione professionale (30%), seguite dagli istituti tecnici (22%), dagli istituti magistrali e dall'istruzione artistica (16%), infine dai licei (14%).

Un aspetto peculiare emerso dalla ricerca è quello relativo alle disuguaglianze di fronte alle opportunità dell'istruzione. Il ceto sociale di appartenenza pesa ancora in modo significativo nelle scelte scolastiche, così i figli degli operai e dei piccoli imprenditori privilegiano tuttora indirizzi scolastici il cui titolo sia spendibile sul mercato del lavoro in tempi brevi (istituti professionali e tecnici). Viceversa, chi proviene da famiglie del ceto medio dipendente e della borghesia si orientano maggiormente verso i licei. Tuttavia, nel prosieguo della carriera scolastica, questo fattore di discriminazione iniziale viene stemperando la propria influenza e si fa più visibile quello del capitale culturale posseduto dalla famiglia di origine. In altri termini, le attese e le aspettative nei confronti del futuro lavorativo dei propri figli gioca un ruolo propulsivo nei confronti dell'istruzione e nel sostenere i giovani studenti nel proseguire la carriera scolastica.

La scelta della scuola dopo l'obbligo si conferma come un passaggio particolarmente cruciale. In generale, si stima che poco meno della metà degli studenti (45%), e in misura maggiore quelli di genere femminile, si sia mobilitato attivamente alla ricerca di informazioni circa l'indirizzo formativo da intraprendere. Perlopiù le fonti a cui attingono sono, nell'ordine, la famiglia, gli insegnanti e gli amici. Ma, in realtà, il punto di riferimento centrale nel processo decisionale è rappresentato dalla famiglia (71%) e soprattutto è la madre (40%) a rappresentare la persona con la quale i giovani confrontano le proprie scelte.

Il giudizio espresso dagli studenti nei confronti delle attività relative all'orientamento e alla scelta scolastica mettono in luce diversi chiaroscuri. Le attività organizzate dalle scuole sono giudicate inadeguate (68%) e non di rado la scelta di iscriversi ad un determinato indirizzo di studi risulta casuale (23%) o seguendo l'esempio degli amici (15%). Le informazioni possedute sono generalmente scarse e neppure si conosce dove reperirle (57%).

Allo stesso tempo, le opinioni degli studenti intervistati sulla scuola frequentata e sugli insegnanti fanno trasparire le aspettative delle giovani generazioni. La scuola delude sotto il profilo dell'imparare a partecipare responsabilmente alla vita sociale e politica (64%) e un terzo fra loro (32%) ritiene che la formazione vera si possa acquisire solo sul lavoro. Ciò non di meno, tre studenti su quattro (76%) intravede nello studio che la scuola offre una importante opportunità per la propria vita, ma nel contempo la quasi totalità (92%) chiederebbe alla scuola l'opportunità di sperimentare un lavoro finché studia.

Per quanto attiene agli insegnanti, invece, gli studenti vicentini non vedono in essi persone particolarmente severe (32%) o, all'opposto, docenti troppo arrendevoli (14%). Piuttosto non si sentono sufficientemente considerati nelle loro esigenze e aspettative (66%) e ritengono i propri insegnanti scarsamente preparati nelle loro materie (45%).

In relazione al proprio futuro scolastico poco più di uno studente su quattro (27%) intende proseguire gli studi accedendo ad un percorso universitario e, com'è facile intuire, ciò coinvolge soprattutto gli studenti liceali (66%), piuttosto che quelli dell'istruzione magistrale e artistica (31%), degli istituti tecnici (19%) e professionali (8%). Un terzo degli studenti (35%) prevede di cercare immediatamente un lavoro e il 23% ipotizza di trovare un lavoro che lasci però un margine di tempo per continuare a studiare, mentre il restante 15% si dichiara ancora indeciso sul da fare.

Più spesso, la rappresentazione di una scuola scarsamente collegata al mondo del lavoro non permette di scorgere le esperienze individuali e autonome di raccordo e di alternanza informale che le nuove generazioni sviluppano. Basti pensare che ben il 61% finché studia o, più spesso, durante l'estate svolge attività lavorative di varia natura.

In definitiva, l'immagine e il peso assegnato dagli studenti vicentini all'istruzione è legata in buona misura alla gratificazione e alla realizzazione personale. L'istruzione viene considerata soprattutto un mezzo per raggiungere il successo personale (80%) e per avere soddisfazioni nella vita (79%). Sembrano perdere di peso, invece, altre dimensioni maggiormente collegate al ruolo e alla valenza sociale del possedere una istruzione (65%), quindi ad una sua spendibilità all'interno di una progettualità più ampia rispetto all'ambito individuale. Oltre che, meno di un tempo, considerare l'acquisizione di un titolo di studi un mezzo per dare senso alla propria vita (61%).

I lavoratori

In generale, i giovani lavoratori intervistati presentano condizioni di lavoro migliori rispetto ai loro coetanei di altri contesti territoriale, così come gli esiti di altre indagini svolte a livello nazionale rivelano: basti pensare che il 72% è assunto a tempo indeterminato, mentre un'indagine svolta fra i giovani lavoratori a bassa scolarità svolta in Italia evidenzia come in una medesima condizione si trovi il 32%.

Com'era facile attendere, la loro provenienza sociale è polarizzata su famiglie di lavoratori manuali (51%), ma ciò non toglie che anche per questa fascia di giovani lavoratori si conosca una mobilità professionale ascendente. Secondo opportuni confronti, possiamo stimare che il 29% di giovani i cui genitori sono lavoratori manuali, è attualmente occupato in mansioni di carattere impiegatizio, rivelando appunto una mobilità professionale ascendente. Questa stima si avvicina e supera leggermente quella calcolata da altri indagini nazionali, secondo cui la probabilità di un figlio di operai di svolgere una mansione non manuale è in Italia pari al 20%.

Questa mobilità è in parte frutto anche di una maggiore scolarizzazione media delle stesse nuove generazioni di lavoratori. Nel campione di lavoratori adulti intervistati a possedere al più la licenza dell'obbligo risulta essere il 74%, mentre fra le nuove leve di lavoratori la soglia scende al 32%. La tendenza all'aumento di scolarizzazione è testimoniata da quanti portano con sé una qualifica professionale (22%; 10% adulti) o un diploma (45%; 15% adulti). Piuttosto, quello che viene rilevato è la scarsa propensione a proseguire nei livelli di istruzione ulteriore cosicché la quota di forza lavoro laureata giovane non si discosta dalla media nazionale e dai lavoratori adulti (1% in tutti e tre i casi).

Questo risultato ha presumibilmente un effetto positivo anche nei confronti della eventuale formazione professionale da intraprendere in vista di miglioramenti per la propria carriera lavorativa. Tre giovani lavoratori su quattro (78%) la ritengono uno strumento valido per migliorare la propria posizione lavorativa e, in generale, poco più della metà (52%) fra di loro dimostra una disponibilità effettiva ad intraprendere un percorso di formazione professionale.

La scelta del lavoro, così come quella scolastica, presenta diverse insidie e per molti non avviene sotto i migliori auspici. Quasi la metà fra i giovani lavoratori hanno fatto il loro ingresso ufficiale nel mondo del lavoro possedendo scarse informazioni e senza sapere dove trovarle (48%) e il giudizio nei confronti delle attività di orientamento professionale promosse dalla scuola è di inadeguatezza nell'aiutare a compiere la scelta lavorativa (68%). In generale, dunque, possiamo stimare che solo il 46% degli intervistati possedeva al momento di cercare un lavoro un livello sufficiente di informazioni che lo orientassero nella scelta.

Anche in questo caso, come per la scelta scolastica, la famiglia rappresenta il punto di riferimento centrale con la quale confrontare le opportunità di lavoro che si presentano, ma anche le strategie da attivare. Per l'87% degli intervistati, dunque, la famiglia e le reti parentali costituiscono il punto d'appoggio fondamentale. Di più, all'interno di questa rete, è ancora una volta la figura materna (52%) a consigliare e orientare i destini professionali delle nuove generazioni.

I giovani lavoratori dimostrano una rilevante mobilitazione sul mercato del lavoro, in particolare la componente maschile, mentre le lavoratrici manifestano una maggiore stabilità e identificazione con la propria occupazione. Basti considerare che poco meno della metà dei giovani lavoratori (46%) al momento dell'intervista aveva già cambiato almeno un lavoro stabile. Ancora, un terzo fra essi (33%) sta attivamente cercando un'altra occupazione, in particolare fra i più giovani e i lavoratori manuali.

L'orizzonte di riferimento entro la quale si sviluppa una mobilità sul lavoro vede sullo sfondo il lavoro autonomo. In altri termini, l'aspirazione maggiore è quella del potere intraprendere un'attività in proprio poiché ritenuta più rispondente alla realizzazione delle capacità professionali individuali (80%).

Sotto questo profilo, la scala sociale delle professioni, così come riflettuta dai nostri intervistati offre interessanti spunti. Per tutti e tre i gruppi intervistati, al primo posto di questa scala sociale vengono collocati gli imprenditori e i liberi professionisti a cui fanno seguito con ordini diversi gli altri tipi di professione. In ogni caso, ancora per tutti gli operai vengono collocati al gradino inferiore di questa scala virtuale e perlopiù paragonati ai contadini. Allo stesso tempo, è opportuno sottolineare come la maggioranza dei lavoratori, sia giovani che adulti, manifesti la percezione di svolgere un lavoro di pari importanza sociale rispetto anche ad altre professioni anche autonome (artigiani, commercianti).

Un riscontro ulteriore alla scala sociale delle professioni viene dall'esame dei posti di lavoro ritenuti migliori rispetto al lavorare in fabbrica. I luoghi maggiormente ambiti per i giovani sia studenti che lavoratori sono rappresentati dai piccoli uffici privati e dal piccolo negozio o dallo svolgere l'attività di rappresentante. All'opposto, il posto meno ambito è proprio il lavoro nella grande industria e in fabbrica.

La ricerca di un lavoro risponde ad alcuni criteri e aspettative che i giovani manifestano. In particolare, essi pongono l'accento sulle dinamiche relazionali che si possono sviluppare negli ambienti di lavoro (99%), sull'ambiente che sia sano e non nocivo (95%), su di un'attività varia e interessante (93%), su di un lavoro che offra una paga sufficiente e sicura (92%).

I criteri utilizzati nella selezione al momento dell'assunzione rispondono, invece, ad altre dimensioni. Soprattutto hanno prevalenza i criteri soft e con riferimento alla sfera comportamentale e cognitiva, mentre un peso inferiore è assegnato alle abilità tecniche e professionali. La capacità di adattamento (74%), il sapersi rapportare con gli altri (56%), la flessibilità negli orari (54%) appaiono i criteri maggiormente utilizzati per scegliere i nuovi assunti. Un peso minore, ad esempio, viene attribuito al titolo di studio posseduto (47%) o all'avere avuto precedenti esperienze nel settore (29%) e ad altre dimensioni più squisitamente professionali.

In generale, i giovani lavoratori intervistati manifestano una buona soddisfazione nei confronti della propria occupazione (79%), e in particolare fra gli impiegati (85%) piuttosto che fra gli operai (75%). Tuttavia, mediante opportune elaborazioni, abbiamo definito una tipologia di lavoratori in relazione alle attese e al livello di soddisfazione nei confronti del lavoro attualmente svolto. Abbiamo così identificato quattro tipi di giovani lavoratori: i realizzati (68%) che rappresentano la maggioranza, i demotivati (14%), gli adattati (11%), i frustrati (7%). Dunque, complessivamente intesa è possibile stimare un'area di malessere nei confronti del lavoro che interessa il 21% dei giovani lavoratori intervistati.

Le problematiche emerse

I risultati della ricerca compiuta mettono in luce, oltre ad una rilevante mole di dati e di informazioni, alcune problematiche sufficientemente definite che qui prendiamo in esame per delineare le questioni centrali.

1. La famiglia come setaccio. L'indagine conferma e in qualche misura amplifica ulteriormente il ruolo centrale assunto dalla famiglia e dalle reti parentali nei processi decisionali. Di per sé il risultato non deve stupire oltre misura ed appare abbastanza "naturale" che i giovani si rivolgano prevalentemente ai genitori per decidere sui propri destini scolastici e professionali. A destare attenzione sono invece altre dimensioni insite in questo comportamento.

Innanzitutto, la famiglia continua (o, forse, oggi ancora di più) a rappresentare una sorta di setaccio informativo e di orientamento. Essa sulla base delle informazioni di cui dispone, nonché delle attese e delle aspettative nei confronti dei propri figli prefigura ancora in buona misura i destini scolastici e professionali delle nuove generazioni. Il ceto sociale di appartenenza e il clima culturale continuano ad essere fonte di disuguaglianze di fronte alle opportunità formative e lavorative. Dunque, non viene meno il peso e, per converso, la debolezza delle famiglie quale fulcro del processo decisionale.

In secondo luogo, viene confermato il ruolo della figura materna quale soggetto orientatore, e non solo come confidente o fonte di affetto. Sia presso gli studenti e in misura maggiore presso i giovani lavoratori è la madre, più che il padre, a confrontarsi con i figli (sia maschi che femmine) sulle scelte importanti circa l'indirizzo scolastico da intraprendere, ma soprattutto su quella professionale e lavorativa. Se per un verso va sottolineata e valorizzata questa funzione, d'altro canto il livello medio di studi posseduto nonché la collocazione lavorativa pongono qualche interrogativo circa la effettiva padronanza delle informazioni necessarie a prendere una decisione pertinente con le trasformazioni avvenute e quelle in corso. Ovvero, le scelte devono essere compiute in un contesto complesso e complicato, in cui è assai difficile prefigurare scenari futuri all'interno dei quali indirizzare le nuove generazioni. In che modo le famiglie possano coniugare questa centralità nel processo decisionale con una capacità di selezionare e ordinare le informazioni in modo utile, resta un interrogativo da esplorare e sul quale intervenire a sostegno delle famiglie medesime.

2. L'orientamento disorientato. La riflessione scientifica e teorica sui modelli di orientamento ha conosciuti in questi anni un rilevante sviluppo, a cui però non è seguita una pratica effettiva, in particolare all'interno del sistema formativo. L'orientamento scolastico perlopiù si traduce in alcune iniziative di carattere sporadico e secondo la forma delle conferenze dove alcuni esperti illustrano le informazioni disponibili e gli scenari maggiormente plausibili. Ben più di rado è invalsa invece la prospettiva di declinare l'orientamento secondo una prospettiva processuale e curriculare all'interno dell'istruzione. Così, il giudizio degli studenti e dei lavoratori nei confronti delle attività di orientamento organizzate dalle scuole risultano sostanzialmente negativi e considerati inadeguati ad aiutare il processo di scelta.

Le stesse informazioni, poi, sono di difficile reperibilità, non si sa dove trovarle e paradossalmente ciò avviene nella società dell'informazione. Dunque, i flussi informativi non investono in modo indiscriminato i soggetti e, più spesso, avviene che ad essere esclusi dal circuito dell'informazione sono proprio coloro i quali ne necessiterebbero in misura maggiore. O, ancora, i messaggi esistenti non sono da loro raccolti poiché non sono in grado di coglierli, sono espressi secondo codici a loro non usuali. A tutto ciò si unisce anche una attività nella ricerca delle informazioni che più di rado avviene al di fuori della sfera familiare, amicale e scolastica, e in particolare proprio fra i giovani appartenenti alle famiglie dei ceti sociali manuali dipendenti e in possesso di un basso capitale culturale.

Implicitamente viene espressa una richiesta nei confronti di una delle poche istituzioni in grado di offrire una "educazione al sapere scegliere". Consapevoli che un'educazione alla scelta non può significare solamente offerta di informazioni più o meno attraenti e in modo tecnologicamente avanzato. L'informazione costituisce una condizione necessaria ma non sufficiente, poiché è fondamentale intervenire nelle modalità di svolgimento del processo di scelta, al fine di rendere i soggetti autonomi e in grado di usare gli strumenti necessari.

3. Il "salto" dalla scuola al lavoro. La fase di vita individuabile nella transizione dalla scuola al lavoro rappresenta sicuramente un momento cruciale per un giovane. Senza per questo motivo cadere in una visione deterministica, ciò non di meno un cambiamento di condizione vissuto e percepito in modo gratificante può costituire un buon auspicio per il percorso successivo. Il cambiamento della condizione da studente a lavoratore non costituisce solo un mutamento di condizione sociale, appunto. I mondi di vita entro i quali i giovani transitano tendono ad avere regole, norme e riferimenti meno sovrapponibili rispetto ad un tempo. Ognuno di questi (la famiglia, la scuola, l'azienda, il gruppo dei pari e così via) sviluppa riferimenti che sono propri e ai quali i soggetti devono sapersi adattare.

Studente e lavoratore non rappresentano però nell'esperienza dei giovani vicentini condizioni di vita nettamente separate. I giovani sperimentano già finché studiano una rilevante esposizione sul lavoro. Si tratta per la maggioranza di attività percepite con la lente dell'autonomia dalla famiglia, della gratificazione personale. In misura minore rappresentano un vero e proprio "orientamento" al lavoro. Anche perché non hanno la possibilità di sedimentare le esperienze, perlopiù non sono eventi strutturati, ma lasciati all'informalità, alla buona volontà dei singoli, alle necessità delle imprese di famiglia.

Ecco, allora, che il cambiare dalla scuola al lavoro rappresenta un compito evolutivo per i giovani, dove sono posti in discussione le proprie conoscenze, i propri riferimenti. Viene così richiesto di sviluppare abilità cognitive tali da sapersi rapportare e muovere adeguatamente fra un ambiente e l'altro. E poiché maggiore di un tempo è la separatezza fra i diversi mondi, maggiore è la difficoltà per le nuove generazioni nell'assumere la flessibilità, le abilità psicologiche e cognitive necessarie per farvi fronte. Si pone qui l'interrogativo, allora, circa qual è il soggetto o i soggetti in grado di sostenere le nuove generazioni nel preparare e nell'affrontare questa fase di transizione, senza per questo cadere in forme di "assistenza" o di "protezione" di fronte al rischio e alla responsabilità richieste dall'assunzione di nuovi ruoli. Piuttosto, in virtù della maggiore discontinuità fra gli ambienti di vita, va riflettuta l'opportunità di sviluppare momenti di socializzazione anticipatoria al lavoro e di sedimentazione dell'esperienza.

4. Il lavoro immaginato. Da ultimo, ma non certo per importanza, veniamo all'oggetto centrale della ricerca svolta, l'immagine del lavoro. Il lavoro continua ad avere un'importanza fondamentale nell'orizzonte di vita delle giovani generazioni. La sua centralità però è in condominio con altre dimensioni come la famiglia, il tempo libero, gli amici. L'immagine del lavoro si differenzia a seconda dei generi. La componente femminile dei giovani lavoratori è mediamente più istruita, al lavoro lega le dimensioni della stabilità e della sicurezza, manifestano una maggiore soddisfazione e identificazione nella mansione svolta. Per converso, i maschi possiedono livelli di istruzione mediamente inferiori, sono leggermente meno soddisfatti e mostrano una maggiore mobilità e ricerca di nuove opportunità di lavoro. Così, mentre per le prime le strategie di investimento professionale e di carriera sono prevalentemente rivolte all'interno delle aziende in cui sono impiegate, per i secondi tali strategie tendono a svilupparsi per linee esterne all'attuale occupazione.

Allo stesso tempo, il lavoro raccoglie anche una pluralità di significati, si coniugano in esso aspetti diversi e fra loro complementari. Prevale la dimensione espressiva e realizzativa dove l'accento è posto sulle possibilità di sviluppare relazioni significative e una comunicazione all'interno dei luoghi di lavoro, sulla opportunità di ottenere gratificazioni personali e riconoscimenti sul lavoro svolto. E a queste si coniuga anche la dimensione garantista caratterizzata dalla stabilità del proprio posto di lavoro e soprattutto da una remunerazione adeguata alle mansioni svolte.

Questa immagine si differenzia da quella dei loro "padri", dai lavoratori più adulti che come loro sono occupati in azienda? Sulla base delle elaborazioni compiute possiamo affermare che nella sostanza il significato intrinseco del lavoro rimane, viene tramandato. Il lavoro è un mezzo per dare significato alla propria esistenza, per ottenere soddisfazioni dalla vita, per raggiungere il successo personale. Gli adulti più dei giovani, però, declinano il lavoro anche sul versante della sua utilità e, quindi, in una dimensione di maggiore progettualità, di ruolo e di rapporto sociale. Per i giovani, invece, è la dimensione soggettiva e individuale ad apparire prevalente, come se il lavoro si risolvesse - anche se non in modo esclusivo - entro la sfera della realizzazione personale, delle relazioni significative, della comunicazione dotata di senso.

Che questo risultato possa essere influenzato dalla fase di vita dei giovani intervistati (che ricordiamo sono poco più che ventenni) è abbastanza plausibile. Di più, per quanto riguarda i comportamenti nel tempo libero, fatte le debite proporzioni in termini di ore libere disponibili, i giovani lavoratori manifestano tendenze non dissimili dai loro coetanei studenti. In questo senso, i giovani lavoratori al di fuori del luogo di lavoro risultano "invisibili": sono connotati dal fatto generazionale e meno dalla loro condizione sociale. Il tipo di amicizie, i luoghi di incontro, l'andare in discoteca, i temi del dialogo affrontati con gli amici non si differenziano tra studenti e giovani lavoratori. Parimenti avviene per i riferimenti valoriali poiché le nuove generazioni di lavoratori sono più simili ai loro coetanei, che ai colleghi adulti in fabbrica.

Dunque, il valore del lavoro è importante, ma al pari di altre dimensioni. Tuttavia, questo affollarsi al centro di diversi aspetti, questa molteplicità di riferimenti tende a fare perdere di attrattività e identificazione con ciascuno di essi, lavoro compreso. Così, per le nuove generazioni l'orizzonte simbolico si allarga e viene maggiormente declinato secondo una prospettiva soggettiva.

La soggettività espressa negli orientamenti, a sua volta, trova alimento ed è amplificata dal concorrere di altri aspetti. Per un verso, continua a permanere la propensione ad immaginare il proprio futuro lavorativo segnato dall'autonomia, dall'intraprendere un lavoro in proprio, poiché considerato maggiormente rispondente alle proprie aspettative e perché in questo modo le proprie capacità possono essere messe maggiormente a frutto. Per l'altro, le condizioni di partenza e di contesto sono mutate rispetto a quelle conosciute dalle generazioni precedenti. I giovani lavoratori si avviano al lavoro con un livello di istruzione più elevato e queste risorse si traducono in un livello di aspettative verso la futura occupazione che non di rado si scontra con una realtà occupazionale diversa da quanto atteso. Di qui, la ricerca di nuove e diverse occasioni di lavoro, l'interrogarsi sul senso del lavoro svolto, il lavoro che provoca stress psicologico, il criticare l'organizzazione del lavoro e così via. Anche il contesto presenta condizioni maggiormente favorevoli, poiché le opportunità di lavoro sono ancora rilevanti e a buona parte dei giovani intervistati è stata data la possibilità di scegliere fra più offerte.

Allora, il lavoro si caratterizza in misura crescente come scelta e diminuisce il carattere di necessità. Per molti giovani lavoratori la spinta a cercare un'occupazione è legata al bisogno di autonomia, alla ricerca di gratificazione personale. Chi dispone di risorse culturali ed economiche può proiettarsi sul mercato con l'atteggiamento del "navigatore", sperimentando le occasioni che si presentano, ma anche potendo decidere di rimanere in attesa di quella ritenuta più propizia. In questi casi è plausibile ipotizzare che il lavoro sia declinato secondo una prospettiva di "percorso professionale" e meno come "posto". Chi, invece, ha minori risorse a disposizione più facilmente sperimenta una "mobilità" professionale per alcuni ascendente, per altri orizzontale o discendente, segnata così dal cambiare lavoro occupando però medesime mansioni.

In ogni caso, questa tensione ad una mobilitazione individuale sul mercato del lavoro e a declinare soggettivamente la professionalità non può non porre interrogativi tanto sul versante della identificazione con l'azienda in cui si lavora, con i suoi obiettivi e i traguardi da raggiungere e altrettanto sul versante del rappresentare la domanda di lavoro in modo organizzato.

I problemi e gli interrogativi più rilevanti vengono da una parte dei giovani lavoratori, quelli che svolgono attività manuali operaie e chi lavora in fabbrica. Su queste figure sembra realizzarsi un paradosso. Per un verso, rappresentano in particolare nei nostri contesti produttivi una professione ancora "centrale". Per l'altro, la percezione soggettiva e, di rimando, sociale della loro mansione indica chiaramente uno status "marginale". La "centralità" di tali mansioni è definita ovviamente dalla funzione produttiva svolta, ma pure dalla loro difficile reperibilità, l'operaio in generale e soprattutto specializzato è divenuto un bene scarso e le aziende - come sottolinea un imprenditore -"se lo contendono a suon di milioni."

Il lavoro manuale operaio è vissuto dai giovani lavoratori intervistati come scarsamente gratificante sia sotto il profilo del contenuto, sia dal versante dell'organizzazione del lavoro medesimo, diversi giovani si interrogano sul senso di ciò che fanno. Quasi a compensare la carenza di significatività della mansione, i giovani lavoratori sembrano investire nelle relazioni umane e sociali che si possono costruire, nel clima che l'ambiente di lavoro offre, al punto che per molti le amicizie si sviluppano anche al di fuori dei luoghi di lavoro. Certo, non possiamo nascondere che i due terzi (68%) dei giovani lavoratori dichiara di essere soddisfatto del lavoro che svolge, però non si può dimenticare che l'11% si è comunque adattato alle condizioni di lavoro e che uno su cinque (21%) manifesta segnali di malessere nei confronti del proprio lavoro, e in particolare fra i lavoratori manuali.

Ma oltre al tipo di lavoro è anche il contesto, il luogo di produzione ad essere scarsamente ambito. La fabbrica, così come la figura professionale dell'operaio vengono collocate dalle nuove generazioni, e in particolare dagli studenti, al gradino inferiore di una virtuale scala di valutazione. La preferenza va ai piccoli nuclei lavorativi, composti da poche persone dove la riconoscibilità è maggiore, dove la dimensione espressiva e relazionale è ritenuta si possa meglio esplicitare. Di qui, ma non solo, la "marginalità" che insiste sul lavoro operaio e quello svolto in fabbrica. Marginalità che è sociale, ma che trova origine anche nella considerazione del lavoro medesimo, peraltro con una singolare continuità di percezione tra le diverse generazioni di lavoratori.

Qualche spunto per concludere

Le problematiche poc'anzi evidenziate si prestano ad alcuni spunti in forma di considerazioni conclusive. Si possono così individuare almeno tre linee di strategia di azione con varia temporizzazione al fine di offrire una più aderente immagine del lavoro nel contesto produttivo locale e per avviare una nuova e più adeguata considerazione del lavoro manuale.

Nel breve periodo è opportuno affrontare la questione della "informazione" e del proporre agli ambienti significativi per i giovani una immagine più corrispondente alla realtà produttiva. In particolare nei confronti delle famiglie, perno centrale dei processi decisionali relativi alle scelte scolastiche e professionali, è opportuno predisporre strumenti di conoscenza che possano aiutare a trovare informazioni e a costruire un quadro di riferimento. Più che sulle offerte di lavoro nel breve periodo, appare più utile fornire indicazioni volte a sviluppare le abilità cognitive e comportamentali: quali passi compiere per inserirsi sul mercato del lavoro, quali le strategie migliori, le abilità da sviluppare, le difficoltà che si incontrano, le tendenze dei profili professionali e così via. A questo proposito, potrebbe essere interessante che le imprese suddivise fra i diversi settori produttivi predisponessero una sorta di loro carta d'identità, in cui scrivere non solo le mansioni richieste o la struttura produttiva, ma anche le regole informali e non scritte, di comportamento interno, di metodo di lavoro.

Quest'ultima ipotesi potrebbe rientrare anche fra le azioni di medio periodo e definibili come "politiche di formazione". In questo caso il soggetto prevalente con cui interloquire è il sistema formativo locale. In primo luogo viene il problema dell'orientamento. Va da sé che solo con decisione autonoma una scuola traduce l'offerta di orientamento rituale con quella di carattere processuale. Ma è altrettanto vero che la predisposizione di pacchetti formativi per l'orientamento scolastico e professionale possono essere uno strumento che aiuta le scuole e i docenti ad applicare la pratica orientativa all'interno dei curricula scolastici. In quest'ambito, le altre leve possibili su cui agire sono note quanto ancora poco esperite e diffuse.

In primo luogo, le forme di alternanza scuola e lavoro e, soprattutto, gli stages. I momenti di sperimentazione del lavoro finché si studia sono richiesti dagli stessi studenti. Si tratta però di progettare inserimenti lavorativi che non siano solo professionalizzazione o si tramutino in sostituzione di personale assente, piuttosto rappresentino anche un momento di socializzazione al lavoro e alle sue regole. Com'è noto, una simile attività richiede un investimento in termini di risorse umane, di tempo e di progettazione, necessarie se si vuole abbandonare - nonostante la buona volontà - la frammentarietà da cui più spesso sono caratterizzate. Si potrebbero così configurare dei veri e propri percorsi in ingresso sul lavoro, da attuare in via sperimentale in alcune aziende della provincia.

In secondo luogo, non possiamo dimenticare che si ha a che fare con giovani che però hanno alle spalle già un'esperienza scolastica e che, per una parte di questi, non ha lasciato un ricordo piacevole. Vanno, dunque, progettate offerte formative che si inseriscano nel solco della formazione continua e mirate ai soggetti ai quali si rivolgono. Giacché non sempre una domanda latente di formazione viene esplicitata e riconosciuta dai lavoratori, è opportuno formulare proposte che rispondano alle attese dei lavoratori e che siano di reciproca convenienza sia per questi, sia per le imprese. Sotto questo profilo e in vista dell'autonomia scolastica, si potrebbero sperimentare raccordi fra aziende, istituti professionali e centri di formazione professionale, peraltro già avvenuti con successo in altre regioni.

In terzo luogo, non vanno dimenticati alcuni strumenti più espressamente istituzionali presenti a livello locale e che già da alcuni anni hanno lavorato su questi versanti. Il riferimento principale va al "Protocollo d'intesa per il raccordo scuola-lavoro" sottoscritto dalla Provincia di Vicenza, dal Comune di Vicenza, dalla Camera di Commercio e dal Provveditorato agli studi dellaprovincia di Vicenza. Non vanno dimenticate poi le iniziative promosse dal Progetto Giovani dell'ente locale, in particolare le esperienze delle borse estive e la consulta scuola-lavoro insediata presso la Camera di Commercio di Vicenza. Infine, fra le parti sociali e l'ente locale venne sottoscritto un Patto per lo sviluppo al centro del quale era posta l'attenzione al tema della formazione. Come a dire che sono diverse le sedi in cui è possibile a livello provinciale promuovere una effettiva politica della formazione.

Infine, ma assolutamente non per importanza, si delinea la necessità di riprendere a riflettere sulle trasformazioni culturali e con particolare riferimento alle culture del lavoro. Soprattutto è la rappresentazione del lavoro manuale operaio e del lavoro in fabbrica ad avere risentito di un processo di sostanziale svalorizzazione. Come emblematicamente sostengono gli stessi imprenditori, "i biologi o i chimici agricoli olandesi si fanno fotografare sempre sul terreno di lavoro e con la tuta da lavoro, sporchi di terra. Noi invece diamo un'immagine distorta e negativa del lavoro manuale e ci facciamo fotografare sempre con abiti eleganti." [imprenditore, C"] E, ancora, vi è chi rileva come "i genitori vogliono che il figlio faccia qualcosa di migliore rispetto a quello che hanno fatto loro e quindi si pensa al figlio in un ufficio. Attualmente però è considerato di più un capo reparto che un ragioniere." [imprenditore, D1]. Torna qui il paradosso precedentemente rilevato fra la "centralità" che la professione possiede, soprattutto nei livelli più qualificati, e la "marginalità" di status ad essa attribuita.

Posto che gli scenari futuri paventati da taluni studiosi, dove si delinea il progressivo e inesorabile declino del "colletto blu" e più in generale della classe lavoratrice, appaiono ancora lungi dal manifestarsi in tutta la loro gravità in un contesto produttivo a vocazione industriale e artigianale come il vicentino e il Veneto; appare urgente sviluppare una riflessione sul tema del lavoro e soprattutto del lavoro manuale. Non si tratta di rievocare le dimensioni etiche o ideologiche del lavoro, quanto di offrire opportunità al lavoro manuale di essere valorizzato. In altri termini, si pone ancora una volta la questione se e con quali interventi concreti si può progettare di migliorare l'organizzazione del lavoro e il contenuto, le condizioni ambientali del lavoro, offrire attività di formazione professionale e così via.

Ma una ripresa di status avviene non solo per via contrattuale o negoziale oppure esclusivamente all'interno del luogo di lavoro. Bensì anche attraverso un'azione che coinvolga altri attori sociali, esterni al luogo di lavoro. Qui entriamo, per un verso, nell'ambito delle politiche attive del lavoro tali da attivare maggiori sinergie e connessioni fra il lavoro medesimo e le altre sfere di vita, come il rapporto fra tempo di vita familiare e di lavoro, accesso a percorsi di formazione durante la vita attiva, flessibilità negli orari e nelle fasi di vita o altri aspetti ancora. Aspetti assai importanti che afferiscono alla dimensione delle policies ma che in questa sede non è possibile affrontare.

Nel medesimo tempo, queste considerazioni rimandano alla sfera più ampia della socializzazione e dell'educazione. Come ricorda un imprenditore "l'azienda deve formarsi le figure di cui ha bisogno, investendo e progettando un certo attaccamento (all'azienda, ndr). Oggi manca la cultura della formazione delle persone: le parrocchie erano un centro di formazione ed oggi non sono più di moda, le famiglie hanno abdicato al ruolo, privilegiando la cultura dell'immagine. Nessuno forma i giovani!" [imprenditore, C2]

In questi termini, il problema è rappresentato non tanto da una preparazione di carattere tecnico e teorico, giacché seppure con giudizi diversi la scuola comunque prepara le nuove generazioni. Piuttosto, in che misura e con quali modalità le culture del lavoro vengono trasmesse da una generazione all'altra, se esistono luoghi e momenti in cui avviene una socializzazione ai valori del lavoro e di come questi riferimenti stiano trasformandosi. Insomma, se esiste un'idea (non un'ideologia) di lavoro da proporre e di come essa si relazioni alle altre dimensioni di vita emergenti.

Alla fine, le trasformazioni in corso non sembrano mutare sostanzialmente il ruolo del lavoro nella società contemporanea. Piuttosto, la trasformazione che il lavoro sembra conoscere, più che nel suo significato intrinseco, risiede nel suo carattere di opzione, di possibile scelta e lo stemperarsi della dimensione della necessità, almeno in aree territoriali dove il benessere è diffuso. Tentare di individuare nuovi percorsi e nuove progettualità per il lavoro costituisce un percorso sicuramente più faticoso che non il tentativo di veicolare la proposta di una affermazione dell'ozio creativo o del ridurre lo spazio mentale e oggettivo che il lavoro occupa nel nostro orizzonte di vita. Allora, la sfida è rappresentata dal rimuovere il paradosso che fa del lavoro manuale operaio e di quello in fabbrica una professione ancora "centrale" del sistema produttivo e, nel contempo, è percepita e viene ad essa assegnata nell'immaginario collettivo - e non di rado anche nelle condizioni lavorative - una valenza simbolica "marginale".



Persona con la quale ha maggiormente discusso della scelta a quale scuola iscriversi (valori percentuali. N. casi: 1254).






La scelta scolastica dopo la terza media è stata effettuata: (valori percentuali; N. casi: 1254).


Fonte 1992: studenti classi prime degli istituti superiori della provincia Vicenza (Marini, 1994; N. casi: 1872)


Confronto fra gradi di accordo a diverse opinioni sulla scuola nelle rilevazioni del 1992* e del 1996 (modalità "molto" e "abbastanza", valori percentuali. N. casi: 1254)


Fonte (*): Marini, 1994. N. casi: 1884



Confronto fra gradi di accordo circa alcune opinioni sugli insegnanti nelle rilevazioni svolte a Vicenza nel 1992a e nel 1996, e in Italia nel 1992b (modalità "molto" e "abbastanza", valori percentuali. 1996: N. casi: 1254).


Fonte:

(a): Marini, 1994; N. casi: 1881.

(b): Massa, 1993; N. casi: 2500. Nostre elaborazioni.




Confronto fra il grado di accordo ad alcune affermazioni relative all'istruzione (valori percentuali).


Immagine dell'istruzione
Studenti classi V 1986*
Studenti classi V 1996
Un mezzo per raggiungere il successo personale
69
80
Un mezzo per avere soddisfazioni dalla vita
50
79
Un mezzo per guadagnarsi da vivere
43
66
Un mezzo per rendersi utile alla società
76
65
Un mezzo per dare senso alla propria vita
68
61
Un mezzo per rendersi utile alla famiglia
nc
59
Un sacrificio inevitabile
36
41
N. casi
840
1260

Fonte (*): Associazione Industriali della Provincia di Vicenza - Iard, 1986.






Grado di istruzione dei giovani lavoratori della provincia di Vicenza e in Italia, degli adulti in provincia di Vicenza, e della forza lavoro in Veneto (valori percentuali).



Grado di istruzione
Lavoratori giovani Vicenza

(21-24 anni)
Forza lavoro Italiaa

(20-24 anni)
Lavoratori adulti Vicenza

(40-55 anni)
Forza lavoro Venetob
Licenza elementare
1
4
50
23
Licenza media dell'obbligo
31
49
24
44
Qualifica professionale
22
10
10
nc
Diploma
45
36
15
27
Laurea
1
1
1
6
Totale
100
100
100
100
N. casi
304
2.404.000
154
1.780.000

Fonte

(a): I dati sono estrapolati dalle indagini Istat sulle forze di lavoro in Italia, riferiti al 1994, dalle quali abbiamo considerato solo la coorte di età disponibile compresa tra i 20 e i 24 anni. Essi sono riportati nel rapporto annuale curato dall'Isfol (1995), nostre elaborazioni.

(b): I dati presentati sono desunti dalla indagine Istat sulla forza lavoro, riferita al 1991 per il Veneto per la popolazione in età superiore ai 6 anni. Nel computo, per motivi di raffrontabilità, sono stati espunti quanti sono risultati analfabeti e alfabeti ma privi di titolo di studio (complessivamente 20.000 casi). Purtroppo il dato relativo ai possessori di una qualificazione professionale non è rilevato e quindi non confrontabile. Nostre elaborazioni su dati riportati in Migliorini (1995).





Disponibilità a partecipare ad una esperienza di formazione professionale in cambio di un miglioramento di inquadramento (modalità "molto" e "abbastanza", valori percentuali).
maschi
femmine
totale
Frequentare un corso dopo l'orario di lavoro
66
67
67
Rinunciare a parte del tempo libero per studiare
56
62
58
Sacrificare temporaneamente le relazioni amicali
42
36
39
Rinunciare a parte dello stipendio in cambio di formazione
20
26
23
Fare formazione in orario di lavoro
78
75
76
Passare dal tempo pieno al tempo parziale
38
46
42
Lasciare questo lavoro avendo la garanzia di iniziarne uno nuovo dopo avere terminato la formazione
55
62
58
N. casi
169
135
304






Persone con cui si è discussa la scelta scolastica dopo la terza media (studenti) e quella per il lavoro (lavoratori) (valori percentuali. Studenti, n. casi: 1254; lavoratori, n. casi: 304):






Atteggiamenti e strategie verso la ricerca del lavoro (modalità "molto" e "abbastanza", valori percentuali. Studenti, n. casi: 1254; giovani lavoratori, n. casi: 304; lavoratori adulti, n. casi: 153).


Prestigio assegnato a diversi gruppi di lavoratori, rispetto a quello manuale operaio (valori percentuali. Studenti, n. casi: 1254; giovani lavoratori, n. casi: 304; lavoratori adulti, n. casi: 153).








Criteri utilizzati al momento dell'assunzione (valori percentuali).
maschi
femmine
totale
Capacità di adattamento
72
76
74
Sapersi rapportare con gli altri
55
58
56
Flessibilità negli orari di lavoro
57
51
54
Titolo di studio inerente il lavoro
46
40
47
Avere una buona manualità
56
30
44
Saper usare il computer
26
40
32
Militesente
46
-
29
Avere avuto precedenti esperienze nel settore
26
33
29
Disponibilità ad andare fuori città
32
19
26
Parlare correttamente l'italiano
17
30
23
Non essere sposato/a
5
14
9
Bella presenza
6
14
9
Essere una persona conosciuta
10
7
8
N. casi
169
135
304






Ricerca e strategie di miglioramento delle proprie condizioni di lavoro (valori percentuali).
Lavoratori giovani

Vicenza

(21-24 anni)
Lavoratori dipendenti

Veneto*

(fino a 29 anni)
Lavoratori dipendenti Veneto*

(fino a 64 anni)
Cerca altra occupazione
33
26
24
I lavoratori come Lei ottengono di più:
partecipando al sindacato
5
14
20
facendo il proprio dovere
59
46
50
cercando migliori condizioni di lavoro
35
39
30
N. casi
304
283
804

Fonte (*): Marini, 1996.




Aspetti importanti della vita presso le giovani generazioni di diversi contesti territoriali (modalità "molto", valori percentuali).
studenti Vicenza

1996
lavoratori Vicenza

1996
studenti Pesaroa

1996
giovani Vicenzab

1989
giovani Italiac

1993
Famiglia
69
75
71
85
86
Rapporto di coppia
68
61
64
nc
nc
Amici
67
58
61
79
68
Svago e tempo libero
49
55
45
38
51
Lavoro
32
33
47
42
62
Studio, cultura
27
32
30
23
35
Attività sportive
20
26
24
31
33
Fare i propri interessi
18
22
26
13
nc
Impegno sociale
16
13
17
11
23
Religione
11
10
11
17
13
Impegno politico
6
4
5
1
4
N. casi
1261
304
615
376
2500

Fonte:

(a) : la ricerca è stata svolta su un campione di studenti delle scuole superiori e dei centri di formazione professionale di Pesaro (Laboratorio di Studi Politici e Sociali dell'Istituto di Sociologia dell'Università di Urbino, 1996), nostre elaborazioni.

(b) : si tratta di una ricerca sulla condizione giovanile svolta nel comune di Vicenza. L'età degli intervistati era compresa fra i 15 e i 24 anni (Belotti, 1990).

(c): i dati sono riferiti ad un campione di giovani di età compreso fra i 15 e i 29 anni (Cavalli e de Lillo, 1993).



Immagini del lavoro (modalità "molto" e abbastanza", valori percentuali. Studenti, n. casi: 1254; lavoratori giovani, n. casi: 304; lavoratori adulti, n. casi: 153).





I principali caratteri delle dimensioni fattoriali relative all'immagine del lavoro.
lavoratori giovani
lavoratori adulti
Fattore 1
Fattore 2
Fattore 3
Fattore 1
Fattore 2
Sacrificio inevitabile
++
++
Mezzo per avere soddisfazioni dalla vita
++
++
Mezzo per guadagnarsi da vivere
++
++
Mezzo per dare un senso alla vita
++
++
Mezzo per raggiungere il successo personale
++
++
Mezzo per rendersi utile alla società
++
++
Mezzo per rendersi utile alla famiglia
++
++

Sono omessi i factor loading minori di .50.



Livello di appartenenza a diversi gruppi sociali (modalità "molto", valori percentuali. Studenti, n. casi: 1254; giovani lavoratori, n. casi: 304; lavoratori adulti, n. casi: 153).





I principali caratteri delle dimensioni fattoriali relative ai diversi gruppi a cui si sente di appartenere.
lavoratori giovani
lavoratoriadulti
Fattore

1
Fattore

2
Fattore

3
Fattore

1
Fattore

2
Fattore

3
Fattore

4
Famiglia
++
++
Italiano
++
++
Lavoratore
++
++
Giovane
++
++
Ambientalista
++
Cattolico
+
Veneto
++
+
++
Della mia squadra
++
++
Settentrionale
++
++
Delle mie idee politiche
++
++
Della mia azienda
++
++
+
Europeo
++
++
Meridionale
++
++

Sono omessi i factor loading inferiori a .35.




Grado di accordo sulle affermazioni relative al lavoro manuale e su quello operaio (modalità "molto" e "abbastanza", valori percentuali. Studenti, n. casi: 1254; giovani lavoratori, n. casi: 304; lavoratori adulti, n. casi: 153).





I principali caratteri delle dimensioni fattoriali relative alle opinioni sul lavoro manuale operaio e alla fabbrica.
lavoratori giovani
lavoratori adulti
Fattore

1
Fattore

2
Fattore

3
Fattore

1
Fattore

2
Fattore

3
Molto valorizzato
++
++
Meno dignitoso d'un tempo
++
++
Esperienza umana coinvolgente
++
++
++
Offre meno opportunità che studiare
++
++
Lavoro sporco e pesante
++
++
Ci si realizza fuori dalla fabbrica
++
++
Coinvolgente, vedi i risultati
++
++
Senza senso, ripetitivo
++
++

Sono omessi i factor loading inferiori a .50.




Posti di lavoro ritenuti migliori rispetto al lavorare in fabbrica (modalità "migliore", valori percentuali).
studenti Vicenza
lavoratori Vicenza
studenti Pesaroa
lavoratori adulti

Vicenza
Piccolo ufficio privato
86
57
78
42
Piccolo negozio
84
56
79
52
Rappresentante
79
52
70
60
Grande ufficio pubblico
71
54
63
50
Grande supermercato
59
31
67
52
Piccola azienda artigiana
55
38
43
51
Azienda agricola
41
35
31
36
Grande industria
31
27
28
43
N. casi
1261
304
616
154

Fonte (a) : Laboratorio di Studi Politici e Sociali dell'Istituto di Sociologia dell'Università di Urbino (1996), nostre elaborazioni.



Pensando al lavoro che fa, le capita di (modalità "spesso" e "abbastanza", valori percentuali. Giovani lavoratori, n. casi: 304; lavoratori adulti, n. casi: 153).



Aspetti che pesano nel lavoro svolto (valori percentuali).
molto e abbastanza
Stress mentale, psicologico
41
Livello di stipendio
35
Controlli dei superiori
31
Chiarezza dei compiti assegnati
25
Instabilità del posto
22
Rapporti con la dirigenza
22
Fatica fisica
21
Ambiente fisico
19
Orario di lavoro
19
Autonomia di decisione
17
Relazioni con i compagni di lavoro
17
Ricevere riconoscimenti per un lavoro ben fatto
13
Varietà del lavoro
10
Dovere apprendere nuovi lavori
7
N. casi
304




Tipi di giovani lavoratori secondo le attese e il livello di soddisfazione nei confronti del lavoro attuale (valori percentuali, n. casi: 304).





Eventi che gli intervistati considerano si potranno verificare con buona probabilità o invece che desidererebbero si verificassero, oppure ancora ritengono che il verificarsi dipenda da loro (valori percentuali, n. casi: 304).
probabile
desiderabile
dipende da me
Investimento
Ottenere un avanzamento di carriera
14
60
26
Rimanere a lavorare in questo posto per diversi anni ancora
25
14
61
Seguire un corso di formazione per aumentare le mie capacità professionali
22
30
48
Disinvestimento
Smettere definitivamente di lavorare
9
22
69
Trovare un'altra occupazione nel settore privato
15
20
65
Trovare un'altra occupazione nel settore pubblico
11
24
65
Intraprendere un lavoro autonomo
9
38
53