La scuola dovrebbe insegnare a ragionare non solo addestrare
Studenti come cani di Pavlov ?
Con l'inizio del nuovo anno scolastico agli studenti verranno somministrati questionari di valutazione, le "prove d'ingresso". Questa serie di domande servono realmente ad accertare i livelli di preparazione degli studenti e a programmare in modo uniforme l'attività didattica ?
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ra breve si riapriranno le scuole e alle onde del mare i giovani studenti sostituiranno ondate di questionari: le "prove di ingresso". Si tratta di un susseguirsi di domande -a risposta multipla, con relativa griglia di correzione in possesso del solo docente,-preparate dalle più varie ‘autorità’: team ministeriali, docenti universitari, gruppi di insegnanti e talvolta di genitori. In teoria l’intento di simili operazioni sarebbe quello di accertare i livelli di preparazione degli studenti e di programmare di conseguenza l’attività didattica in modo uniforme. L’opera verrà poi conclusa alla fine dell’anno scolastico con altrettanti ‘test pre-esame’ che prepareranno alle ‘prove di accesso’ alle classi successive od ai corsi universitari. I limiti di tali iniziative sono molteplici ed il più grave è quello dato dal non poter avere un’elaborazione dei dati offerti dalle risposte se non con molto ritardo. Al di là di questo difetto, comunque rilevante, si possono raggruppare almeno tre. grandi vizi di questo tipo di accertamenti: a) l’assurdità delle domande; b) l’impossibilità di trarne una conclusione tale da far riflettere gli stessi studenti; c) la distanza culturale tra chi appronta le domande e chi è chiamato a rispondervi. In più queste prove avrebbero la triste ambizione di voler valutare tutti (bimbi e bimbe - ragazzi e ragazze) indipendentemente dalle loro passioni e dalle loro attitudini. E’un fatto: il ‘quiz’ non considera quanto variegati siano gli entusiasmi e i livelli di passioni culturale dei giovani; il ‘quiz’ è elaborato per classificare le teste così come si fa con le uova, le arance e i pomodori; purtroppo così facendo ben sappiamo che spesso ad un alimento di "classe A" non corrisponde affatto un buon sapore ed altrettanto accade nel valutare la cultura ed il livello di nozioni di allievi grandi e piccini. A questo vizio di fondo se ne aggiungono altri non meno gravi. Infatti spesso i questionari appaiono del tutto fuorvianti (e talora errati). Ecco alcuni esempi: di fronte al quesito che invitava ad esporre quante ore alla settimana i ragazzi fossero stati "costretti" a studiare a casa (0-6, 7-12, 13-18, 19-23 ore) la maggior parte di loro dichiarò di passare sulla scrivania domestica almeno diciotto ore alla settimana. E’ un bell’esempio di falsità indotta da chi interroga giacchè gli allievi poi rivelarono che: "in certi casi una piccola bugia non guasta"! La domanda era dunque inadatta e del tutto diseducativa. Altrettanto puerile è quel quesito artigianale che chiedeva agli studenti di una prima classe superiore se il primo giorno di scuola avessero avuto paura. Anche in questo caso la maggior parte degli ‘inquisiti’ aderì al velato invito confessando diversi gradi di inquietudine. In altre occasioni è ben ovvio che la risposta potrà esser data solo a casaccio (anche dallo stesso insegnante che di rado prova il suo livello d’ingresso su quei ‘quiz’ che propone). Ad esempio è più che lampante che non si possono individuare le isole Comore su una cartina che non le riporta; tantomeno si può stabilire se la simpamina -sostanza sconosciuta alla quasi totalità di docenti e studenti- sia di norma somministrata a dosi 1) di 5-10 mg. al giorno; 2) lievemente inferiori; 3) lievemente superiori. Sono queste assurdità che invitano a considerare la cultura un problema legato più alla fortuna che all’intelligenza. Inoltre in gran parte di questi problemi si avverte l’enorme distanza tra chi li prepara e chi è chiamato a rispondervi. Significativa è la domanda sul libro che narra le avventure di "Pinocchio": questa volta si chiede quale fosse l’obiettivo principale dell’autore; qui, trascurando del tutto l’impegno civile e culturale di Collodi nonchè il suo impegno per lo sviluppo della scuola nell’ Italia unita, i redattori della prova di ingresso ritenevano che l’opera fosse stata scritta con l’intento di divertire e far pensare i bambini il che è anche ammissibile, ma questo è un concetto che non può esser messo in contrasto con altre opzioni. Infatti -a giudizio dei redattori- si sarebbe caduti in errore qualora si fosse ritenuto che "Pinocchio" aveva lo scopo di 1) insegnare ai bambini come si scrive; o di 2) spiegare ai bambini come era la vita nel secolo scorso. Quel che poi lasciò esterefatti fu che la gran parte della classe dichiarò esplicitamente di conoscere "Pinocchio" unicamente attraverso il celebre cartone animato e di non aver mai letto il libro. Evento questo del tutto ignoto e non previsto dagli arguti estensori del questionario!
E’ questo un modo di procedere assurdo che, desiderando costruire sistemi di valutazione asettici e uniformi, schiaccia la possibilità di interpretare liberamente un testo o un avvenimento storico nella molteplicità dei suoi aspetti.
La paura dell’interpretazione e della diversità emerge con nettezza dagli affannossi redattori di ‘quiz’. Ne è prova evidente la domanda sulla poesia del Pascoli "Arano" ove si chiede se nella lirica prevalgano: suoni / immagini / riflessioni / emozioni. Benchè la sensibilità del lettore potrebbe essere assai diversa dal rigido estensore del questionario si sappia che una sola è la risposta esatta (che non ricordo) e tutte le altre sono errate giacchè i versi di un poeta sembra debbano per forza far prevalere un sentimento sull’altro. In tanta voglia di uniformità, il gusto personale, la sensibilità d’animo, la spinta alla fantasia poetica non contano, deve prevalere l’obbligo di misurare tutto anche i sentimenti! Il risultato di una tale impostazione sarà nefasto per tutti in quanto obbligherà studenti e docenti a tentare di apprezzare sempre in modo acritico una poesia, un libro o un quadro in quanto i ragazzi saranno ossessionati dal dover cogliere la risposta ‘giusta’; in queste condizioni a loro nulla servirà il ragionare con la propria mente poichè prevarrà la testa di chi ha preparato la domanda. E’ un triste ritorno a quel passato in cui per forza si era obbligati a dire che ogni passo del Manzoni era entusiasmante.
L’illusione che contorna i tanti questionari che hanno invaso ogni ordine di studi è stata recentemente condannata dai docenti inglesi che -in un dibattito televisivo (British SkyNews)- hanno dichiarato che le sperimentazioni effettuate portano ad una sola conclusione: le prove per quesiti annullano l’umanità e l’intelligenza di studenti ed insegnanti. Non è un fatto nuovo. Già nel 1943 l’anziano professore di storia medioevale Marc Bloch, durante quella lotta clandestina che lo portò ad esser barbaramente fucilato dai nazisti assieme a un bambino, scriveva per sottolineare l’inutilità e il danno di simili prove. L’anziano insegnante denunciava che gli studenti così preparati avranno quella solidità culturale che è assimilabile a quella di " un cane sapiente, il quale non è un cane che sa molte cose, bensì un animale che è stato addestrato a dare, mediante alcuni esercizi scelti preventivamente l’illusione di sapere. .." Marc Bloch così concludeva:
"Non ritengo necessario insistere sugli inconvenienti intellettuali di una simile mania esaminatoria. Le sue conseguenze morali sono sempre apparse chiare: la paura di qualsiasi iniziativa tanto nei maestri che negli allievi; la negazione di qualunque libera curiosità; il culto del successo sostituito al culto della conoscenza; una specie di tremore perenne e di astio in quegli spiriti in cui dovrebbe regnare sovrana la libera gioia d’apprendere..." (M. BLOCH, La Strana Disfatta, trad. it. Napoli 1970, Torino 1995). Il "nuovo" che avanza dovrebbe tener conto di simili "vecchi" ammonimenti.
Piero Morpurgo
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