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Recensioni, schede e notiziole


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Giovanna Giordano, Trentaseimila giorni, Marsilio, pp. 130, lire 18.000

Trentaseimila giorni, esordio narrativo di Giovanna Giordano (34 anni, nata a Milano, abitante a Messina), è un libro divertente e leggero nei sensi migliori di queste due parole. La storia: una sedicenne s’imbarca a Messina, il 5 settembre del 1888, per raggiungere il marito in America, Atlantic City: ha con sé un neonato e una capra. L’America si rivela dura e brutta; la ragazza (Grillo di cognome; "M." è tutto quel che abbiamo del nome) trova un marito che beve e tanta miseria. Lavora sodo; lega con alcuni amici trovati durante il viaggio; mette al mondo una bimba; avvia una specie di ristorante italiano; poi un’industria di pasta, la "Pasta Grillo"; sposa la figlia ad Al Capone e mette in piedi una distilleria sotterranea; poi perde tutto in un incendio, e ricomincia vendendo il whisky su chiatte alle navi che entrano ed escono dal porto; poi va a fare il giro del mondo con la figlia; poi perde il figlio e si ritira in esilio sopra un albero; poi scopre il cinema e si fa produttrice...
Ma non è, Trentaseimila giorni (quasi cent’anni: il tempo vissuto da M.), un romanzo sociale o di formazione; benché nasca da una storia vera. E’ una specie di conte philosophique (ma di una filosofia leggera... leggera...) in forma di favola; e delle favole ha la lingua, l’articolazione, il senso della meraviglia, l’affollarsi di coincidenze, il trovarsi e ritrovarsi provvidenziale dei personaggi, i dialoghi simbolici e vaneggianti, l’inserzione continua di apologhi e microstorie, alcune bellissime: "In Siberia partecipai alla ‘danza delle carote’. In quella terra, ghiacciata d’inverno e dura come la pietra nell’estate, non cresceva nulla. Di tanto in tanto, grazie al fiato e alla pazienza di qualche contadino, riusciva a spuntare una carota. Così, a frotte, dai villaggi, accorrevano per celebrare quel miracolo di madre natura e danzavano fino a cadere sfiniti" (p. 98).
Trentaseimila giorni si legge di corsa e lascia un buon ricordo. La sua grazia è tale che disturbano pochissimo, nel volo del leggere, piccoli "salti" di tono e di lingua (a volte forse troppo deliberatamente cantante). Giovanna Giordano sembra essersi nutrita molto e molto bene di Calvino; e deve sapere a memoria il Candido di Voltaire. Buona fortuna a lei e a questo libro. (gm)

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Laura Maragnani, Nero padano, Rizzoli, pp. 208, lire 24.000 (o in omaggio comperando Amica nella settimana di ferragosto)

Nero padano, primo libro di Laura Maragnani (classe 1962), è un romanzo potente. Non ne racconto la storia (ché sarebbe fargli torto) ma dirò che l’intrigo, rigirato attorno a pochi avvenimenti e a molti non avvenimenti, prende che di più non si può. Ti sogni di notte i personaggi. Vedi i posti. Senti caldo e freddo. Non è un romanzo noir; si tratta in sostanza di una storia provinciale d’amore e morte e però senza vero amore e senza vera morte: perché tutto, in questa storia, proprio tutto, a parte il paesaggio, lentamente e terribilmente diventa (si rivela) falsissimo: e la vera storia è questa.
Ma è la lingua, precisa ardita e sapida, il grande pregio. Faccio esempi. Siamo al fiume a pescare: "Poi gli venne un lancio mai visto, come ne descrivono talvolta i manuali per specialisti monomaniaci: e la mosca attraversò l’aria, si librò all’infinito, tremò a lungo nella sera tiepida, e come stanchissima ricadde con sublime eleganza". Oppure: dopo un inverno "di nebbia fitta come minestra", "una mattina ci svegliammo in un mondo di ghiaccio, limpido di azzurro e di risaie gelate; sugli alberi la galaverna arabescava un pizzo di gelida bellezza, e il fiume quasi fumava nel gran freddo del mezzodì". I due amanti sorpresi alla fiera "davanti al banco della pomata Urad": "Si tenevano per mano. Per mano! sissignori: con la tenerezza di una coppia di vecchi sposi, con l’agio senza vergogna degli amanti più pubblici; fa male anche solo a scriverlo: ma si tenevano tranquillamente, fiduciosamente; con una contentezza che pareva trascolorare tutt’intorno - che irradiava la gente, la strada, la pomata; che rendeva bello perfino il grido dell’ambulante".
Maragnani dichiara i debiti. Nel risvolto nomina Mastronardi, del quale sembra aver incorporato in toto (e poi rigettato) l’universo narrativo. La villetta "in mirabile stile di geometra" è omaggio a Gadda. Un frammento di conversazione nel gioco a carte («"quel tallone benedetto...", "e sempre a bussare di tre!". "Ma la bellòra, allora, la bellòra..." La bellòra non c’era mai.») è uno spudorato Gozzano. La punteggiatura è più faldelliana o più dossiana secondo i casi (ma Céline?). E così via. Eppure, anche dove citazione o calco sembrano messi proprio a dichiarare il debito, come un atto d’amore, non mancano mai di servire a puntino frase e storia. S’incollano, sprofondano nella prosa.
Ce ne fosse tanta, di prosa così. (gm)

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Vitaliano Trevisan, Trio senza pianoforte, Editrice Veneta, pp. 62

Trio senza pianoforte, opera prima di Vitaliano Trevisan (classe 1960) è un libretto che contiene tre racconti dei quali uno, "Passato di verdura", è perfetto. La prima impressione di lettura è: questo è un Thomas Bernhard italiano. Sicuramente Trevisan ha cominciato a trovare la sua voce imitando la voce di Thomas Bernhard (che è un modo come un altro per cominciare: quanti, negli anni scorsi, non hanno cominciato imitando ad es. la voce di Jay McInerney o di David Leavitt?); la cosa stupefacente è vedere una persona che comincia imitando la voce del più grande scrittore austriaco di questa metà del secolo: e che ci riesce benissimo. Niente male, quindi, come inizio. Da altri testi più recenti (alcuni dattiloscritti sono in lettura presso Einaudi) si vede che Trevisan sta progressivamente debernhardizzando e trevisanizzando la propria scrittura; senza che qualità si perda - anche se, a dire il vero, si può sospettare che Trevisan, altro che debernhardizzarsi: stia andando sempre più in fondo nella comprensione e nell’incorporazione di Thomas Bernhard; e l’incorporazione stia diventando così totale che non si vede più. Trevisan è come l’atleta che lentamente apprende il gesto esatto e poi, quando nella competizione lo esegue, lo esegue come un gesto perfettamente naturale, nel quale non c’è alcun residuo o traccia dell’apprendimento.
"Passato di verdura" consiste nelle riflessioni, appena fuori porta della chiesa dove si terrà il funerale, dell’allievo di un insegnante di batteria jazz vicentino sulle ragioni che possono aver spinto al suicidio l’insegnante stesso. "Uccelli" racconta di un viaggiatore in motocicletta che, in Scozia, accetta ospitalità per una notte da un falso sassofonista scozzese che, si scopre alla fine, è in realtà un vero sassofonista vicentino scomparso anni prima da Vicenza e sospettato di essere un serial killer. "Vasca Imhoff" è la storia di un architetto vicentino piuttosto critico nei confronti della realtà sociale e culturale vicentina che, richiesto dalla locale associazione degli artigiani di un progetto per il nuovo Centro orafo, per provocazione presenta un progetto di edificio completamente trasparente con sistemata al centro, in alto, trasparente e ben visibile, la vasca Imhoff (ossia ciò che volgarmente si chiama pozzo nero); e gli artigiani, inaspettatamente, senza fiatare accettano il progetto: l’architetto ne muore.
Se qualcuno aveva il mito della vicentinità (celebrato in romanzi e sceneggiati televisivi), dovrà ricredersi. Tanto per esser chiari: non si sono mai visti racconti meno provinciali di questi. Sono racconti tragici; e si ride a crepapelle. Trio senza pianoforte è pubblicato da un piccolissimo editore (al quale va la gratitudine di tutti) e quasi non si trova in libreria. Telefonare allo 0444-513838 o scrivere a: Editrice Veneta sas, via del Groppino 8, 36100 Vicenza. (gm)

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Antonio Porta, Los(t) Angeles, a cura di Rosemary Liedl, prefazione di Giuseppe Pontiggia, Vallecchi, pp. 123, L. 19.000

Los(t) Angeles è la documentazione di un disegno di romanzo al quale Antonio Porta (1935-1989) stava lavorando poco prima della morte improvvisa (a Roma, dove si era recato per partecipare a una puntata del Maurizio Costanzo Show). La seconda moglie Rosemary Liedl ha raccolto in volume materiali diversi: la prima stesura della prima parte del romanzo (della quale un frammento, il racconto Partorire in chiesa, era già stato pubblicato nel 1990 da Scheiwiller), alcuni appunti, un diario di viaggio in California che doveva in qualche modo confluire nel libro.
E’ un libro da leggere senz’altro: anche per chi non conosca il poeta, narratore, critico (ecc.) Antonio Porta. Nonostante l’incompiutezza ci sono pagine bellissime: almeno le iniziali e il racconto "Cancellare Firenze". "Il disegno di romanzo ha come coagulo narrante il sogno", scrive Liedl; e il tutto non si può descrivere più esattamente.
Impressionante il personaggio Leonardo, che nel romanzo ha il ruolo di committente dei racconti dei quali il romanzo stesso è (avrebbe dovuto essere) intessuto. Leonardo è uno straricco (gestisce sale corse, investe in cavalli ecc.) che ha degli strani progetti: ne do un assaggio. "Le confesso [sta parlando al narratore] che per un certo periodo ho pensato di investire molto nel mercato delle immagini, di diventare un mercante di sogni, come si suol dire. (...) Poi ci ho ripensato. (...) Non voglio solo impadronirmi di anime e di menti, ma di corpi, di modi di vita. (...) Ci sono segnali nell’aria che dimostrano che non tutti sono disposti a essere trasformati in immagine, a essere mistificati, ridotti a merce. (...) Una moltitudine di uomini e di donne resiste nel proprio corpo, nella propria identità umana. (...) Non vogliono essere ridotti a pura rappresentazione. (...) E’ un punto cruciale di questi ultimi anni, un passaggio segreto, lo chiamo io, verso la riconquista del corpo. (...) Cancellando il corpo per sostituirlo con immagini prefabbricate, si atrofizza il cervello che è lì per seguirlo, il corpo, controllarlo, renderlo felice o infelice. (...) Per questo motivo io voglio andare più in là, entrare nei corpi, non starne fuori. (...) L’era della Tv prepara l’era successiva, quella del passaggio dall’immagine al corpo, alla mente, e allora sembrerà di tornare indietro, invece si va molto avanti" (pp. 71-83).
Questo Leonardo è un personaggio straordinario: una specie di redentore ambiguo nel quale desiderio di potere e desiderio di liberazione si confondono. All’ambiguità di Leonardo corrisponde (come illustra nella bella prefazione Giuseppe Pontiggia) la moltiplicazione del personaggio narratore: che è Antonio Porta, ma è anche un A.P. che non coincide esattamente con lui; mentre il racconto "Cancellare Firenze" appare scritto da un qualcuno che non si sa ben chi sia. Per una volta, della rivoluzione virtuale si parla in maniera non semplicistica: questa moltiplicazione dei personaggi ben si presta a rappresentare la nostra incertezza difronte a ciò che sta avvenendo in questi anni, a ciò che noi stessi stiamo facendo e che, tuttavia, non riusciamo a capire. (gm)

Antonio Porta è stato un poeta, prosatore, critico e intellettuale tout-court tra i più importanti del dopoguerra. Esordì nel 1961 con alcune poesie nell’antologia I Novissimi (Rusconi & Paolazzi; oggi Einaudi), vero atto di fondazione della neoavanguardia italiana (il cosiddetto Gruppo 63). Seguirono alcune raccolte poi riunite in Quanto ho da dirvi. Poesie 1958-1975, Feltrinelli 1977. Poi: Passi passaggi, Mondadori 1980; Invasioni, Mondadori 1984; Melusina, una ballata e diario, Crocetti 1987; Il giardiniere contro il becchino, Mondadori 1988. Romanzi: Partita, Feltrinelli 1967 (e poi Garzanti 1978), Il re del magazzino, Mondadori 1978. E’ stato tra i fondatori e il più attivo animatore del mensile Alfabeta. Ha sempre lavorato nell’editoria.

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Il Maltese - narrazioni. Rivista, n. 18, pp. 66, L. 6.000

La rivista di letteratura IL MALTESE - narrazioni è fatta tra Piemonte e Liguria da Gianrico Bezzato, Marco Drago, Roberto Rivetti, Sergio Varbella, nonché da Matteo Galiazzo e Maurilio Mo (s.e.& o.); a forza di uscire irregolarmente ha fatti diciotto numeri; che è un’impresa lodevole. Il nome dell’impresa non ha che fare col Corto ma con la Birreria il Maltese di piazza Caracco a Cassinasco.
IL MALTESE pubblica soprattutto racconti, qualche fumetto, qualche poesia. Quasi tutto prodotto dai redattori o da persone ignote all’editoria. In ogni numero, nelle pagine finali, un’intervista a personaggi noti: Andrea G. Pinketts, Carlo Lucarelli, David Brin, Sandro Veronesi ecc. I risultati sono di tutto rispetto. In ogni numero del MALTESE c’è almeno un buon racconto: e scusate se è poco (un buon racconto per seimila lire? affare fatto!). A volte c’è ingenuità ma, attenzione, c’è spesso buona scrittura: merce rara di questi tempi e soprattutto presso chi (come molti maltesiani) sceglie la letteratura di genere.
Per fare una buona rivista occorre chiarezza di idee: il MALTESE ce l’ha. "Manca una letteratura media di buona qualità", leggiamo in una sorta di editoriale/manifesto, "mentre abbondano i tentativi di capolavoro - che assommati non ne fanno neanche un decimo, di capolavoro. La cosa da fare è quella di essere interessanti, di essere inventivi, di non avere paura della fantasia, del raccontare, di mettere al mondo dei personaggi. E poi basta aprire gli occhi e stare a vedere tutte le stranezze che ci passano sotto il naso ogni dieci minuti, basta fare così e ci si rende conto che ci sono un mucchio di cose da dire e che esiste una ragione per dirle e per ascoltarle / leggerle. I racconti del MALTESE conoscono il mondo che li circonda e dal quale sono nati, conoscono la realtà ma la perforano, la travalicano e poi la guardano da dentro o da dietro. Nasce così la narrazione di questo nostro quotidiano fantastico, di questa sfida non blasfema alla tradizione."
Qualunque manifesto o programma contiene una certa dose di orgoglio e di rischio. Il MALTESE gioca con bravura la carta della modestia: essere interessanti, raccontare le cose che ci passano sotto il naso... Sembrano obiettivi minimi. Ma: come si chiedeva Georges Perec (in L’infra-ordinario, Boringhieri, p. 14), "Che cosa c’è sotto la carta da parati? Quanti gesti occorrono per comporre un numero telefonico? Perché?". Queste domande minime sono, forse, la sfida più alta per la letteratura d’oggi.
Nel numero diciotto si trovano racconti di Matteo Galiazzo, Gianrico Bezzato, Roberto Rivetti, Andrea Colombo, Angelo Politi, Mara Traverso, Andrea Roano, Ernesto Aloia, Aldo Nove (quello di Woobinda, ed. Castelvecchi), Marco Drago, Silvio Castelletto; un fumetto di Sergio Varbella; poesie di Marco Moretti, Massimo Palazzi, Luisella Daziano, Sassà Gangitano; per finire un’intervista a Henry Frédéric Blanc (autore di L’impero del sonno e Tiro al bersaglio, entrambi editi in Italia da Giunti). (gm)

IL MALTESE, come tutte le riviste autogestite, non è facilissimo da trovare. Lo si trova nelle librerie Feltrinelli di via Manzoni a Milano, di via XX Settembre e via Bensa a Genova, di piazza Castello a Torino, di corso Umberto I a Pescara; alla Libreria Adriatica di via Curzi a San Benedetto del Tronto, alla Cooperativa Libraria Universitaria di piazza Santa Sabina a Genova, al Vinyl Magic di via Abba a Savona, alla Sherlockiana di piazza san Nazzaro a Milano, a Libropoli di corso Genova a Milano, a Messaggi di via Torino a Savigliano, alla Bancarella del Libro di via XX settembre ad Asti, alla Elemond di via Rattazzi ad Alessandria, al Top Smile di galleria Garibaldi ad Acqui Terme, all’edicola di via Moriondo e a quella di via Nizza ad Acqui Terme, alla Cartolibreria Icardi di piazza Amedeo d’Aosta a Canelli, e naturalmente alla Birreria il Maltese di piazza Caracco a Cassinasco. Se proprio non ce la fate a trovarla potete rivolgervi a Marco Drago, via Alfieri 34, 14053 Canelli (At), oppure potete abbonarvi direttamente (quattro numeri) versando L. 25.000 sul c/c postale 10958148 intestato allo stesso Marco Drago (specificare la causale).

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Versodove, quadrimestrale di letteratura, n. 4/5, pp. 74, L. 7.000

Versodove è diventata, al suo quarto numero (doppio) una bella rivista (non che i precedenti fossero brutti: diciamo che se quelli erano promettenti, questo sembra una promessa mantenuta). Lo scopo della rivista è di essere "serbatoio, palestra e laboratorio di scrittura giovanile, incubatrice di poetiche" (dall’editoriale di questo numero); il che non le impedisce di guardare anche più lontano. E’ appunto questo guardare più lontano che fa bello e interessante questo quarto numero, con il quale la rivista trova (speriamo) la sua configurazione definitiva. Noi ci auguriamo che l’attuale ghettizzazione (in buona parte volontaria) delle scritture giovanili non duri a lungo; e Versodove si presenta come una rivista-ponte tra, ad esempio, scritture più letterarie e scritture meno letterarie, più sperimentali e meno sperimentali, più "generazionali" e meno "generazionali".
In questo numero doppio c’è una specie di dossier su teatro e poesia: "due linguaggi che si rincorrono, si sospettano, si amano, tentano di elidersi, si incontrano fra voce e corpo. Abbiamo chiamato a testimoni di un matrimonio mai celebrato e sempre consumato registi, critici, poeti e attori". Seguono conversazioni (lunghe, approfondite) con il regista Cesare Ronconi, Paolo Nicolini del Gru.Ri.Da. (Gruppo ricerca danza), l’attore e autore Leo de Berardinis, Claudio Meldolesi docente di drammaturgia all’Università di Bologna; e scritti di Stefano Casi (autore di studi sul teatro di Pasolini, di traduzioni e di adattamenti teatrali) e Mariangela Gualtieri, drammaturga del teatro Valdoca. La sezione di poesia accoglie testi di Massimiliano Palmense, Andrea Cotti, Luigi Socci, Stefano Bortolussi e Franco Buffoni (anche intervistato). Bella la conversazione con Franco Battiato e Manlio Sgalambro.
Nella terza sezione, di narrativa, spicca una serie di testi di Mario Corticelli (che è anche il grafico della rivista), intitolati "Il sig. Spinge". Un esperimento di scrittura leggera, divertentissima e perfettamente riuscita. Riportiamo, per brevissimo assaggio, il miniracconto intitolato: IL SIGNOR SPINGE SI SVEGLIA E CERIMONIOSAMENTE CHIEDE.
"Così pensa Spinge, appena desto: «Gentile sig. Sogno, preclaro ed esimio, potrebbe davvero ripropormi quell’ultima scena, e così ben dipinta, e bella e variata? Poiché, davvero, davvero per quel solo durare mi ero distratto, e non prima, che prima davvero per bene rammento. Davvero, mi creda, sig. Sogno gentile, davvero, il mio interesse del tutto è assai vivo, e tuttora, per certo, e dunque, davvero, io sono a questo richiederLe del tutto sincero. Poiché, davvero, per solo quel poco mi ero distratto, davvero.»" (gm)

Versodove si trova in tutta Italia nelle librerie Feltrinelli. Eventualmente può essere richiesto all’Associazione Culturale Verso Dove, via Andreini 2, 40127 Bologna, tel. 051-6331551; oppure telefonando a Sergio Rotino (051-374759) o scrivendo a Vincenzo Bagnoli (E-mail: gat1506{Sostituisci con chiocciola}iperbole.bologna.it). Ci si può abbonare versando L. 12.000 (per tre numeri) sul c/c postale 24390403 intestato a Algol (specificare la causale: abbonamento a Versodove). La rivista è fatta da Vincenzo Bagnoli, Fabrizio Lombardo, Sergio Rotino, Stefano Semeraro, Andrea Trombini, e si pubblica con il contributo dell’Assessorato alla cultura - Progetto giovani del Comune di Bologna.

Schede

NARRATIVA. Autori Vari, Tra le rughe, Linta, pp. 132, L. 20.000.

Una bella scelta di racconti sulla vecchiaia, per nulla dolciastri (anzi, spesso crudi). I vecchi raccontati sono spesso fisicamente inefficienti, a volte smarriti mentalmente, sempre un po’ in difficoltà difronte ai cambiamenti della vita moderna. "La vecchiaia, malgrado tutto, è stata ed è il periodo migliore della mia vita. Capita solo che, ogni tanto, la testa mi vacilli. allora comincio a non vedere bene e a perdere il filo della realtà. L’unica soluzione è stendermi sulla poltrona della mia stanza a riposare un po’ in attesa che il filo perduto torni a me" (da "I tarocchi di Giuseppina" di Giorgio Voghera). Il volume è stato voluto dall’associazione Goffredo de Banfield per la tutela e l’assistenza degli anziani non autosufficienti, alla quale gli autori hanno devoluto i propri diritti. Gli autori: Angela Bianchini, Isabella Bossi Fedrigotti, Marcello Cesa-Bianchi, Giorgio Calcagno, Elena Gianini Belotti, Gina Lagorio, Grazia Livi, Giuseppe Lisi, Marisa Madieri, Claudio Magris, Ottiero Ottieri, Pino Roveredo, Enzo Siciliano, Susanna Tamaro, Lidia Storoni Mazzolani, Gregor von Rezzori, Antonio Tabucchi, Giorgio Voghera.

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POESIA. Valerio Magrelli, Poesie (1980-1992) e altre poesie, Einaudi, pp. 308, L. 28.000

In questo volume einaudiano Valerio Magrelli (Roma, 1957) raccoglie tutti i suoi precedenti libri (Ora serrata retinae, Feltrinelli 1980; Nature e venature, Mondadori 1987, e Esercizi di tiptologia, Mondadori 1992), più poche altre cose (le poesie nuove non fanno più di dieci pagine). Quando, appena ventitreenne, Magrelli pubblicò il suo primo libro, si gridò al miracolo: dopo due decenni di supersperimentalismi, di surrealismi a buon mercato, di poesia "per tutti" e così via, finalmente si sentiva una voce nuova di poesia-poesia; e, tra l’altro, una voce eccezionalmente sicura, chiara e distinta. Sedici anni dopo, le raccolte di Magrelli, a rileggerle tutte assieme, danno l’impressione di essere roba che dura. "Passato qualche tempo tutto il latte / va a male, come se andasse verso / il male, la sua cattività, / si contrae, si rapprende, / abbandona il proprio stato liquido / e inizia a farsi forma. / La sostanza rafferma / prende corpo, resuscita / in una carne nuova e compatta, estratta / dalla bestia. E’ cacio, metamorfosi / del secreto animale, il frutto / morto di una pianta viva, / sazia creatura pallida e lunare" (p. 188).

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POESIA. Maria Ida Gaeta e Gabriella Sica (curatrici), La parola ritrovata: ultime tendenze della poesia italiana, Marsilio, pp. 243, L. 34.000

Costa un occhio, ma è un gran bel libro. A partire dagli atti di un convegno del 1993, nel quale si erano confrontati critici e poeti, Gaeta e Sica hanno costruito un volume che, oltre ad offrire un panorama, come recita il sottotitolo, delle ultime tendenze della poesia italiana, contiene un certo numero di interventi teorici forti. E’ da notare che, mentre i prosatori (romanzieri?) italiani sembrano arrivati alla completa afasia teorica (nei convegni dei nuovi narratori si parla di: editor, tirature, soldi, collaborazioni all’Unità ecc.), al contrario i nuovi poeti italiani (s’intende quelli sulla quarantina) sembrano avere una vocazione teorica decisa e diffusa. Il volume è diviso in quattro parti, ognuna delle quali è introdotta da un breve saggio critico "panoramico", prosegue con interventi di poeti, si chiude con due saggi critici "interrogativi". Questi i titoli delle quattro parti: "Poesia e parola: orfico, ermetico, parola" (panorama di Emanuele Trevi), "Poesia e mito: racconto, elegia, mito" (panorama di Massimo Onofri), "Poesia e lingua: classico, chiarezza, lingua" (panorama di Raffaele Manica), "Poesia e metro: maniera, citazione, metri" (panorama di Riccardo D’Anna). Tra i poeti che intervengono: Edoardo Albinati, Roberto Carifi, Giuseppe Conte, Stefano Dal Bianco, Claudio Damiani, Milo De Angelis, Gianni D’Elia, Franco Loi, Valerio Magrelli, Alda Merini, Amelia Rosselli, Maria Luisa Spaziani. Il titolo del volume si rifà alla mitica antologia La parola innamorata: i poeti nuovi 1976-1978, Feltrinelli 1978, curato da Giancarlo Pontiggia e Enzo Di Mauro: un’antologia che effettivamente diede visibilità a tutta una generazione. Oggi, tra l’altro, ci sarebbe bisogno di un’altra antologia (dopo La parola innamorata ci fu la Poesia degli anni Settanta curata da Antonio Porta, Feltrinelli 1979; e poi più nulla).

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MUSICA. Panta - Musica. Periodico quadrimestrale, ed. Bompiani. Numero a cura di Enrico Ghezzi. Pagine 421, L. 26.000 (in libreria).

E’ sicuramente divertente e interessante, questo numero del quadrimestrale Panta interamente dedicato alla musica e curato da Enrico Ghezzi (o enrico ghezzi, come lui cummingsianamente si firma). Tuttavia, viene un po’ da chiedersi a che cosa serva, un tale coacervo di materiale. Ci sono racconti, poesie, pezzi di intervista, scritti indefinibili, scritture d’ogni genere in somma, tutte legate tematicamente alla musica; e c’è un bel po’ di firme cult, da Ingeborg Bachmann a Leonard Cohen, da Laurie Anderson a Wilhelm Furtwängler, da Manlio Sgalambro a Brian Eno. Poi ci sono bellissime immagini, con una bella impaginazione. Una copertina niente male. Che cos’è, in somma, questo bel volume che a tutti viene voglia di sfogliare ma che nessuno (c’è da scommetterci) leggerà mai da cima a fondo? Una didascalia dell’ascolto, suggerisce Ghezzi. Mah. Comunque è da comprare (per chi ama la musica, per chi ama i musicisti, per chi ama la scrittura e la lettura, per chi ama la grafica - per chi ama Ghezzi).

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MUSICA E PAROLE. Nicola Campogrande, Mosorrofa o dell’ottimismo, libretto di Dario Voltolini, DDT 19301, durata 1h 10’

Nicola Campogrande è nato a Torino nel 1969 e studia composizione musicale con Azio Corghi. Dario Voltolini è nato lui pure a Torino ma dieci anni prima, e ha pubblicato alcuni libri di narrativa (piuttosto belli): Una intuizione metropolitana (Bollati Boringhieri), Rincorse (Einaudi), Forme d’onda (Feltrinelli). Mosorrofa è, così lo definiscono i due autori, un "melologo con canzoni". Per semplificare potremmo considerarlo una suite composta di: pezzi strumentali (jazzati alcuni, altri no), canzoni, pezzi recitati con musica e altro. Nell’altro ci sta perfino un pezzo recitato da "Orazio" VoxPc®, che è un software vocalico dell’Olivetti. Mosorrofa è anche, così giura Voltolini, un paese: in Calabria. I quaranta pezzi della suite sono in qualche modo una descrizione di questo paese; ma una descrizione del tutto immaginaria. Si alternano filastrocche ("Una rana una rana una rana / mi hai messo sulla pancia..."), brevi descrizioni fredde e lucide ("Io entro nell’altro padiglione, dove c’è una sala molto ampia con tavoli di legno e un banco di mescita. L’ambiente è riscaldato. La luce è bassa. Solo un tavolo è occupato, da un uomo e da un ragazza."), raccontini (simili a quelli che Voltolini pubblica nei suoi libri), vere e proprie canzoni (ricche d’immagini: "Si dice che / dentro la tua notte si aprirà, fiore blu / profumerà campi e città, / crescerà e starà appeso al grande cielo / ondeggiando lentamente, / soffice, senza età / fino a che il sole sorgerà.").
Se l’eclettismo stilistico dei testi di Voltolini va benissimo, perché ogni pezzo sembra veramente scritto con lo stile più aderente al suo contenuto (e al suo sentimento), lascia un po’ perplessi l’eclettismo (parallelo fino a un certo punto) delle scelte musicali. D’accordo, è di moda (Azio Corghi appunto, Ludovico Einaudi...) ed è forse vincente. Se per "Una rana una rana una rana" si rifanno i Nonsense di Petrassi, può anche andare; se in "Telefono" si usa il tutt-tuut per un effetto di phasing alla Steve Reich delle origini, può anche andare; però tira troppo un’aria da divertissement; e i testi di Voltolini non sembrando affatto dei divertissement, a volte si è a disagio.
Non buona la registrazione (ma è un lavoro fatto in povertà di mezzi). Inutile o peggio la noticina di Alessandro Baricco al libretto: novanta righe di enfasi.

Tiziana Ghiglioni, voce. Laura Panti e Ivo De Palma, voci recitanti. Teresa Nesci, Roberta Invernizzi, Silvia Piccollo, soprani. Piero Cresto-Dina, contrabbasso. Daniele Tione, pianoforte. Enrico Matta, batteria. Quartetto di chitarre di Asti (Marco Silletti, Gianni Nuti, Maria Grazia Reggio, Giampaolo Bovio). Toujours Ensemble (Francesca Gosio, Michele Mo, Gianni Nuti, Luigi Picatto, Piergiorgio Rosso, Silvia Sandrone). Libretto con tutti i testi in italiano e in inglese.

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MUSICA E POESIA. Philip Glass, Hydrogen Jukebox, libretto di Allen Ginsberg, Elektra Nonesuch 7559-79286-2, durata 1 h 15’

La collaborazione tra Glass e Ginsberg comincia nel 1988 quando Glass, richiesto di un pezzo dal Viet Nam Veteran Theater, scrive una parte pianistica che accompagni la lettura di Ginsberg del "Wichita Vortex Sutra" (per il lettore italiano in Mantra del Re di Maggio, Mondadori 1973). Poco dopo nasce il progetto di un "portrait of America" con testi di Ginsberg e musica di Glass. La scelta cade su una serie di testi vecchi e nuovi (da "Moloch", frammento del celebre "Howl" ["Urlo"], fino a poesie degli anni Novanta) e, d’accordo con la coreografa Ann Carlson, le parti vocali vengono ripartite tra sei personaggi, rappresentativi di sei "caratteri americani archetipici": la donna poliziotto, l’uomo d’affari, il prete, l’operaio metalmeccanico, l’oratore, il pensionato. Per Glass, dopo il sanscrito di Satyagraha, l’egiziano antico di Akhnaten, il latino di Civil Wars e le sillabe in libertà di Einstein on the Beach, Hydrogen Jukebox è il primo confronto (riuscitissimo) con una lingua comprensibile al pubblico. A parte la suggestione della voce di Ginsberg (che nel disco legge, oltre al "Sutra", anche "Nagasaki Days"; e interviene qua e là), il pezzo più bello è forse "The Green Automobile" (sempre da Mantra del Re di Maggio), forse la poesia più catulliana di Ginsberg, che diventa una splendida e dolcissima song ("chilhood youthtime age & eternity / would open like sweet trees / in the nights of another spring / and dumbfound us with love, // fir we cab see together / the beauty of souls / hidden like diamonds / in the clock of the world..."; "infanzia giovinezza vecchiaia & eternità / si aprirebbero come alberi dolci / nelle notti di un’altra primavera / a confonderci d’amore, // perché possiamo vedere insieme / la bellezza di anime / nascoste come diamanti / nell’orologio del mondo..." [trad. Fernanda Pivano]).

Martin Goldray, tastiere. Carol Wincenc, flauto. Andrew Sterman, sax soprano, clarinetto basso. Frank Cassara e James Pugliese, percussioni. Richard Peck, sax tenore. Complesso vocale: Elizabeth Futral e Michele Eaton, soprani; Mary Ann Hart, mezzosoprano; Richard Fraker, tenore; Gregory Purnhagen e Nathaniel Watson, baritoni. Allen Ginsberg, voce narrante. Philip Glass, pianoforte. Martin Goldray, direzione.

Notiziole

A METÀ PREZZO. Luglio e agosto non sono i mesi migliori per i frequentatori delle librerie a metà prezzo (intendiamo i cacciatori di cose introvabili, non i compratori di Nuove smorfie). Pochi arrivi. Abbiamo visto in circolazione qualche copia della Modesta proposta per prevenire di Giuseppe Berto (Rizzoli, 1971, pp. 265, prezzo intero L. 16.000): un libro che si rifà un po’ (dichiaratamente) a Swift e un altro po’ (non dichiaratamente) a Shaw. Uno dei libri più egocentrici che siano mai stati scritti. Un atto d’accusa contro praticamente tutto ciò che c’è nell’Italia del 1971. Imperdibile per chi è incuriosito dall’invettiva come esercizio di stile, illeggibile per tutti gli altri.
Qualche ricomparsa Longanesi. Di Rupert Crawshay-Williams, Il mio amico Bertrand, 1971, pp. 257, prezzo intero L. 16.000. Un po’ una biografia di Bertrand Russell, un po’ un libro di ricordi, un po’ la filosofia russelliana esposta al popolo. Simpatico. Una bellissima fotografia di Russell sulla sovraccoperta. Poi: Theodor W. Adorno, Kierkegaard: la costruzione dell’estetico, 1983 (seconda edizione, nella Biblioteca Longanesi), pp. 401, prezzo intero L. 15.000. Un’opera giovanile il cui tono è "sovente più idealistico e solenne di quanto non sia perdonabile", come scrive lo stesso Adorno nella prefazione all’edizione italiana. Infine una chicca. Rispunta qualche copia di John Lennon, Vivendo cantando, 1964, pp. 81, prezzo intero L. 10.000. Raccontini e poesiole assurdi, divertenti, amorevoli. "Faccio parte dei famigerati Beatles e a molti di voi i miei (e di P. di G. e di R.) dischi sembreranno più belli di questo libro, ma per quel che mi competisce questa raccolta di brevi scritti è la più fantastica risata che mi sono mai fatto. Che Dio vi aiuti eccetera a tutti quanti." Con prefazione di Paul e disegni di Robert Freeman. Tra l’altro: sul frontespizio di questo libro appare, attribuito a Freeman, il disegno che appare, attribuito a Lennon, sulla copertina di Free as a bird. Qualcuno sa come stanno le cose?

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NARRATIVA, POESIA E TEATRO PER L’INFANZIA. Il comune di Marostica (Vi) ha bandito la nona edizione del premio "Arpalice Cuman Pertile" di letteratura per l’infanzia. Si tratta di uno dei premi più prestigiosi, in Italia, per questo settore. Quest’anno le sezioni sono tre: 1) poesie d’oggi per ragazzi d’oggi; 2) fiabe, novelle, racconti; 3) teatro per ragazzi e per la scuola. I testi (non più di 12 cartelle dattiloscritte di 25 righe da 60 battute; le poesie devono essere almeno 8 e non più di 12) devono essere inviati entro il 14 settembre 1996, in dieci copie anonime, a: Assessorato alla cultura del Comune di Marostica, via Tempesta 17, 36063 Marostica (Vi). Nel plico va inserita una busta sigillata con all’interno i seguenti dati: nome e cognome, data e luogo di nascita, residenza, recapito telefonico; più una dichiarazione che l’opera presentata è inedita. Premio per ciascuna sezione: due milioni.

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FUMETTO: MOSTRE E MERCATI. Illustratori per l’infanzia, Chioggia (Venezia), Associazione culturale Teatrio, fino al 31 agosto, per informazioni 041-5236661. Umbriafumetto 96, Perugia, Rocca Paolina, dal 3 al 15 settembre (mostra mercato dal 5 all’8 settembre), per informazioni 075-5731074 o 075-5731322. Biblos e Multimedia, Erba (Como), Centro Espositivo Elmepe, dal 13 al 16 settembre, per informazioni 031-684175 o 0348-2201255. Bologna Comics, 14 e 15 settembre, Bologna, Istituto Graf, per informazioni 051-562863. Cartoombria, dal 26 al 28 settembre, Festival internazionale del cinema d’animazione, Perugia, Teatro del Pavone, per informazioni 075-5726764. Comic Convention 96, Milano, Quark Hotel di via Lampedusa, 28 e 29 settembre, per informazioni 02-6706419 o 02-2578330.

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