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Per dodici anni direttore del Gazzettino di Venezia, negli ultimi due si è dedicato quasi interamente al fenomeno Triveneto. Giorgio Lago spiega perché, secondo lui, quest’area è diversa dal resto d’Italia e perché adesso le serve, dopo il crollo della DC, una nuova rappresentanza politica

Nord Est, scapolo, ricco,
cerca buon partito

D icono che il Nordest, come nome, entità e magari tormentone da mass media, lo abbia inventato lui. Ma anche non fosse vero, gli va riconosciuto quello che lui stesso chiama "il mio accanimento terapeutico sul Nordest". E Giorgio Lago, ex direttore del Gazzettino che ha lasciato dopo 12 anni, non intende staccare la spina a un paziente certo sano ma terrorizzato delle malattie. Insomma oggi è difficile parlare del Nordest senza consultare Lago. Un po' perché sui misteri economico-sociali di queste tre regioni italiane che vengono a studiare anche dall'estero è diventato inevitabilmente un esperto. E un po' perché all'orizzonte potrebbe apparire un nuovo partito politico. Per un Nordest lanciato in corsa ma senza teste pensanti. Un partito e un bisogno di leadership veneta su cui Lago, forse, sta facendo più di un pensierino.

Esordio inevitabile: esiste veramente un Nordest come area comune? Qualcuno dice che il fenomeno Triveneto è legato soprattutto alla svalutazione della lira che ha favorito le esportazioni. Tanto che adesso ci sarebbero i primi segii di crisi. Allora?

Allora ci vuole una premessa. Il Nordest prescinde da lira o non lira. Il problema è che c'è un mare di ignoranti che se ne occupa, ignoranti nel senso che non sanno. Gli unici che hanno avuto un atteggiamento serio sul Nordest sono stati gli stranieri. Che sono venuti a vedere come funziona: i giapponesi qualche anno fa, poi gli Stati Uniti, l'università di Harvard, il Financial Times. Perché? Perché è un'area europea: invece di ripetere i vecchi luoghi comuni bisogna informarsi. Se no basta passare qui un giorno, prendere un taxi e mangiare in un ristorante per dire di aver capito tutto. Detto questo, il Nordest esiste. Ed è esistito più volte: dall'antica regio-romana al dominio della Serenissima, dall'amministrazione austriaca al Triveneto. E poi non si dice Tre Venezie? Insomma non è una formula: c'è un'area comune da molto tempo. E non è Venetocentrica. Anzi: la caratteristica è il suo policentrismo. In tutto: non ha una città capitale, non ha un centro. E' un policentrismo territoriale e culturale, di identità ed economico. Tre in uno, anche se è l'ultimo che ha fatto scoppiare il caso. E' quello che si può definire "l'altro capitalismo": 432 mila imprese, un'economia che ha saldato la frattura marxista tra lavoro autonomo e dipendente. E i due non si distinguono più. Un sistema reattivo, pronto a modificarsi. Insomma l'antidoto alla crisi generale, anche per questo lo hanno studiato. La controprova? Che l'unico insediamento industriale di stile "fordista", cioè Marghera, è in crisi.

Intanto il responsabile del Censis, De Rita, dice che "il Nordest è senza testa". E perfino Bossi parla di zone dove "c'è solo lavoro e niente politica". Non è un rischio? O è inevitabile?

Certo per i politici questo è un sistema schematico, meno controllabile. Ma è vero, ha bisogno di un ceto politico. Ho scritto tempo fa che un sacco di gente pensa ad un partito del Nordest, un partito di tipo catalano, o tipo Cdu di Strauss. Per carità, non per imporre il dialetto nelle scuole. Ma per mettere sul tappeto una serie di cose che servono: federalismo, poteri dei sindaci, rapporti con lo Stato. Insomma un partito che chiede i voti non per frammentarsi negli altri schieramenti, ma per sostenere un ceto politico che porti avanti gli interessi del Nordest. Sulle strutture economiche, poteri, decentramento, funzionalità. Quello che so è che ne parlano, quello che non so è dove può portare. Ma questa esplosione di proteste del Triveneto sul fisco, lo Stato assente e inefficiente, tutto trova il suo momento di sintesi in un ceto politico.

Eppure per alcuni economisti il boom Nordest è formato da migliaia di famiglie che lavorano in casa 12 ore al giorno, in modo arretrato, senza aggiornamento tecnologico...

Vogliamo dire che c'è poco investimento nelle aziende? E' vero. Ma uno dei malesseri di quest'area è proprio questo: le migliaia di piccole ditte del miracolo Nordest sono nate sottocapitalizzate. Solo lavoro e intraprendenza. Poi, quando sono cresciute, hanno scoperto che il sistmea finanziario non era fatto per le imprese microscopiche. E che non c'erano strutture statali adeguate. Insomma serve un fisco che premi il reinvestimento degli utili, un credito meno rigido. Da qui l'incazzatura con un fisco che con il 60 per cento di prelievo è il più alto d'Europa. Conclusione: vogliono più infrastrutture, un sistema fiscale moderno e delle banche all'altezza.

Va bene, però un lato debole c'è: il Triveneto non produce più cultura, qui si lavora, si accumula e basta, non si leggono libri, dicono che si sono persi valori antichi. E non c'è rispetto per l'ambiente, si fanno capannoni di cemento a ritmo continuo, si costruiscono case brutte e senza identità, quelle quadrate con le scalette e il terrapieno: non è una grande immagine...

C'è del vero e del falso. Certo c'è stata una grande frattura dalla cultura contadina. Ricordiamoci che fino a qualche decennio fa qui c'era una straordinaria povertà. E quando si è poveri si bada al sodo. Così si emigrava, in America, in Germania e alla Fiat di Torino. E quando sono tornati emigranti e i loro soldi si è rivisto il sole. Ma non c'era una cultura urbanistica. E i geometri hanno fatto il saccheggio. Adesso però ci sono comuni che stanno cercando di recuperare. E' vero che in mezzo ci sono mostri, ma il peggio è passato. Anche sulla tutela ambientale c'è recupero. E poi, non per difendere gli errori del Nordest, in Italia non c'è mai stata grande sensibilità sull'argomento. I valori perduti? E' vero, c'erano. Ma quanta ipocrisia, quanto clericalismo, quanti bigotti c'erano? La cultura è cresciuta. Anche allora nelle famiglie c'erano orrori e violenze, ma non se ne parlava. Comunque non si può dire a qualcuno "produrre, produrre" e poi dirgli di non mettere i nanetti nel giardino. I rischi? la distrazione, la scuola abbandonata per andare a lavorare, cercare di recuperare il tempo perduto con superficialità. Questo è il pericolo. Si tratta di un momento complesso: dai campi si passa all'Europa, la cultura contadina del Triveneto si è persa e non ne è nata una di nuova. Ma è qui la differenza con altre regioni: il Nordest è diventato un laboratorio per le riforme. Non voglio nascondere i Maso che uccidono i genitori, i naziskin, le stragi del sabato sera sulle strade, l'ignoranza diffusa. Ma vedo anche altre cose: i 300 mila volontari dell'associazionismo, i giovani che fanno sport, le università, la solidarietà degli alpini, il primato di una regione leader per i trapianti di organi.

L'ex ambasciatore Sergio Romano dice che i politici italiani hanno paura del federalismo. Perché è troppo complicato da applicare ad uno Stato "paralizzato" come il nostro (mobilità e numero dei dipendenti pubblici, privilegi, rivalità tra Comuni, Province e Regioni). Una guerra già perduta?

E' vero che il federalismo è complicato. Spadolini diceva che quello italiano più che Risorgimento era un "sorgimento", perché prima non c'era nulla. Così questo del Nordest si può chiamare "vero Risorgimento". E' una battaglia immane, forse tra 10 anni vedremo la fine. Ma bisogna farla partire, dare dei segnali. Si, sono d'accordo sui politici impauriti. Ma è bene dire che la politica è ostaggio della macchina, del sistema, di 3 milioni di dipendenti pubblici, della burocrazia. Ci sono tre strati sovrapposti, nello Stato italiano: sabaudo, fascista e repubblicano. Troppo lontano il federalismo? L'Europa non aspetta? Ma all'Unione europea basta un segnale. E il governo intanto deve tenere in piedi lo Stato per arrivare poi alle riforme, l'importante è che funzioni. E poi federalismo è una parola mal usata: nulla è federalismo ma tutto lo prepara. Facciamo i primi passi, facciamo capire che la cultura centralista si sta consumando. Perché questi sono i due nemici: la cultura centralista, appunto, e gli apparati. La mia idea. a dire il vero, è per un'assemblea costituente, non vedo di cosa tanti costituzionalisti debbano aver paura. Non la vogliono? Vedremo...

...e torna l'idea di un partito del Nordest con Lago protagonista.

Mai pensato a fondare un partito, lo ripeto. Anche se avrei un grande credito. Comunque non è un'idea peregrina. Ma quanto a me, non ci pensavo prima e spero di continuare a fare il mio mestiere. Quello che conta è che per la prima volta nella storia italiana c'è la sensazione che lo Stato va cambiato. E il luogo dove tutto questo sta nascendo è il Nordest.

Alessandro Mognon