[PRIMO PIANO]
Secondo gli imprenditori è ancora necessario tenere basso il valore della moneta per competere sui mercati esteri

Che bei tempi
quando la lira era in cantina...

Nei primi giorni di luglio si è assistito ad un acceso dibattito tra le categorie economiche e il governo sull’opportunità di ridurre i tassi di interesse.

Dietro la polemica, difficile da comprendere per la gente comune, si nasconde in realtà una implicita opposizione a ipotesi di rivalutazione del cambio da parte delle organizzazioni degli imprenditori : "vogliamo tassi di interesse più bassi per allontanare i flussi finanziari che oggi accrescono la forza della nostra moneta; il governo non corra troppo verso gli obiettivi di Maastricht, perché abbiamo ancora bisogno di svalutazione per competere sui mercati esteri."[soldi]

In prima fila a sostenere questa posizione troviamo molte piccole imprese del Nordest. Perché? Forse la nostra economia regionale non è più in grado di competere a condizioni di prezzo meno favorevoli ? Non siamo forse più l’economia post-fordista che vince grazie alla qualità dei prodotti, alla strategia di nicchia e alla qualità e flessibilità del lavoro ?

Per capirne di più è indispensabile ricordare, al di là di quanto si dice sui giornali, che la collocazione dei prodotti del Nordest è ancora oggi in gran parte nella fascia intermedia di qualità.

In questa fascia il prezzo conta ancora molto, soprattutto quando si muove in relazione ai prezzi internazionali di riferimento. Facciamo un esempio. Il prezzo di un prodotto per l’arredamento della fascia intermedia, entro una certa banda di oscillazione, può variare senza grandi conseguenze pratiche.

Quando però si avvicina al prezzo dei prodotti della fascia bassa (nel caso di una svalutazione) provoca una reazione positiva nei clienti finali. La svalutazione valorizza i prodotti della fascia intermedia, poiché sposta le preferenze dei consumatori e degli stessi intermediari verso un nuovo rapporto prezzo/qualità.

La rivalutazione produce invece l’effetto opposto: quando il prezzo relativo dei prodotti della fascia intermedia si avvicina a quello della fascia alta, i consumatori sofisticati tornano ad orientarsi verso i prodotti di qualità alta, mentre gli altri si spostano decisamente sulla fascia più bassa. In questo caso tende a diminuire di molto la visibilità e la reputazione dei produttori della fascia intermedia.

Le imprese del Nordest escono da un periodo di forte ripresa, favorito in modo netto dalla svalutazione del 1992, ma non hanno ancora provveduto a consolidare la propria presenza su alcuni mercati. Per questa ragione sentono di essere impreparate ad una fase di cambio alto e ad una variazione dei prezzi relativi.

D’altra parte esse hanno avuto finora grande successo in alcune specifiche aree d'affari (quelle della sub-fornitura internazionale e della produzione di componenti e prodotti intermedi per il ciclo industriale) grazie al fatto che sono state le prime in Europa a disporre di quello specifico patrimonio imprenditoriale che risulta indispensabile per competere nei mercati di fornitura (parliamo della flessibilità e specializzazione che caratterizzano il ruolo dei buoni sub-fornitori e contoterzisti).

Tale patrimonio si è formato in Italia e nel Nordest in particolare (prima che altrove) per le vicende che hanno portato il nostro paese ad anticipare traiettorie di out-sourcing della grande impresa che sono oggi riconosciute come tipiche del passaggio alla fase post-fordista dello sviluppo economico.

Lo stesso patrimonio tende tuttavia a formarsi, attraverso nuovi percorsi e con un ritmo accelerato oggi dai processi di globalizzazione, tra i nuovi competitori collocati in paesi in crescita, soprattutto asiatici.

Nelle aree d'affari della sub-fornitura internazionale e della produzione di componenti di fascia intermedia il vantaggio delle imprese trivenete rischia di essere messo in discussione proprio da un possibile rafforzamento del tasso di cambio (determinato dal processo di convergenza del nostro paese verso il processo di unificazione monetaria dell’Unione Europea).

La qualità dei fattori e dell’ambiente sociale rimangono una base importante di vantaggio competitivo (scuole tecniche di buon livello per la meccanica e apprendistato per i settori tradizionali), ma la dinamica dei prezzi relativi potrebbe indurre effetti non desiderati sulle nostre quote di mercato prima che le nostre imprese siano in grado di sviluppare politiche da fascia alta.

La costruzione di un nuovo modello non può che passare attraverso l’organizzazione di reti e il cambiamento radicale dei rapporti tra impresa e territorio, verso un sistema che punti su una maggiore interazione tra i luoghi del sapere scientifico e quelli in cui prende forma il sapere contestuale e pratico della produzione industriale tradizionale.

Nella nuova divisione internazionale dal lavoro, ancora tutta da precisare, il mantenimento del vantaggio competitivo del Nordest si raggiunge attraverso il passaggio da un sistema che lavora nella fascia intermedia dei prodotti industriali, dipendente dal cliente finale, dagli intermediari e dalla variazione dei prezzi relativi, ad un sistema che conquista sul mercato globale la reputazione di home base della prototipazione e dello sviluppo di prodotti innovativi per le grandi e le piccole imprese con una forte componente di servizi ad elevato valore aggiunto.

Solo in una situazione nuova come quella qui ipotizzata i timori legati ad una prospettiva di rivalutazione del cambio sarebbero completamente fugati e il sistema si troverebbe a competere sulla base della qualità dei prodotti e dei servizi che offre e non sulla base del prezzo.

Le polemiche di questi giorni dovrebbero essere sostituite da una maggiore attenzione ai fattori strutturali e alle politiche che anche nel Nordest stentano a trovare sostenitori e soggetti attuatori.

Paolo Gurisatti