[PRIMO PIANO]
Viaggio tra i sistemi produttivi che fanno ricco il Veneto

Scarpe, mobili e vetro soffiato

Ma tra le specializzazioni ci sono anche comparti
come concia, marmo, meccanica e lavorazione dell’oro.


Il distretto della lavorazione del marmo nella Valpolicella

La Valpolicella può rappresentare l’ideale punto di avvio della fascia pedemontana veneta, e costituisce anche una sorta di cerniera tra l’area trentina e quella bresciana, e cioè le due direttrici lungo le quali posegue oltre il Veneto la configurazione distrettuale del Nordest.

Le produzioni di forza di quest’area sono nel corso del tempo mutate, seguendo un percorso evolutivo che, probabilmente, rappresenta uno degli esempi più interessanti di ricostruzione dinamica del vantaggio competitivo locale.

Originariamente, come molte aree a ridosso dei sistemi prealpini, è stata l’estrazione del marmo e della pietra ad innescare il processo di industrializzazione. Va per altro ricordato che la Valpolicella conserva ancora oggi una forte presenza dell’attività agricola, in particolare nella produzione di vini.

Con l’estrazione si è contestualmente affermata anche l’attività di lavorazione della pietra, attività che ha costituito la base per la creazione di una elaborata competenza lavorativa. Nell’area ha sede anche una importante scuola professionale (fondata ancora nel 1867) che prepara tecnici qualificati nella lavorazione dei materiali lapidei.

Ad un certo punto, questa competenza è diventata la risorsa strategica per superare i vincoli imposti dall’esaurimento della materia prima in loco. Oggi, nonostante nell’area l’attività estrattiva assuma un carattere residuale, nel distretto "allargato" della Valpolicella operano circa 400 imprese specializzate e quasi 4000 addetti, con un ruolo di leadership mondiale nella lavorazione di graniti e del marmo di qualità.

La varietà di materiali lavorati rende difficile ottenere dati precisi sulle quote complessive di mercato: alcune stime offerte dagli operatori locali portano comunque a ritenere che specie per alcuni tipi di marmo e granito, la lavorazione locale abbia un ruolo preponderante nella produzione mondiale.

Ad esempio, nella produzione di "agglomerato" (lastre ottenute da un impasto di piccole pietre e resine speciali) si hanno nell’area i più importanti produttori mondiali. La quota di export supera l’80% della produzione, metà della quale destinata ai mercati extra-europei.

E’ fin troppo evidente rilevare come, una tale dimensione di attività comporti due fondamentali problemi: il primo è quello delle macchine speciali per il taglio e la lavorazione (telai da granito e diamantati, levigatrici, impianti a filo elicoidale, gru argani, ecc.), macchine le cui caratteristiche rendono questo mercato di beni intermedi molto particolare (in senso "marshalliano"); il secondo è quello del trasporto della materia prima e, poi, di distribuzione della pietra lavorata nei mercati di destinazione, che, dati il peso e le dimensioni del prodotto, rendono questa attività altamente costosa in rapporto al valore aggiunto.

Proprio questi due settori, che ad un certo punto potevano rappresentare svantaggi selettivi per l’area, sono diventati quelli che nel corso degli ultimi dieci anni si sono sviluppati maggiormente, rafforzando l’originario vantaggio nella lavorazione con le competenze specialistiche nella meccanica strumentale e, soprattutto, nei sistemi di logistica-trasporti.

Proprio nel centro principale del distretto, a Sant’Ambrogio Valpolicella, ha sede una delle più importanti fiere mondiali sulle tecnologie del marmo. A Domegliara, frazione di San’Ambrogio, è stato invece realizzato un importante terminal ferroviario privato, con un consorzio tra imprese ed enti locali che gestisce direttamente i collegamenti con i principali porti del Tirreno e con la Sardegna.

L’area specializzata della calzatura veronese

Oltre al distretto integrato del marmo, un’altra nota area di specializzazione produttiva nel veronese è quella della calzatura. Fino a qualche anno fa, l’area della calzatura si estendeva su gran parte dell’alto veronese, coinvolgendo anche la cintura urbana del capoluogo: nel 1981 si potevano contare nell’insieme dell’area circa 800 imprese e 10.000 addetti.

Oggi, una dimensione distrettuale può venire riconosciuta solo nel sistema locale di San Giovanni Ilarione, dove sono occupati nel settore circa 1500 addetti, un valore che pesa per oltre la metà dell’occupazione manifatturiera del sistema locale.

Il livello non particolarmente elevato, da un punto di vista qualitativo, delle produzioni – esito di una specifica strategia competitiva orientata a sfruttare prevalentemente vantaggi di costo – ha reso quest’area particolarmente esposta alla concorrenza internazionale.

E così, non appena si sono fatti sentire i venti della crisi, lo scarso radicamento delle competenze e delle risorse imprenditoriali sul territorio (l’indice di densità industriale è tra i più bassi tra i distretti veneti) non ha fornito alle imprese locali le necessarie capacità di reazione, e il distretto si è avviato verso un declino che sembra effettivamente difficile invertire.


Il distretto del mobile d’arte della bassa veronese

Un altro tipico distretto industriale veronese è quello del mobile in stile, insediato nella pianura bassa, presso le località di Cerea e Bovolone. Si tratta di sistemi produttivi a forte base artigianale, e dove la manualità costituisce ancora oggi una delle caratteristiche del processo di produzione.

Nell’insieme dei due sistemi locali vi operavano nel 1991 quasi 7500 addetti, con indici molto elevati sia di specializzazione (il settore principale occupava oltre il 60% degli addetti manifatturieri) che di densità imprenditoriale (a Cerea si toccava la massima soglia regionale, con 4,63 imprese manifatturiere ogni 100 abitanti, e un’incidenza delle imprese artigiane dell’80%).

Le minacce allo sviluppo di questo distretto non vengono tanto dall’emergere di nuovi competitors mondiali – per i quali sarebbe comunque molto difficile riprodurre saperi contestuali così radicati e poco trasferibili – quanto piuttosto dall’indebolimento del mercato esterno dei prodotti – i quali, essendo molto caratteristici, rischiano di essere soggetti alla modifica dei gusti della domanda – nonché dall’esaurimento del mercato interno del lavoro qualificato.

E’ un caso, questo, in cui nessun processo formativo può aver successo se è contestuale ad un’adesione culturale da parte della società locale, e in particolare delle nuove generazioni. Ed è questo, probabilmente, uno degli ostacoli più difficili da superare, anche perché nessuna politica economica può, da sola, pensare di risolvere.


L’area sistema del termomeccanico

A quest’area si affianca e, in parte si sovrappone il sistema produttivo della termomeccanica centrato su Legnago e, di fatto, collegato alla rete dell’indotto Riello. Ancora all’inizio degli anni ‘80 si poteva misurare sull’insieme di quest’area una presenza di circa 1000 addetti, ma in maggioranza occupati in imprese di media e grande dimensione.

Si tratta, proprio per questo, di un distretto industriale sui generis, anche se, come vedremo sucessivamente per il sistema Zanussi a Conegliano, o per Marzotto a Valdagno, il rapporto tra grande e piccola impresa è nel Nordest di tipo auto-generativo.

Da un lato è la grande impresa a dare la spinta di avvio della specializzazione, dall’altro è il sistema di piccole e medie imprese che definisce quel bacino di competenze distribuite che costituisce per la grande impresa un fattore strategico di insediamento.


Il distretto conciario di Arzignano

Nella Valle del Chiampo, che segna il limite sudoccidentale della pedemontana vicentina, si concentra uno dei più importanti distretti conciari d’Europa. Con circa 7500 addetti, il settore pelli e concia impiega circa un terzo dell’occupazione nell’industria locale, con un livello molto elevato di apertura internazionale.

Recenti indagini (Ires Veneto, 1995; 1996) hanno individuato in quest’area la maggiore esposizione verso l’estero tra le imprese distrettuali del Veneto, sia per quanto riguarda i mercati di sbocco che per gli approvvigionamenti.

Va sottolineato come il sistema locale di Arzignano – che comprende tutta la Valle del Chiampo e si estende fino al polo di Montecchio Maggiore – rappresenta l’area a più alto tasso di industrializzazione di tutto il Nordest: secondo gli ultimi dati censuari ben il 63% degli addetti era qui occupato nella manifattura.

La specializzazione conciaria si sovrappone, del resto, con un’originaria specializzazione nella lavorazione dei marmi, tuttora presente nella località di Chiampo, anche se con un peso tendenzialmente calante.


Il polo elettromeccanico di Montecchio Maggiore

L’area di Arzignano si integra, inoltre, con lo sviluppo del settore meccanico, e in particolare dell’elettromeccanico, la cui base distrettuale è situata nel vicino polo industriale di Montecchio Maggiore.

L’industria meccanica occupa, nel complesso, il 40% degli addetti alla manifattura (si tratta di quasi 25.000 addetti), ma ben tre quarti di questi lavorano nelle industrie specializzate dell’elettromeccanico.

Nell’area hanno sede alcune delle imprese leader del settore (come Fiamm, Ceccato, Lowara, ecc.), le quali assieme ad una vasta platea di piccole e medie imprese hanno di fatto realizzato uno dei più importanti poli elettromeccanici d’Europa.


Le specializzazioni nel settore abbigliamento nella bassa e media pianura veneta

I sistemi insediativi della bassa e media pianura veneta sono stati tradizionalmente rappresentati come aree periferiche o, tuttalpiù, di transizione. In effetti, i sistemi locali organizzati lungo questa fascia hanno mostrato potenziali di sviluppo industriale assai più limitati delle aree centrali e pedemontane.

Vincoli di accessibilità, una rete infrastrutturale molto più rada e una struttura insediativa più sparsa, ma anche la presenza di aziende agricole ancora vitali, sono in parte le ragioni che spiegano la maggiore difficoltà di innesco di significativi processi di industrializzazione.

Proprio l’originaria struttura agraria, che a differenza della pianura alta era qui contraddistinta dal latifondo piuttosto che dalla piccola proprietà contadina, costituisce molto probabilmente uno dei fattori più significativi di differenziazione dei processi sociali dello sviluppo economico.

Nell’area di Rovigo il ruolo dell’agricoltura ha costituito, almeno parzialmente, una base per iniziative di tipo industriale nel settore della conservazione e della trasformazione dei prodotti, anche se di polo agro-alimentare si è parlato più nei dibattiti di politica industriale che non nel sistema concreto di azione economica.

Nella fascia della pianura intermedia – che comprende, oltre alla bassa veronese, le aree più a sud del padovano e del vicentino – alle tradizionali vocazioni agricole si sono progressivamente sovrapposti alcuni addensamenti produttivi specializzati, in particolare nel settore dell’abbigliamento.

Tuttavia, le caratteristiche di questi processi di industrializzazione tardiva sembrano indicare un modello di sviluppo nel quale le imprese locali svolgono, prevalentemente un ruolo di fornitura delle principali imprese del settore localizzate nelle aree centrali.

Nonostante alcune di queste aree possano rientrare nei criteri "ufficiali" di individuazione dei distretti industriali, si tratta in larga misura di produzioni in serie, per le quali il rapporto con il mercato è spesso mediato da imprese e gruppi localizzati altrove.

A questo modello di specializzazione dipendente fanno eccezione almeno due sistemi produttivi specializzati: il primo è quello situato nell’Alto Polesine, tra le località di Lendinara, Trecenta e Badia, all’interno del quale si è consolidato un processo locale di sviluppo imprenditoriale nel settore dell’abbigliamento casual, che si è progressivamente affrancato dal ruolo di subfornitura di bassa qualità; il secondo è l’area specializzata della pellicceria, situato nella bassa padovana.

In entrambi i casi, pur trattandosi di sistemi produttivi non particolarmente rilevanti in termini quantitativi, la crescita imprenditoriale si è accompagnata ad investimenti nel campo del design e della commercializzazione diretta, favorendo un accumulo locale di competenze che, oggi, rappresentano una importante base di vantaggio.


Il sistema produttivo integrato dell’Alto vicentino

Una delle più significative organizzazioni produttive di tipo "distrettuale" si riscontra nei nuclei di prima industrializzazione dell’Alto vicentino.

Attorno alle località di Schio, Thiene e Valdagno, oltre alla conferma della vocazione storica nell’industria tessile e dell’abbigliamento, si afferma in anni più recenti una forte base nella meccanica strumentale, in parte collegata al settore tessile-abbigliamento attraverso un percorso evolutivo che struttura il collegamento tecnico e imprenditoriale di "filiera".

In particolare, nei sistemi locali di Thiene e Schio sono occupati circa 8.000 addetti nel settore tessile e quasi 5000 nell’abbigliamento (con una incidenza dei due settori pari, nell’insieme, ad un terzo del totale manifatturiero).

Sempre nelle stesse aree, le imprese specializzate nella meccanica strumentale occupavano al 1991 circa 10.000 addetti; se ad essi si sommano tutti gli altri addetti dei comparti del meccanico, il peso della specializzazione di sistema supera il 40% della manifattura.

Nella Valle dell’Agno si è invece progressivamente consolidata, a partire dai primi insediamenti Marzotto del XIX secolo, una specializzazione nel settore tessile (2500 addetti al 1991) e dell’abbigliamento (che oramai ha raggiunto i 3000 addetti), per quanto sia più difficile riconoscere in quest’area, data la dominanza della grande impresa, la tipica organizzazione distrettuale di tipo "marshalliano".

L’origine storica dello sviluppo dell’Alto vicentino va forse sottolineata sia per comprenderne meglio gli attuali caratteri socio-economici sia, soprattutto, per evitare l’equivoco di considerare uno dei nuclei produttivi originari del Nordest come un sistema marginale e in ritardo, o tutt’al più "periferico" dello sviluppo economico italiano.

Recenti ricerche storiografiche hanno infatti documentato come all’interno di quest’area si siano manifestati tra la fine del XVIII secolo e la prima metà dell’800, alcuni dei momenti più significativi dei processi di industrializzazione europea .

In questo senso, i caratteri peculiari dello sviluppo di piccola e media impresa e dell’organizzazione "distrettuale" della base produttiva, che oggi connotano il paesaggio economico del Nordest, non possono venire letti come episodi congiunturali emersi solo con la crisi dei grandi sistemi industriali e urbani ereditati dal fordismo.

Diventa invece più giusto osservare l’organizzazione dello sviluppo di gran parte del Nordest, e in particolare dell’area Pedemontana veneta e friulana, come l’esito di processi storici e sociali di lunga durata, ben radicati nel terreno dell’industrializzazione europea.


Il sistema multisettoriale del Bassanese

Proseguendo con la descrizione del paesaggio industriale della fascia Pedemontana si incontra, oltrepassato il sottosistema dell’Alto vicentino, l’area bassanese, nella quale sono presenti sistemi produttivi specializzati di notevole rilievo economico.

Tra questi vanno segnalati quello della ceramica artistica, dell’oreficeria e del mobile. In particolare, è da segnalare il settore del mobile (che misurava ancora agli inizi degli anni ‘80 circa 500 unità locali e 4000 addetti) sia per la specificità del segmento produttivo e di mercato che lo contraddistingue – si tratta del tipico mobile "rustico", adatto per arredamenti di taverne e locali all’aperto – sia per i collegamenti con il settore "a monte" del legno, che vede proprio nell’Altopiano di Asiago e nelle altre zone orograficamente più svantaggiate della Pedemontana, delle significative aree di produzione.

La ceramica artistica, in gran parte addensata nella località di Nove presenta valori occupazionali equivalenti a quelli del settore del mobile, ma in questo caso sono più caratterizzate sia la tipologia artigianale (l’80% delle imprese) che la concentrazione spaziale (a Nove è localizzato il 30% dell’occupazione regionale del settore).

Il settore orafo presenta livelli più modesti in valore assoluto, ma in ogni caso significativi, soprattutto se si considera la particolare specializzazione rispetto al vicino distretto orafo vicentino nella lavorazione a catename.

Vi sono tuttavia anche altre specializzazioni settoriali minori – definibili di tipo "proto-distrettuale" – che caratterizzano il modello di sviluppo del bassanese, indicando così una modalità di organizzazione su base locale della produzione industriale che si presenta in quest’area con una forza difficilmente rintracciabile in altri contesti: ad esempio, insiste sulla fascia a sud-ovest di Bassano un sistema produttivo integrato per componenti di bicicletta il quale, nel corso del tempo, si è non solo rafforzato in termini competitivi (ad esempio, la produzione di selle ha raggiunto una tale qualificazione produttiva e commerciale che nessun altro competitors mondiale è in grado di raggiungere) ma si è anche esteso ad altri settori collaterali (come l’abbigliamento ciclistico, le calzature per bicicletta, ecc.), fino a formare un sistema di competenze distribuite che viene riconosciuto come il terreno più fertile anche per la rilocalizzazione della produzione di medio-grandi imprese.


Il distretto della calzatura sportiva di Montebelluna

Immediatamente ad ovest dell’area bassanese è situato un altro importante distretto industriale: quello della calzatura sportiva di Montebelluna. Si tratta di una delle principali aree di specializzazione produttiva in Veneto ed è, molto probabilmente, uno dei distretti industriali più conosciuti.

Questo distretto è stato infatti assunto nella letteratura economica come caso esemplare di cluster settoriale integrato su base locale . La sua importanza è data, innanzitutto, dalla consistenza produttiva e occupazionale: il distretto di Montebelluna, che coinvolge un comprensorio nel quale sono presenti almeno una decina di comuni, conta circa 350 imprese specializzate nella produzione di calzature con oltre 8000 dipendenti, su un totale di 23000 addetti manifatturieri: il peso del settore guida sull’insieme dell’industria supera, perciò, la soglia di un terzo.

Va inoltre osservato che una misura della solidità produttiva del distretto è data anche dal numero delle aziende di dimensione medio-grande: le tredici imprese con più di 100 addetti risultano infatti occupare oltre la metà degli addetti al settore prevalente; la dimensione media delle imprese locali della calzatura è di quasi 24 addetti, un valore pressoché doppio rispetto a quello misurato sull’insieme della manifattura.

Ma il ruolo di assoluto rilievo che il distretto di Montebelluna assume nel panorama industriale italiano risulta ancora più evidente analizzando le quote della produzione settoriale realizzate nell’area: qui vengono infatti lavorate, in riferimento alla produzione italiana, il 45% delle scarpe da basket; l’80% delle scarpe da calcio; il 60% delle scarpe da ciclismo; l’80% dei pattini da ghiaccio e a rotelle; il 40% delle scarpe da tennis.

Per quanto concerne la produzione europea vengono realizzate: il 62% delle scarpe da montagna, mentre in rapporto alla produzione mondiale vengono fabbricate a Montebelluna il 65% dei doposci; il 75% degli scarponi da sci; l’80% degli stivali da motociclismo.

Il settore della calzatura è a Montebelluna arricchito dalla presenza in loco di settori collegati e di supporto, come la produzione di materie plastiche e l’industria degli stampi.

Questi settori "di supporto" hanno assunto nel tempo una consistenza crescente, sia in termini di peso occupazionale e produttivo che, soprattutto, in termini di autonomia di mercato, aprendosi sempre più a reti esterne e a catene specializzate.

Inoltre, gli investimenti che recentemente sono stati effettuati in quest’area da alcuni importanti gruppi industriali (Nordica, Lotto, Diadora) hanno spinto verso una "diversificazione selettiva" nel comparto sport-system (abbigliamento e attrezzature per il tempo libero), accentuando una integrazione di tipo progettuale e commerciale dell’originaria specializzazione nella scarpa sportiva.

In quest’area, per altro, sono presenti anche alcuni importanti produttori specializzati esteri, i quali hanno negli ultimi anni proceduto ad importanti acquisizioni. Ad esempio, la Rossignol assieme alla Lange, ha rilevato la Caber, uno dei marchi più prestigiosi dello scarpone da sci.

Oppure, del Gruppo H.T.M. (Head-Tyrolia-Mares) fondendosi con la Brixia, vanno a far parte la Sanmarco e la Munari, due nomi che hanno fatto storia sia nello scarpone da montagna che in quello da sci.

E ancora, la Salomon, che già controllava la Rover, nel 1993 ha acquistato la Sangiorgio. Mentre anche l’americana Nike, tra i leader mondiali nella calzatura sportiva, ha recentemente localizzato un suo laboratorio all’interno del distretto.

Ciò mette in evidenza un particolare ciclo duale di internazionalizzazione produttiva: se da un lato le "imprese locali" hanno aperto le proprie reti di divisone del lavoro su scala globale, dall’altro alcune "imprese globali" hanno ritenuto strategico localizzare propri nodi nel sistema locale.

Le competenze presenti nel distretto, diventano così una risorsa di varietà che alimenta le reti globali di divisione del lavoro ad alto valore aggiunto.


L’inox valley e il distretto delle Communities

Sempre nell’area trevigiana si sono inoltre progressivamente rafforzati i settori afferenti la produzione di elettrodomestici e attrezzature per collettività (food service equipment), che a partire dall’originario polo Zanussi-Grandi Impianti di Conegliano, hanno dato vita ad un sistema territoriale di piccole e medie imprese che oggi viene indicato come inox-valley, e che rappresenta – con circa 8.000 addetti complessivi – una delle principali concentrazioni produttive in Europa nella lavorazione delle lamiere in acciaio.

Il distretto delle Communities si estende fino a Vittorio Veneto e presenta alcune significative integrazioni sia con altre lavorazioni collegate (a esempio nei serramenti), sia con i vicini distretti mobilieri del Solighese e del Livenza.

Questa estesa area di specializzazione produttiva funziona, dunque, anche da "cerniera" tra l’area veneta e quella friulana.


Il distretto bellunese dell’occhiale

La geografia del Nordest è fortemente caratterizzata dalla presenza della montagna. Questa condizione geografica ha a lungo costituito un ostacolo per lo sviluppo industriale, ponendo vincoli sia alla possibilità di localizzare insediamenti produttivi che alla realizzazione di reti di trasporto.

Tuttavia, negli ultimi anni sono state proprio alcune aree di montagna a manifestare il maggior dinamismo produttivo. Integrando risorse provenienti dal turismo con l’evoluzione tecnica e commerciale delle originarie vocazioni produttive, queste aree hanno saputo afferrare con prontezza il nuovo ciclo economico, mostrando una notevole vitalità imprenditoriale.

In particolare, l’industria dell’occhialeria nel bellunese ha raggiunto livelli di sviluppo e di apertura internazionale delle produzioni che non possono essere spiegati esclusivamente con la convenienza derivata dalla svalutazione della lira.

Infatti, in quest’area la crescita occupazionale prosegue ininterrotta da almeno dieci anni, e accomuna sia la micro-impresa artigianale che i grandi gruppi industriali divenuti leaders mondiali del settore (come Luxottica, De Rigo e Safilo).


Le anime produttive dell’area urbana veronese: grafico-editoriale e logistica

Nel Nordest, oltre all’area urbana trentina, anche l’area urbana del capoluogo veronese ha mantenuto e sviluppato alcune originarie specializzazioni produttive a partire da una spinta esterna.

Con l’insediamento degli stabilimenti Mondadori, Verona ha dato vita ad un bacino di competenze nel settore grafico-editoriale che, sia pure con qualche difficoltà, ha saputo resistere ai successivi processi delocalizzativi delle unità principali.

Questo è un classico caso nel quale il nucleo di competenze viene costruito dall’esterno, e alimentato "artificialmente" da iniziative mirate di formazione e diffusione sociale dei saperi.

Tuttavia, una volta che il processo è stato avviato, anche il venire meno della spinta originaria non annulla la continuità del sistema, sempre che la società locale dimostri di avere le risorse per sostenere e auto-organizzare un nuovo ciclo evolutivo.

La sfida del distretto grafico-editoriale del veronese – e cioè di un comparto il cui ciclo produttivo è a stretto contatto con la manifattura, alla quale fornisce per lo più servizi pubblicitari e di catalogazione – è quella di saper ora afferrare il nuovo ciclo delle tecnologie multimediali, e metterle a valore per un’economia, come quella del Nordest che ha sempre più bisogno di comunicare con strumenti e linguaggi originali nelle reti globali.

Proprio la comunicazione è stata, d’altro canto, una delle aree di specializzazione offerta dai servizi del capoluogo veronese, in particolare per quanto riguarda i servizi di logistica-trasporti.

Anche in questo caso Verona ha per così dire saputo sfruttare una vocazione originaria che, nel corso del tempo, stava però perdendo la sua specificità. Verona, infatti, grazie alla sua collocazione geografica – all’imbocco dell’asse del Brennero con la pianura Padana – ha goduto fin dai tempi antichi di un significativo vantaggio geo-logistico.

Già nel corso dell’800 sotto il dominio austro-ungarico e poi, più tardi, nell’immediato dopoguerra, l’area veronese è stata investita da notevoli interventi infrastrutturali che hanno rafforzato questo suo ruolo di crocevia dei traffici europei.

Inoltre, grazie alla presenza di primarie reti ferroviarie e autostradali, dell’aeroporto di Villafranca e, soprattutto, dell’interporto "Quadrante Europa", a Verona è oggi localizzato uno dei più importanti sistemi infrastrutturali intermodali d’Italia.

Tuttavia, questa ricca dotazione infrastrutturale non sarebbe oggi sufficiente ad assicurare a Verona la capacità di creare un valore economico nell’utilizzo della rete se, contestualmente, non si fossero create competenze tecniche e imprenditoriali in grado di governare flussi di persone, merci e informazioni che attraversano il territorio e che, come dimostra il declino di molte aree portuali italiane, non necessariamente devono venire organizzati a ridosso delle infrastrutture.

Verona, quindi, deve saper far crescere l’intelligenza terziaria più che la base infrastrutturale, anche se questo comporta logiche di azione e risorse molto diverse dal passato.


Il distretto orafo di Vicenza

La città di Vicenza, oltre a mantenere una rilevante base industriale, è nota per la tradizione nella lavorazione dell’oro che risale ancora al XIV secolo.

Oggi, questo sistema produttivo urbano rappresenta la più elevata concentrazione specializzata al mondo, con una integrazione che coinvolge sia alcuni settori di supporto tecnico (meccanica strumentale, stampistica, galvanica, ecc.), che di servizio (trasporto e corrieri specializzati, sistemi di sicurezza, ecc.).

Nell’insieme della provincia di Vicenza si contano attualmente circa 800 imprese orafe per un totale di oltre 10.000 addetti. Per avere un termine di paragone della concentrazione produttiva dell’area, basti ricordare che nel 1993 le imprese vicentine hanno trasformato una quantità di oro fino superiore a quella lavorata nell’intera Germania, che dopo l’Italia è il secondo produttore europeo!


Il distretto del vetro artistico di Murano

Un altro importante distretto industriale urbano è quello del vetro artistico dell’isola di Murano, situato all’interno del comune di Venezia. Anche in questo caso si riconoscono antiche origini produttive, risalenti ancora all’epoca della Repubblica veneziana.

Il carattere artigianale-artistico della produzione ha ancorato l’industria alle risorse lavorative locali, anche se i processi di dispersione insediativa nell’entroterra e i vincoli di accessibilità all’area lagunare stanno progressivamente spostando le lavorazioni fuori dall’isola.

Oggi, l’industria del vetro artistico occupa nell’area veneziana circa 2000 adetti in 250 imprese. Si tratta di valori molto inferiori di quelli raggiunti nel momento di massimo sviluppo, che risale ancora agli anni ‘50, quando nella sola isola di Murano si contavano oltre 5000 addetti.

Il declino del settore è stato tuttavia frenato negli anni ‘80 grazie all’integrazione con il comparto dell’illuminazione moderna, che ha offerto alla produzione tradizionale uno possibile sbocco di mercato per far fronte alla crisi del settore.

Recentemente è stato anche introdotto un marchio di qualità per le produzioni realizzate effettivamente a Murano, allo scopo di salvaguardare il distretto dalle sfide della produzione a basso costo.

Tuttavia, il rafforzamento competitivo del distretto passa molto più probabilmente attraverso il continuo miglioramento nel controllo dei materiali, e il rafforzamento delle capacità di integrazione del comparto del vetro artistico nei settori dell’arredo e del sistema casa.

In questa prospettiva, la scuola professionale del vetro e la stazione sperimentale dovrebbero venire individuate come istituzioni strategiche per l’evoluzione del distretto.


I sistemi produttivi specializzati dell’entroterra veneziano

Nell’entroterra veneziano, in quell’area metropolitana vasta che sconfina verso Padova e Treviso e nella quale la forma della città diffusa ha assunto i caratteri più netti, si sono sviluppati negli ultimi anni alcuni sistemi produttivi specializzati che hanno costituto un fondamentale polmone occupazionale dopo la crisi del polo industriale di Marghera.

Al tradizionale distretto della calzatura da passeggio situato lungo la Riviera del Brenta – nel quale operano 600 imprese e 10.000 addetti, che hanno saputo superare i momenti difficili mantenendo ed elevando la qualità dei prodotti, anche investendo nei servizi locali strategici e nella formazione professionale – si affianca oggi un sistema specializzato nella produzione meccanico-motoristica organizzato attorno al polo Aprilia e aperto alle reti internazionali di divisione del lavoro.

Il forte sviluppo di questi due sistemi produttivi specializzati, nei quali la piccola e media impresa gioca un ruolo importante, assume per l’area veneziana un valore particolare: l’inversione delle direttrici dello sviluppo produttivo e occupazionale dall’area urbana del capoluogo e, in particolare, dal polo industriale di Marghera ai distretti dell’entroterra, segnala parallelamente anche un netto mutamento nel meccanismo di accumulazione.

Questo cambiamento può indicare per tutta l’area veneziana un possibile percorso di sviluppo diverso da quello concentrato nella grande industria di base, sulla quale si sono costruite negli ultimi decenni la maggior parte delle culture produttive e organizzative, e sulla quale si sono orientate la maggior parte delle politiche economiche.


Giancarlo Corò