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La tiepida febbre dell’oro Nel primo semestre del ‘96 il consumo interno dell’oro in Italia ha fatto registrare una flessione netta del 10% secco rispetto allo stesso periodo del ‘95. Se poi andiamo a guardare il valore totale del mercato della gioielleria in Europa nel ‘95, scopriamo che nell’intero continente la diminuzione media è dell’1%, mentre in Italia raggiunge il 17%. Un dato quest’ultimo inferiore solo a quello della Francia (-34%) e della Grecia (-21%) e distante anni luce da quello del Regno Unito (+ 42%) e della Spagna (+32%). Sostanzialmente stabile invece la Germania col suo +3%.Alla voce volume invece, vale a dire il numero di oggetti di gioielleria venduti, troviamo che i cento milioni di acquirenti europei nel 1995 hanno acquistato 324,1 milioni di pezzi, con una media di poco più di tre pezzi a testa), quota praticamente identica a quella di due anni prima. Ma anche qui con dei distinguo: Regno Unito, Francia e Germania balzano in avanti, mentre Italia, Spagna e Grecia calano rispettivamente del 24%, 11% e 40%.
Ma la flessione del valore nell’acquisto non è l’unico problema. La crisi del mercato dell’oro italiano dipende anche da fattori strutturali. «In particolare - continua Della Torre - per un paese come l’Italia che esporta il 75% del suo prodotto orafo, la questione centrale è quella dei dazi doganali che penalizzano pesantemente l’export». Ci si addentra qui in un’autentica giungla finanziaria dove imperano le leggi più diverse: i dazi doganali americani ad esempio sono dimezzati rispetto a quelli europei. Per non parlare di certi paesi dell’Estremo Oriente dove le imposte sull’export sono state praticamente eliminate. Di fronte a questi scogli qualità, design e tecnologia italiana non sono più sufficienti ad affrontare il futuro senza timori come qualche anno fa. In particolare la concorrenza più spietata arriva dal Sudest asiatico (Malesia, Indonesia, Taiwan), dove la manodopera ha un costo irrisorio e la tecnologia è praticamente la stessa usata in Europa. «In questo panorama - conclude Della Torre - è indispensabile che gli operatori sappiano rinnovarsi, dimostrando flessibilità di produzione, capacità di adattamento e attenzione ad un mercato che si evolve in tempi rapidissimi. Pena il rischio di essere schiacciati o tagliati fuori dalla concorrenza».
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