Vai al numero precedenteVai alla prima paginaVai al numero successivo

Vai alla pagina precedenteVai alla prima pagina dell'argomentoVai alla pagina successiva

Vai all'indice del numero precedenteVai all'indice di questo numeroVai all'indice del numero successivo

Scrivi alla Redazione di NautilusEntra  in Info, Gerenza, Aiuto
 
redarrowleft.GIF (53 byte) Lettura Giugno Luglio 2003
 

Psicanalisi del corpo nudo

Fotografie,cinema, tv, dipinti, disegni: oggi la figura umana senza vestiti sembra perdere sempre di più il significato erotico immediato. Per raccontare invece quella frontiera fra la nostra initimità e l’estraneità. Fra lo spirito e la materia. Fra il mistero e la trasparenza totale. Come cercano di capire Ferrari e Nancy nel loro saggio. Che alla fine ci dice che l’Uomo non è evidente nemmeno senza niente sulla pelle

Federico Ferrari, Jean-Luc Nancy, La pelle delle immagini, Bollati Boringhieri, pp.126, euro 16,00

Il nudo imperversa: sui rotocalchi, al cinema, in TV. Il nudo (l’immagine del nudo) si lega senz’altro all’erotismo, ma per certi versi va ben oltre la sessualità o il piacere voyeuristico. Allude ad altro; pare semmai come autoreferenzialmente sospeso a mostrare il proprio enigma irrisolto. La nudità, insomma, veicola e produce desiderio ma non solo. Nel suo esporsi senza veli – senza pudore o difesa – mostra ben più che anatomia e sesso, carne e pulsione; indica una frontiera o forse meglio una soglia: fra la nostra intimità e l’estraneità, tra l’ambito corporeo e psichico (qualcuno direbbe spirituale), fra l’esporsi di un essere umano allo sguardo dell’altro che al contempo svela e non svela. Poiché non ci è dato (quantomeno con la vista, ma alla fin fine neppure mediante il tatto, o attraverso l’incontro sessuale) penetrare davvero oltre la pelle e la nudità, giungere mai a conoscere il segreto dell’altro che la disarmata/disarmante nudità sembra offrirci.

Così il nudo si rivela piuttosto straniante. Da luminoso e scoperto si fa opaco e umbratile. Diviene sfinge, cifra di mistero e allusività, metafora di una inattuabile decifrazione. O forse – come sottolineano polemicamente/paradossalmente Ferrari e Nancy nel loro saggio a due mani intorno al nudo: quello immortalato in Occidente, nel dipinto o nell’immagine fotografica, per lo meno – esso “non indica nulla, vuol solo essere nudo”. Ancora: ritrarre a matita o pennelli, riprendere con la solo apparente oggettività dell’obiettivo fotografico la nudità ha semmai il significato di una sfida: “Rappresentare l’irrappresentabile fugacità della messa a nudo”. Uno svelare e un denudare che in un certo qual senso nulla svelano, in quanto ciò che appare è appena la mera immagine, la pelle appunto, in una spoliazione di senso, di significazione (e di supponenza conoscitiva) che intriga ed inquieta.

Ferrari e Nancy ci presentano nudi acefali, che il pittore vorrebbe – senza ovviamente riuscirci – ridurre a mera corporeità, a oggetto quasi. Nudi assolutamente non erotici (come in Carezza di Cézanne o Defigurazione di Bacon). Nudi che fanno “sentire la carne” (vedi i quadri di Lucian Freud). Nudi osceni (che mostrano cioè il lato oscuro e nefasto del sacro, come rivela l’etimologia latina) nell’esprimere insieme, con alienante ambivalenza, un facile accesso (pornografico?) all’altro, ma pure rimarcandone l’irriducibile lontananza. Nudi, infine, i quali non solo si mostrano, ma che appaiono denudanti, in un effetto vertiginoso grazie al quale l’osservatore stesso viene messo a nudo, nel senso che egli prova piacere non soltanto rispetto a quanto dell’altro vede ma anche del proprio “vedersi vedere”, in una speculare ostensione corporale e mentale. 

Ultima considerazione, sempre nel segno del paradosso, così caro ai nostri due autori. Forse per noi moderni il Nudo non esiste più. Forse, dicono bene Ferrari e Nancy, questo ci mostra l’arte moderna: “L’Uomo non è evidente nemmeno nel nudo”. Ovvero con la crisi delle certezze e il declino della metafisica, ormai è venuta a cadere da tempo ogni velleità di significazione esaustiva, di visione del mondo definitiva, di “donazione di senso”. Così, per rimanere nell’ambito metaforico, l’uomo oggi appare più che mai nudo a se stesso, spoglio com’è di assoluti e fondamenti incontrovertibili, verità o paradigmi stabili di “figure già tracciate”. Ma questa spoliazione – frutto dell’essersi tolti i frusti panni dogmatico/moralistici che già Nietzsche scherniva ritraendo l’uomo europeo “ridicolmente vestito di morale” –, questa es/posizione reciproca, purché non più agita a fini seduttivi, di possesso o mercificazione, non può che essere a mio avviso salutare.

Francesco Roat

invia questo articolo a un amico 

np99_riga_fondo.gif (72 byte)

                                           Copyright (c)1996 Ashmultimedia srl - All rights reserved