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redarrowleft.GIF (53 byte) Varie Sport Maggio 2002
 

La storia? Va di corsa

Dalle olimpiadi ai Mondiali, i 100 metri piani sono per tutti la gara regina. Anche perché il rincorrersi dei primati segna il cambiare delle epoche. Così dall'antica voglia di imitare gli animali più veloci si è arrivati oggi all'uso del doping per battere il tempo. E alle figure dei super atleti ricchi e famosi. Poi in mezzo agli "eroi" compare l'eccezione. Come il "piccolo" Tim Montgomery che a sorpresa a Parigi ha conquistato il nuovo record del mondo

Uno degli avvenimenti più importanti di questo 2002 sportivo ha avuto luogo il 14 settembre a Parigi, dove l’americano Tim Montgomery ha stabilito il nuovo record mondiale dei 100 metri piani con il tempo di 9 secondi e 78 centesimi.

E’ un risultato che abbassa di un centesimo il limite precedente, conseguito tre anni fa da un altro neroamericano, il Maurice Greene reso più famoso dagli ori olimpici e mondiali incamerati in carriera. Prima della grande impresa parigina, centrata al termine di una gara fuori dal comune, in cui il secondo arrivato (l’inglese Dwain Chambers) ha ottenuto il nuovo primato europeo con 9 e 87, il ventisettenne Montgomery, nato nel 1975 in un paesino del South Carolina, non aveva conquistato nulla grazie a cui inscrivere il suo nome in qualche albo d’oro. La prova-record, giunta nella finale del Grand Prix 2002, lo ripaga abbondantemente di tanto, relativo anonimato. Oltre a un posto nella Storia dello sport, gli consegna infatti i 250 mila dollari destinati al vincitore dello stesso Grand Prix, visto che Tim ha realizzato nella propria disciplina i migliori risultati dell’intera stagione dei meeting internazionali.

Il grande sconfitto di questa specie di ambitissimo mondiale a punti è il marocchino El Guerrouj, che con il proprio dominio da autentico padrone del mondo esercitato sui 1500 metri, appartiene alla stessa schiatta degli atleti-superstar dove ritrovare non solo Maurice Greene, ma anche la fidanzata di Montgomery, ovvero la Marion Jones che da qualche anno a questa parte detta ovunque legge nei 100 e 200 metri. Tornando al mezzofondista africano, l’avere fatto a sua volta collezione di titoli olimpici e mondiali, a cui aggiungere lo strepitoso 3’29”27 centrato nella finale parigina, alla fine non è bastato al cospetto del “Giorno da leone” di cui è stato protagonista lo sprinter americano, un “piccoletto” qualunque (è alto 1 e 78), frustrato in gioventù per la bocciatura ricevuta dal dorato mondo del football (troppo mingherlino per competere con quei colossi), nonché funestato a ripetizione dai classici incidenti di percorso di un ragazzo difficile: la fidanzata che lo investe di proposito con l’auto, tagliandolo fuori per un anno dalle piste, il migliore amico ucciso durante la rapina a un distributore di benzina.

Questo sommario ritratto del nuovo campione induce a un paio di riflessioni. La prima ha del consolatorio, riguardando le chances di successo comunque riservate ai brutti anatroccoli che così tanta fatica devono fare per trovare posto in mezzo ai vanitosi e venerati cigni dello sport-spettacolo. Al Montgomery, che forse in futuro riuscirà pure a vincere un Mondiale o un’Olimpiade, riesce nel frattempo quel “qualcosa di eccezionale” grazie a cui apparentarlo ad altri, sublimi eroi per un giorno nello sport di tutti i tempi. Nell’atletica leggera è stato così per il nostro Marcello Fiasconaro, zero ori in carriera ma un mondiale degli 800 metri resistito per anni e anni, o per il Giuseppe Gentile finito sul tetto del mondo del salto triplo per un solo pomeriggio (alle Olimpiadi di Messico ’68, dove in serata il suo limite fu superato da ben due avversari). Spostandoci ad altre discipline, il quadro si arricchisce considerando campioni del mondo di ciclismo come l’olandese Ottenbros (1969) o il belga Dhaenens (1990), la carissima Paoletta Magoni oro olimpico di slalom nel 1984, i belgi del Malines vincitori della Coppa delle Coppe di calcio nel 1988, per non parlare della mitica Danimarca campione d’Europa, sempre di calcio, nel 1992.

Un secondo ragionamento induce a rivedere proprio il film del primato dei 100 metri, forse il più importante anche al di fuori delle statistiche sportive, per come concorre a disegnare la storia dell’umanità attraverso la sfida eterna con il muro della velocità. Uomini che corrono “quasi” come lupi e leonesse, comunque ben lontani dai limiti intoccabili posseduti nel Regno animale da ghepardi cavalli e levrieri, segnano l’avvicendarsi delle epoche dall’avvento del moderno sport olimpico fino al presente dei supermen spesso in odore di doping e illeciti aiuti. In quest’ottica anche quel intrattabile “piccoletto” di un Tim Montgomery può aspirare a rimanere nella memoria. Molto dipenderà dal tempo che ci vorrà per vedere cadere il suo record. Lo stesso, detronizzato Maurice Greene, ha già annunciato battaglia, e a livello teorico non si vede come negargli un miglioramento di due centesimi nell’arco dei prossimi anni.

Ciò nonostante, quei capricci di vento muscoli pistole e cronometri che si rivelano così determinanti nella realizzazione di ogni record, possono allungare in modo indeterminato l’attesa del prossimo miracolo. Solo a posteriori, quando un nuovo re dei 100 metri sarà stato proclamato, potremo leggere meglio il peso della volata da 9 e 78 firmata dallo sprinter americano. Solamente allora saremo in grado di cogliere lo spessore del suo nome e cognome in un albo d’oro che riassume tanti capitoli del nostro passato. Capiremo se Tim Montgomery avrà nella nostra memoria “di uomini” prima ancora che di sportivi uno spazio analogo a quello, ben più importante delle medaglie d’oro, conquistato in passato da campioni come Jesse Owens, Armin Hary, Jim Hines, Calvin Smith, Carl Lewis.

Stefano Ferrio                  

 

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