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redarrowleft.GIF (53 byte) Società Settembre 2002


Scusa, mi disegno un po’ e sono pronta

Chi credeva che la moda del tatuaggio durasse in eterno si sbagliava di grosso. Perché la sua fine era già stata decretata prima dal piercing, poi dal branding e ora dalla body art. Che ha un vantaggio su tutte: sparisce con una bella doccia per ripresentarsi diversa ogni volta a seconda dei gusti e dell’umore. Perfetta allegoria di una moda sempre più fugace e, almeno, innocua

Ve lo sareste mai aspettato che i maghi del trend, dopo aver sdoganato il tatuaggio dalla matrice socio-antropologica delle culture primitive e da quelle più recenti degli ambienti galeotti e fatto rientrare a 180 gradi nella categoria delle mode, lo avrebbero così facilmente, cancellato, si fa per dire, dalle tendenze artistiche cutanee?

Il suo primo colpo gliel’ha inferto il piercing, l’arte di ritoccare il proprio aspetto attraverso la perforazione di nasi, orecchi, ombelichi… poi è stata la volta del branding, che consiste nel farsi marchiare la carne viva col fuoco, come vacche da ranch. Il brandig trovava le sue radici alla Land Art e Dennis Oppenheim, in senso sadomasochista, perché creava effetti sull’epidermide con mutilazioni e ustioni. Ma la morte vera del tatuaggio l’ha decretata la body art, l’ultimo grido in materia di ornamenti: meno violenta e autolesionista, anche la body art nasce da alcune esperienze artistiche degli anni Sessanta: l’arte processuale, l’happening e gli eventi fluxus, già figli di Duchamp e Klein, tesi a usare materiali per raggiungere un contatto fisico con l’evento o con il corpo dello stesso autore.

Più che di opere si trattava di "processi" che il corpo era in grado di portare avanti da solo. Oggi con la body art la pelle diventa una splendida tavolozza su cui dare sfogo alla più sfrenata fantasia. I professionisti utilizzano specifici pennarelli, ma possono andare bene anche cosmetici comuni per dare vita a rose di rossetto, lune di hennè, farfalle di ombretto; un florilegio di fregi vezzosi, spesso impreziositi da spruzzate di microcristalli scintillanti sulle gote delle teen ager, pronti a rimanere appiccicati in faccia allo spasimante di turno dopo il primo bacio. Sempre più spesso, dunque, le nostre notti verranno solcate da branchi di fanciulle tinte come incroci tra indiani apache sul piede di guerra e Pierrot postmoderni. Potrete trovarle adorabili o ridicole; resta il fatto che questa body art è ancora la più innocua e la meno pretenziosa tra le mode germogliate dal tatuaggio. Se pensiamo infatti che qualche anno fa si esibiva in alcuni teatri europei un sedicente artista concettuale che proiettava su un megaschermo immagini dei propri organi interni ripresi in diretta grazie a una minitelecamera ingerita; e che ha fatto scalpore il caso di quella signora americana che si è sottoposta a decine di operazioni chirurgiche pur di assumere un’inquietante apparenza felina, la body art diventa un simpatico, tenero, estroso mondo di innocenti ghirigori. Ci fanno sognare per una notte, ma si spengono, come tutti i sogni all’alba, con una semplice doccia. In questo senso la body art si pone come la massima allegoria della moda che ha per caratteristica fondamentale la fugacità. La body art passa con una bella lavata senza traccia alcuna, ma lasciando sempre aperta la porta alla massima creatività cosicché tutti possiamo diventare aspiranti pittori di noi stessi

Maria Chiara Passera

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