Almeno una volta ci sono
stati quasi tutti. Ma potrebbe essere l’ultima. Perché le
meraviglie egiziane di Luxor e dei sui templi stanno
scomparendo. Sbriciolate dall’acqua delle falde freatiche che,
gonfiate dalle irrigazioni dei campi, erodono le fragili
pietre delle fondamenta. E dopo tremila anni le statue di
Ramses II e le 134 colonne della sala ipostila potrebbero
trasformarsi per colpa dell’uomo una manciata di sabbia
Una
volta nella vita ci sono stati tutti. O quasi. E comunque quei
pochi rimasti lo hanno visto in tutte le salse nei documentari
tv. Prima o poi arriva, tra un filmato sugli gnu in Africa e
uno sugli acquedotti romani. Al di là delle ossessioni
televisive il Tempio di Luxor, in Egitto, resta uno dei siti
archeologici più affascinanti del mondo. A 3mila anni di età
non ha perso nulla della sua imponenza. Anche se ricostruito
in parte, se oramai senza più i colori sgargianti che facevano
brillare le sue mura e le sue stanze nel 14 secolo avanti
Cristo. Stanze dove passeggiarono Amenophis III che lo fece
costruire, e poi Tutankamon e Ramses II che ogni volta
aggiungevano qualcosa di loro. Dalle statue gigantesche alle
incisioni ciclopiche. Ha resistito 3mila anni, si diceva. Per
essere forse ridotto in briciole nel giro qualche lustro.
Perché Luxor, la magnifica Luxor, sta letteralmente
sprofondando nell’acqua.
Una
piccola Venezia insomma, altro gioiello con i piedi di
argilla, Anzi, nell’argilla. E la colpa è sempre dell’uomo. La
regione intorno al Nilo è la più fertile del Paese. Se non
l’unica fertile, almeno naturalmente. E l’irrigazione dei
campi, negli anni, è aumentata a dismisura. Tanta acqua, come
mai in passato, che è andata a gonfiare le falde freatiche. Il
livello è salito ed ha cominciato a erodere le pietre sabbiose
su cui appoggiano da tre millenni le enormi mura, le statue e
il mitico Viale delle Sfingi. Così tutto si sta disgregando.
La solita ironia: gli antichi hanno
costruito edifici che hanno resistito a
tempi
biblici e che a volte usiamo (immeritatamente?) ancora adesso.
Teatri romani, arene, fortezze. Poi tra smog, effetto serra,
cementificazioni, trivelle, dighe e qualche spintina di un
bulldozer più o meno incidentale, li riduciamo a briciole in
una manciata di mesi. Un professore di idrogeologia
dell’università di California, Graham Fogg, ha già fatto la
sua diagnosi. E non è molto confortante: "Se non si fa niente
il degrado del monumento subirà una accelerazione e perderemo
una delle più grandi eredità dell’antico Egitto".
Pensare
che finora nulla aveva scalfito le meraviglie di Luxor e della
vicina Karnak. Perfino la sabbia che da quelle parti la fa da
padrona ha avuto rispetto. Ha ricoperto più di una volta
templi e colonne. Ma senza rovinare niente: gli uomini ogni
tanto riportavano tutto alla luce e lo splendore del Cortile
di Ramses e della straordinaria sala ipostila con le sue 134
colonne su 16 file tornava intatta. Ma con l’acqua no:
l’effetto è devastante e rapido. E soprattutto non si riesce a
vedere una soluzione facile.
Gli
scienziati nordamericani ed egiziani hanno raccolto campioni
di terreno, acqua e pietre. Hanno analizzato, confrontato e
scandagliato. Conclusioni: la minaccia è reale. Insomma una
vera emergenza. Anche perché la pietra su cui posa Luxor è
porosa e fragile. Come una gigantesca carta assorbente succhia
l’acqua che una volta, là, non c’era. La pietra si disgrega e
in più viene anche corrosa dai sali che le restano
appiccicati. Pochi anni di questo trattamento hanno fatto più
danni di vento, sole e tremila anni di vita.
Soluzioni? Pompare l’acqua della falda
freatica nel Nilo che passa accanto. Ma i costi potrebbero
essere troppo alti per un Paese come l’Egitto. Che tra l’altro
proprio sull’estensione delle colture sta puntando molto. Un
bel paradosso. Fogg ha pensato di drenare l’acqua in eccesso
attraverso una rete di tubi fissi che scaricherebbero nel
Nilo. Ma ancora i costi non sarebbero così abbordabili. "E poi
come si fa a scavare fossati in una zona tanto delicata, senza
il timore di rovinare monumenti in superficie o nascosti sotto
terra?".
Ci
sarebbe un’altra possibilità: studiare un sistema di
irrigazione più efficiente di quello usato nella regione.
Risultato: meno acqua usata nei campi e meno ricarica per le
falde freatiche che dovrebbero abbassarsi. Ma oltre a mettere
in piedi un programma così complicato in un Paese che, come si
diceva, cerca di allargare la sua area coltivata per sfamare
una popolazione in continua crescita, non è neanche detto che
il tutto funzioni. Così siamo al punto di partenza: c’è un
problema urgente (anche morale) e non si vede una soluzione
vicina. Anche se l’Egitto, che punta moltissimo sul turismo,
probabilmente non può permettersi di perdere un tesoro come
Luxor. Mal che vada può sempre chiedere un aiuto
internazionale. Come sempre, dipende dalle scelte
politico-culturali e dalla lungimiranza di chi comanda. Anche
se viene da pensare, a volte, che ne avessero di più Ramses e
Tutankamon tremila anni fa. In fondo non erano figli degli dei
per niente.
Alessandro Mognon