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redarrowleft.GIF (53 byte) Lettura Maggio  2002  
 

Un sogno ci salverà

La sorella gemella morta che appare in una visione. Una crisi esistenziale. Un incidente misterioso. La razionalità che opprime e la fantasia che libera. Sono gli ingredienti dell’ultimo romanzo di Rizzi. Che, psicologo di mestiere, gioca con i segreti dell’inconscio

Fabrizio Rizzi, Non c’è ombra più oscura, Editrice Clinamen, pp.187, Euro 15,30

Mi piace la forza evocativa di Rizzi. Una capacità quasi mantica, legata com’è al sogno, ai ricordi e all’immaginario dei suoi personaggi, dai quali emergono soprattutto emozioni e agnizioni di pregnanza davvero intensa. Sarà che lui è psicologo – oltre che narratore – ma psicologo (letteralmente colui il quale studia la psiche: l’anima) non è appunto chi sa maieuticamente far emergere dall’altro la propria autenticità attraverso le parole? Così nel colloquio psicoterapeutico (bello sarebbe anche in letteratura) la parola si fa vita, è vita. O, si diceva, evocazione, medium che permette all’inconscio di fare irruzione nel conscio; che permette ai morti – qui nell’accezione più ampia e metaforica di chi non è più presente: del rimosso o del caotico che sta nell’Ombra, per dirla con Jung – di tornare e mostrarsi, rivelandosi e rivelandoci.

Il romanzo di Rizzi si apre, non a caso, con una visione (appare la sorella gemella defunta di Marta, la protagonista, in una pagina che, da sola, basterebbe a dimostrare la bravura dell’autore) ed un sogno. E’ interessante questa scelta del sogno. Esso denunzia i limiti di ogni tentativo razionale volto a comprendere il mondo, meglio, il nostro mondo attraverso la logica e la supponenza (hybris) della ragione, mediante lo strumento esaustivo della ragione. C’è una porta chiusa nel sonno che fa Marta. La protagonista sente che quella porta si potrebbe spalancare su qualcosa di significativo e al contempo chiarificatore per la sua vita così fobica e conflittuale; la porta non cede, ma lei tenta egualmente di forzarla, dunque di far violenza al suo sogno. La donna non sceglie di accoglierlo e viverlo, di aprirsi ad esso. No, semmai vuole aprirlo, vivisezionarlo, dominarlo. E ovviamente quello rimane chiuso (bisogna dire però che siamo solo all’inizio della narrazione); la porta resta sbarrata e indecifrabile. Ci vorrà tempo, tutto il romanzo, perché la protagonista si arrenda al sogno, allenti le difese e lasci che la visione – la comprensione – avvenga.

Marta, insomma, è inquieta. Oltre a non riuscire ad elaborare un lutto (quello per la scomparsa della sorella), vive una profonda crisi di identità, coniugale, genitoriale. Una vera e propria crisi a trecentosessanta gradi, un po’ come la protagonista del primo romanzo di Rizzi (Diario di bordo – Ed. Bollati Boringhieri). Ma questa volta chi l’aiuterà indirettamente, lateralmente non è uno psicoterapeuta bensì un pittore: un eccentrico pittore che coi suoi affreschi tromp-l’oeil induce la gente a fantasticare e sognare. Significativo ed incalzante è dunque in questo romanzo l’invito ad esprimersi, a far emergere quello che sta accovacciato nell’ombra.

E, per tirare di nuovo in ballo il titolo, non c’è ombra più oscura di quella che tentiamo di fugare attraverso troppo facili esorcismi di rimozione o censura, i quali, oltre a non rischiararla davvero, non ci consentono di attraversarla, di patirla, di vedere chiaramente (scusate questo ossimoro paradossale) cosa ha da dirci. Questo romanzo è quindi un inno all’espressività, i cui apici nel testo sono simbolizzati dagli squarci poetici – ancora una metafora della luce nelle tenebre – che punteggiano sia quest’opera che quella precedente.

Ed è un racconto, nonostante la sua complessità, godibile e scorrevole. Perché lungo tutti i suoi capitoli la storia tiene; come si direbbe in gergo da recensore: è a tenuta di lettore, cioè si fa leggere. Anzi, si fanno leggere. Poiché si tratta di due storie parallele, ad incastro. A ben riflettere, del resto, non si dà mai nella vita di nessuno una storia sola, ma un intreccio: una trama simile a quella d’un romanzo. Ogni io, infatti, ha sempre a che fare con un tu. Magari un tu assente, remoto, negato, misconosciuto.

Qui, dicevo, si raccontano le storie parallele di due gemelle, di Marta e Viola: la sorella morta in un enigmatico incidente di cui non dirò altro per non guastare la sorpresa al lettore. In quanto il romanzo di Rizzi è il lento districarsi, l’impercettibile sciogliersi di un grumo enigmatico che lega fra loro Marta, sua sorella Viola ed il pittore dallo strano nome allusivo di Serendip, giacché – dice bene Rizzi in una delle tante liriche che punteggiano e ritmano questa prosa poetica – "non c’è ombra che sia più oscura/ dell’altro di fronte a noi/ visto con i nostri occhi/ così inevitabilmente miopi".

Francesco Roat

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