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redarrowleft.GIF (53 byte) Cinema Aprile 2002


C’era una volta in Macedonia

Cowboys catapultati nelle "praterie" dei Balcani ai primi del secolo scorso. Un modo, dice il regista Milcho Manchevski, per riunire due momenti storico: la fine del selvaggio West americano e quella dell’Impero Ottomano. Un’operazione originale, secondo l’autore, senza fini politici. Solo una contaminazione "fantastica" di generi per raccontare passioni e speranze degli uomini

Il suo film di qualche anno fa, Prima della pioggia, oltre a vincere il Leone d’oro a Venezia ha commosso le platee di tutto il mondo che assistevano indifferenti - e nel miglior dei casi impotenti - allo smembramento progressivo della Yugoslavia attraverso una sanguinosa e funesta guerra civile. Adesso, dopo una lunga pausa di riflessione, Milcho Manchevski torna alla regia con Dust una celebrazione surreale della mitologia della Frontiera, con un western ambientato nella Macedonia dei primi del secolo dove due cowboys americani (David Wenham e Joseph Fiennes) si trovano catapultati loro malgrado per una storia di passione, tradimento, avidità e, naturalmente, proiettili.

John Ford diceva che se i produttori sapessero quanto ci si diverte a girare un western, sarebbero loro a chiedere di essere pagati. E’ d’accordo?

Un western è sicuramente molto divertente da realizzare, ma – nel mio caso – è stato anche molto duro. Personalmente credo che sia valsa la pena fare tutta questa fatica e – sebbene – io mi sia stancato molto, posso dire anche di essermi divertito.

Lei ha rifiutato caldamente la definizione di Dust come quella di un western che fosse metafora dell’indipendenza della Macedonia. Perché?

L’ambientazione con i Balcani c’entra poco o nulla. Faccio film sulla condizione umana che hanno poco a che vedere con i luoghi dove le persone vivono. Se la storia funzionasse solo in un luogo, allora ci sarebbe qualcosa che non va nel mio film. So bene che molti hanno offerto una lettura politica di Dust, ma posso dire con tutta sincerità che le trovo soltanto fortuite. Il film copre un periodo storico molto importante per cui mi sono letto oltre duecento libri. E’ la fine del selvaggio West che coincide con la caduta dell’Impero Ottomano. Per me la cosa importante era unire questi momenti storici alla nascita del cinema e della psicanalisi evitando la divisione mentale che spesso attribuiamo a questi fatti attraverso il nostro cervello. Tutto questo era non solo interessante, ma anche "liberatorio". Volevo liberarmi di tutti i cliches che gravano sulla narrazione cinematografica.

Dust è una narrazione fantastica: il fatto che nel film si vedano le torri gemelle di New York lo rende ancora più fantastico, anche in quel momento che – forse – lei in sceneggiatura voleva rendere più realista?

Quella parte rende il film di per sé un film storico. Inoltre credo che la storia di una storia resti sempre una storia. Sono contento se si considera Dust una narrazione fantastica, perché non è mai stata una mia intenzione aggiungere alcun valore o significato politico al film. Io odio la politica. Per me Dust è una contaminazione di generi e di archetipi narrativi attraverso il racconto di una storia di uomini e donne, di passioni e di speranze.

Qual è il senso – oggi – del Western?

E’ un genere eterno, perché si avvicina molto all’antica mitologia, dove ci sono grandi storie di amori impossibili e grandi passioni.

Come è stato accolto Dust è in Macedonia?

Il film è andato molto bene e ricordo con piacere il commento di un critico che lo definiva come "La Guernica della Macedonia".

Considera questo un commento artistico o politico?

Io l’ho visto solo dal punto di vista artistico. Credo che Guernica sia un’opera bellissima a prescindere dal suo significato politico. Del resto io non volevo ambientare Dust in Macedonia. A lungo ho pensato di girarlo in una nazione nata dal crollo dell’Urss. Poi ho deciso di realizzarlo in Messico. Poi sono tornato in Macedonia augurandomi che il pubblico non pensasse a questo film come ad una rappresentazione della storia e della realtà macedone. Io credo che il cinema non serva a lanciare messaggi. Come diceva qualcuno, per quello bastano i telegrammi…

m.s.

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