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redarrowleft.GIF (53 byte) Lettura ottobre 2001  
 

L’inverno del nostro scontento

Guerra, sentimento, sofferenza, polizia politica, gulag. Sono gli ingredienti dei libri di Paullina Simons, nata a Leningrado 38 anni fa ed emigrata poi con il padre negli Usa. E decisa a raccontare le pene e i dolori ma anche la grande forza dell’anima russa. Come nel suo ultimo romanzo d’amore sullo sfondo della guerra contro i nazisti

Paullina Simons è una delle maggiori autrici russo-americane. La sua storia assomiglia tanto ad uno di quei romanzi che la hanno resa nota in tutto il mondo. Nata nel 1963 a Leningrado, nel 1968 il padre Yuri è stato arrestato dalla polizia politica per militanza anticomunista durante l’invasione russa della Cecoslovacchia. Liberato dal Gulag nel 1971 ha ottenuto un visto d’espatrio per andare a lavorare all’estero, prima in Italia, poi negli Usa. Paullina (che da cognome da ragazza fa Handler) dopo l’università americana sposa un inglese e inizia a scrivere romanzi. Matrimoni diversi, lavori come editor e giornalista e poi il grande successo con il libro Red Leaves, seguito subito dopo da Eleven Hours.

Nautilus la incontra in esclusiva per parlare del suo nuovo romanzo Il cavaliere d’inverno (Sonzogno, pagg. 697, lire 34.000), un romanzo d’amore sullo sfondo della battaglia di Leningrado combattuta in prima persona dal nonno dell’autrice.

E’ solo una coincidenza che proprio all’indomani dell’uscita del suo libro Jean Jacques Annaud abbia presentato al Festival di Berlino Il nemico alle porte dedicato ad un’altra grande battaglia sovietica, quella di Stalingrado?

E’ una coincidenza, anche perché lì l’amore è molto secondario rispetto al duello tra i due cecchini. Nel mio libro l’amore è fondamentale per comprendere l’essenza del popolo sovietico, l’oppressione comunista e l’anima russa. Credo che siano comunque opere molto importanti per comprendere il mondo di oggi.

Un elemento che emerge dal suo libro è la mancanza di privacy cui le persone venivano sottoposte di continuo per motivi politici e non solo…

Sì, credo che sia qualcosa che né in America, né in Italia si possa comprendere troppo facilmente. Voi siete abituati a ben altro a casa vostra. Ma chi come me è cresciuta dividendo casa sua con altre famiglie, questo è un elemento molto presente. La mancanza di privacy implicava una forzata lealtà.

Perché il tema dell’amore nella letteratura russa più che in altre è spesso collegato a quello della guerra?

Perché la Russia ha avuto un’infinità di guerre e di invasioni. Ma anche quella francese non scherza… soltanto che noi abbiamo subito tantissime devastazioni in più degli altri paesi europei.

Oggi – dopo l’11 settembre – viviamo uno spirito analogo, secondo lei?

In qualche maniera sì. In America si respira un’aria pesante e questo perché è la prima volta che subiscono – grazie a Dio – la violazione del loro suolo. In Europa, però, siamo abituati a continuare a vivere sotto le bombe. Noi europei siamo scioccati, non come gli americani, ma siamo scioccati lo stesso. La differenza sta, però, nel fatto che mentre in Russia sapevamo di essere vittime di una guerra, o almeno lo sapevano i miei nonni, essere colpiti dal terrorismo è decisamente molto casuale e fa ancora più paura, perché non te lo aspetti.

Lei ha tre figli. Raccontare il passato è un mezzo per ricordare anche a loro cos’era la vita in un regime come quello comunista?

A loro e a tutti i lettori che hanno vissuto nella ricchezza del mondo libero. Anche per apprezzare quello che si ha. Noi non avevamo nulla e quel poco ci sembrava un miracolo. Oggi molti hanno tutto e si sentono lo stesso miserabili. Il mio libro serve ad offrire un’altra prospettiva. Questo libro, mentre lo scrivevo ha cambiato anche me. Per questo voglio iniziare presto a scriverne il seguito. Ho un’ispirazione per continuare questa saga.

Qual è l’eredità dell’anima russa presente nel suo modo di scrivere?

Comprendo la sofferenza delle persone e la mia è un’anima russa ancora sofferente. Per questo scrivo del dolore e soffro mentre lo faccio.

m.s.

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