In fondo non ci possiamo neanche lamentare,
noi italiani. Nella classifica mondiale dei vecchietti più
arzilli siamo infatti ai primi posti con una aspettativa di
vita media di 78,3 anni. In Europa ci battono solo francesi e
svedesi, ma a voler essere dispettosi da noi almeno non si
spendono 50 mila lire per una bottiglia di vino e abbiamo sole
e mare per sei mesi l’anno. Piccola consolazione, visto che
poi alla fine tutti dobbiamo inchinarci ai giapponesi che con
79,9 anni di vita media non hanno rivali.
Eppure
anche gli indistruttibili cittadini di Tokyo si rodono
dall’invidia. Perché in realtà pure loro perdono la
battaglia della longevità, anche se "in casa": è
nell’isola di Okinawa infatti, a sud del Giappone,
conosciuta finora per la feroce battaglia fra l’esercito del
sol levante e gli americani durante la Seconda Guerra
Mondiale, dove vivono le persone con il più basso tasso di
mortalità al mondo: 81,2 anni di vita media. E, in più, con
il minor tasso di malattie. Insomma dove campa, lavora, balla
(si, a 100 anni ballano ancora) e sorride il più alto numero
di centenari in perfetta salute. Una mini-popolazione che non
assomiglia né nell’aspetto né nelle abitudini agli
occidentali ma nemmeno agli altri giapponesi. Una situazione
così anomala da aver fatto sbarcare su quel pezzo di terra
intere equipe di ricercatori. Tutti a caccia del segreto dei
nonni locali.
E qual è questo segreto allora? Sono
sbarcati gli alieni a regalare salute eterna come nel film
Cocoon? Fantasie. Un’acqua miracolosa? No. Una pianta
curativa? Macché. Un supergene che li protegge da ogni male?
Sembrava la cosa più probabile. Finché non si è visto che
sia gli abitanti di Okinawa emigrati all’estero che i
giovani dell’isola che vivono (e mangiano)
"all’occidentale" perdono subito il superpotere di
invecchiare bene. E si ammalano delle stesse patologie che
assillano i ricchi e pasciuti europei e nordamericani. Così
è bastato osservare con attenzione come vivono i centenari
del posto per capire che il vero segreto di Okinawa non è
altro che l’applicazione spontanea di tutte le regolette
uscite dalle ricerche mediche di questi anni su salute e
longevità: mangiare sano e poco, gestire lo stress, tenere
rapporti sociali e restare attivi.
A
scoprire il non-segreto dell’isola sono stati Makoto Suzuki,
geriatra e cardiologo dell’Okinawa International University
e primo responsabile dell’Okinawa Centenarian Study,
un’istituzione del ministero della Sanità giapponese per lo
studio delle popolazioni più longeve del mondo; Bradley J.
Willcox, geriatra dell’Harvard medical school e Craig
Willcox, antropologo e gerontologo. Alla fine hanno scritto un
libro, "The Okinawa Program – How the world’s
longest-lived people achieve everlasting health and how you
can too" (come la popolazione più longeva del mondo ha
raggiunto la salute eterna e come anche tu puoi farlo).
Okinawa si è rivelato il luogo ideale per
la ricerca della fontana della giovinezza. Perché, a
differenza di molte altre regioni da sempre considerate regno
dei matusalemme, qui è dal 1879 che si tiene uno scrupoloso
registro (il "koseki")delle nascite e delle morti
(perfino negli Stati Uniti è solo dal 1940 che esiste un albo
nazionale delle nascite). Per decenni si è favoleggiato dei
centenari di Vilcabamba, in Ecuador e del Caucaso. Poi si è
scoperto che la vita media in quelle zone era perfino più
corta di quella negli Usa. Motivo: molti giovani in realtà
prendevano il nome dei parenti morti per evitare il servizio
militare, i vecchi si aumentavano l’età per motivi di
prestigio sociale e la registrazione delle date di nascita era
inaffidabile. Okinawa no: tutto vero e certificato.
Basta
qualche cifra: negli Usa ci sono 10 centenari ogni 100mila
persone, a Okinawa sono 34 ogni 100mila. Tre volte tanto. Ma
se i geni non contano o contano poco, cosa accidenti fanno di
tanto speciale gli abitanti dell’isola giapponese? Finché
stanno in piedi (cioè fino a 100 anni…) lavorano e comunque
fanno attività fisica (pesca, giardinaggio, perfino ballo e
arti marziali), hanno una dieta a base principalmente di
verdure, frutta, pesce e soia, pochi grassi e di quelli sani e
tutti vivono in forte sintonia con la comunità sociale, si
aiutano a vicenda pur mantenendo un forte senso di
indipendenza e di responsabilità per la propria salute.
Niente pozioni magiche, insomma. Nel libro
di Suzuki e colleghi si scopre solo che il segreto di tanta
salute anche a 100 anni è un mix di quello che la medicina
dice da tempo. Lo studio sui centenari (ma anche sugli
ultrasettantenni) di Okinawa sembra dare così ragione alle
decine di ricerche sulla longevità: la genetica conta molto
meno delle abitudini di vita. Qualche dato: negli anziani
dell’isola è spesso presente una conformazione genetica
dell’antigene leucocitario chiamato HLA che li rende a basso
rischio di malattie autoimmuni. Ma anche chi tra loro ha nei
geni un HLA ad alto rischio, vive comunque fino a 100 anni.
Come dire che a fare la differenza è lo stile di vita. In più
le ricerche demografiche hanno evidenziato che solo negli
ultimi 40 anni la popolazione di Okinawa ha guadagnato
qualcosa come 20 anni di vita in più, soprattutto per la
grande riduzione di infarti e cancro allo stomaco. Altra prova
che i geni non c’entrano ma le abitudini di vita si. Ultima
controprova, attraverso l’analisi degli emigrati: chi ha
lasciato l’isola e ha cambiato abitudini ora soffre molto di
più dei suoi concittadini rimasti di tutte le malattie
classiche occidentali, in particolare quelle
cardiocircolatorie.
Ancora:
nel sangue degli over 70 di Okinawa ci sono basse percentuali
di radicali liberi (molecole responsabili di danni alle
cellule). Il motivo, secondo gli scienziati, è il ridotto
consumo di calorie: finora si era visto questo
effetto-longevità da poco cibo solo negli animali da
laboratorio. Negli anziani di Okinawa le arterie sono
incredibilmente pulite, il colesterolo è basso e i livelli di
omocisteina (un amminoacido che danneggia le pareti delle
arterie) sono al minimo. Anche qui tutto merito di dieta,
attività fisica, niente fumo, poco alcool e la capacità di
controllare lo stress.
Ma si può andare avanti così per tutto o
quasi: a Okinawa hanno l’80 per cento in meno rispetto
all’occidente di casi di tumore al seno e alla prostata, e
del 50% per ovaie e colon. I vecchi dell’isola soffrono di
fratture all’anca 20% meno dei vicini giapponesi e 40% in
meno di europei e nordamericani. La densità minerale ossea è
uguale fino a 40 anni (uomini) e 50 (donne), poi noi perdiamo
molto più calcio di loro. Di nuovo devono ringraziare la
dieta ricca di calcio e vegetali, il sole, l’esercizio
fisico continuo. Ovviamente soffrono anche molto meno di
demenza senile, sono tutti snelli e con un indice di massa
magra ideale e il tasso di estrogeni, testosterone e Dhea (un
ormone che declina con l’aumentare dell’età) è sempre
superiore a quello degli occidentali.
Infine
le ultime due osservazioni. E molto più importanti di quanto
non si creda. La prima: gli anziani dai 70 ai 100 anni di
Okinawa vivono senza tensioni e fretta, hanno grande stima di
sé stessi, sono ottimisti verso la vita e adattabili alle
circostanze. Il principio base della loro esistenza è la
moderazione, oltre ad avere forti rapporti sociali e una
profonda spiritualità. Seconda: nell’isola si usa sia la
medicina moderna (all’occidentale per intenderci) che quella
orientale fatta ad esempio di erbe curative. Un’unione (ying
e yang? Positivo e negativo?) che sembra dare ottimi
risultati. E quello che in fondo dice il libro "Okinawa
program": i matusalemme di Okinawa non sono marziani, per
campare tanto e soprattutto bene basta imitarli. Semplice.
Semplice? Non nello schizofrenico mondo occidentale che ci
siamo costruiti. Forse trasferendosi a Okinawa. E rinunciando
ai sigari, alla grappa, alle tagliatelle, al prosciutto, alla
fiorentina, alla partita, alla corsa in moto. E al lavoro.
Alessandro Mognon