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redarrowleft.GIF (53 byte) Società Settembre 2001  
 

Vedi Milano e puoi muori

Una giornata nella metropoli lombarda. In cerca del vero e del falso, dei vecchi Navigli e di quelli nuovi finiti nelle mani dei soliti vip, dei capolavori della Pinacoteca di Brera e del megastore musicale della Ricordi

Eccola qui la Milano che sento ogni volta un po’ mia: esci dalla stazione centrale, ti giri, la guardi e sembra che le ali laterali della sua mole ti vogliano racchiudere in un abbraccio di archi e porticati prima di lasciarti  inghiottire dal metrò. Prendo la 2 verde per P.ta Genova, la fermata più vicina a Mediolanum, capitale dell’Impero Romano d’Occidente; è il quartiere di P.ta Ticinese a conservare le testimonianze di quello splendore: le colonne e la basilica di S. Lorenzo, romane le prime, paleocristiana la seconda, formano un insieme quanto mai suggestivo e monumentale. Sono 16 colonne marmoree scanalate con capitelli corinzi appartenenti a un edificio tardo imperiale. Dietro alle colonne si apre il grande sagrato di S. Lorenzo al centro del quale si eleva la statua bronzea dell’imperatore Costantino. Un prato, ricavato dopo la demolizione di un quartiere popolare, devastato dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, congiunge S. Lorenzo all’ugualmente magnifica basilica di S. Eustorgio del IV sec., dalla quale Barbarossa trafugò un sarcofago contenente i corpi dei Magi.

Ti siedi ai piedi del colonnato; non c’è traffico intorno, non c’è gente e ti chiedi: “Ma è Milano questa?”.

Per accrescere i tuoi dubbi, ti sposti verso i Navigli, quella fitta rete di corsi d’acqua che fin dal Medioevo ha dato impulso all’agricoltura delle campagne che si stendevano intorno alla città e che ha costituito uno dei principali sistemi di traffico in quanto navigabili fin dal 1200. Qui, in un intricato e magico dedalo di stradine con le caratteristiche case dai lunghi ballatoi, entri in un’altra strana Milano. Li guardi quei vialetti lastricati, quelle case giallo stinto, quegli androni che sanno di muffa e le storie non hai neanche bisogno di immaginartele perché escono dalle finestre e dalle porte spalancate: pensionate che chiacchierano da un balcone all’altro, uno stereo a tutto volume che manda  “This is a love song for you…”, qualcuno che sembra cucire ancora con la macchina a pedali, rumori di pentole, odore di zucchine all’aglio, storie insomma di tutti giorni ma… all’aperto:  il privato sembra non esistere.

“Abita qui da molto tempo?”, chiedo a un signore anziano che rientra con la spesa. Sorride scrollando le spalle “Sto in questo cortile da una vita, qui ci si conosce tutti, un po’ ci si aiuta, un po’ si baruffa”. “Vivere col balcone in comune è un limite?” “ E’ già che lo è, quando litighi e ti tieni il muso mica è piacevole!”.Sono di vostra proprietà queste case?”.“ Erano del Comune ma le abbiamo riscattate anni fa; ma ora qui intorno è tutto cambiato, i nuovi abitanti del quartiere le hanno comprate a prezzi da capogiro, loro si chiudono dentro, di vita per le strade di giorno vedi, ce n’è sempre meno. Prima quando tornavo dalla bottega la signora del primo piano mi chiamava a bere il caffè, e l’altra ti salutava sbraitando dal balcone. Adesso hanno venduto.  Ormai questo è un quartiere “alla moda” e i pochi che restano, rifiutando certe cifre delle agenzie, compiono un vero atto di resistenza”. 

Esci dalle stradine e a pochi minuti a piedi , dopo il più puro esempio di neo classicismo milanese, la Porta Ticinese ti introduci proprio nelle vie dove “quelli che contano” si sono ristrutturati i pittoreschi attici sui navigli. Sui campanelli non ci sono nomi, ma soltanto  numeri. Se però chiedi al macellaio o al tabaccaio loro sanno tutto. “ Scusi, c’è qualche vip che viene nel suo negozio?” Mi guarda con aria sorniona e semiseria e, quasi a volerli proteggere i suoi clienti famosi, mi ghigna “Tutti sanno che questo è il nuovo, quartier generale dell’Armani, lo stilista, di Fabrizio Ferri, il più importante fotografo di moda,  c’è la Martina Colombari ma questi lo sanno tutti che stanno qui”. E gli altri?” Degli altri non ho voglia di parlare… Ma cosa ti interessa a te, eh?”

“Niente, ma almeno un biglietto dell’autobus me lo vende?”

“Autobus??” “Ma da dove vieni te?”

A Milano c’è il tram e c’è il metrò e se miri al Duomo prendi la 15!”

Mi vedo subito in veste di Donzellettakeviendallacampagna e la cosa non mi dispiace un granchè. Saluto il tabaccaio del ticinese senza aggiungere tutto quello che vorrei.

Qui le vie hanno negozi artigianali, non ci sono le grandi firme di via della Spiga, ma neanche le patacche. Si vendono cosine così, un po’ strane di buon gusto, quelle che, per dirla appunto con Armani, “non ti fanno notare, ma ti fanno ricordare”.

Per non parlare, poi, delle finte trattorie! Finte, perché sembrano le osterie della vecchia Milano con le tovagliette a quadrettoni mentre, dentro, i prezzi sono da Cipriani.

Già già (per usare un’espressione tipicamente milanese), qui l’atmosfera è un po’ “surreale ma bella”. Prendo il famoso 15 ligneo, rumoroso, ma gradevole. Non miro al duomo, ma a Brera.

È un’altra via tipica di Milano, con la pavimentazione a ciottoli e gli eleganti palazzi settecenteschi che la fiancheggiano. Al numero 28 si erge il palazzo di Brera che contiene una delle più insigni raccolte di opere, soprattutto di scuola lombarda e veneta, nonché l’Accademia delle belle arti. Si accede alla pinacoteca da un cortile solenne con colonne e arcate sovrapposte che creano un bellissimo effetto chiaro-scuro nel gioco spaziale dei pieni-vuoti. Al centro c’è una statua di bronzo: un nudo molto sexy di Napoleone, idealizzato da Canova secondo gli schemi classici come un giovane dio. Salgo l’ampio scalone a doppia rampa che mi porta all’ingresso della pinacoteca. Se hai meno di 25 anni entri gratis. La varietà delle opere d’arte che la galleria raccoglie desta davvero stupore: si va dalle composizioni di largo respiro del Veronese al Cristo morto del Mantegna; dalle grandi opere di Bramante a quelle di Raffaello, poi c’è lui, il mio mito: Piero della Francesca. Madonna col bambino, sei santi, quattro angeli e il duca Federico II da Montefeltro. Insomma, avrete capito che si tratta della famosa Pala di Brera, quella con l’allusivo e discusso uovo di struzzo sospeso al centro del catino absidale. Qui mi ci fermo. Contemplo e fruisco. Dopo Piero passo davanti alla Predica di S. Marco di Bellini, allo Sposalizio della Vergine, alla Madonna del roseto che quasi neanche me ne accorgo. Mi riprendo solo davanti al Bacio di Hayez, così malinconico nella sua pacata commozione che mi fa sentire i primi piccoli crampi della fame:  mi fermo al bookshop, compro la matita, appunto col bacio di Hayez, e decido di andare a mangiare.

La scelta è varia: si va dalle pasterie  dove puoi gustare tutti i tipi di pasta, alle trattorie con i tavolini fuori; dai bar rifornitissimi ai self service superaffollati dove devi imparare il meccanismo per accaparrarti il cibo. Scelgo la trattoria all’aperto: la via è pittoresca, l’atmosfera gradevole e i milanesi, nella pausa pranzo, sono simpatici e vivacetti. Ci sono mille proposte dignitose per ogni tasca. Opto per la cotoletta alla milanese di cui mi ero privata fin dai tempi della mucca pazza. Si sta bene fuori, non c’è la temuta afa e, in più ci sono i passerotti più sfacciatamente disinibiti che abbia mai visto: ti si posano sulla mano e ti rubano in cibo, ti si accovacciano sulla spalla… Certi clienti sono stizziti perché ci sono intere famigliole per ogni tavolo; io mi ci diverto un mondo e invidio per un attimo Biancaneve che queste cose poteva permettersele con un semplice provate a fischiettar firulì firulì firulà; E’ con questo motivetto spensierato nella testa che mi porto da Ricordi, tempio milanese della musica.

Fondata a Milano nel 1808, Casa Ricordi ha legato il nome e la fortuna nel mondo alla grande stagione dell'opera italiana. Dal secondo dopoguerra a oggi ha operato una ristrutturazione dei vari settori secondo le esigenze di un mercato in vertiginosa trasformazione, costituendo un ricchissimo catalogo di musica contemporanea che vanta attualmente le opere più ascoltate del nostro tempo. Nel punto vendita della Galleria cerco un vecchio pezzo dei Rem (colonna sonora del bellissimo film The man on the moon). Ho la sensazione che perderò qualche treno perché quando sei lì, ascolti di tutto, cerchi di tutto e ti fai un ripasso di musica così completo che puoi andare avanti un anno senza aggiornamenti. Là trovo senza fatica The great beyond perché tutto è rigorosamente catalogato. Mancano solo 15 minuti dalla partenza del treno, mi butto in metrò, correndo come una pazza insieme a una piccola folla di ritardatari; riesco a raggiungere la scala mobile della Centrale e riprendo fiato. Il treno è ancora lì, fermo al binario 13. Non ho voglia di andarmene, mi mancano ancora tanti piccoli vissuti metropolitani e non ho salutato neppure la casa dei nonni, ma di ricordi non ne voglio sapere, così, con “Il fantastico oltre” dei Rem nella testa e il bacio dipinto di Hayez negli occhi, non mi resta che salutare questa Milano un po’ così.

Maria Chiara Passera

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