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redarrowleft.GIF (53 byte) Lettura Settembre 2001  
 

Anche gli atei hanno un’anima

Il paradosso del terzo millennio è che mentre nel mondo aumenta la voglia di spiritualità, cresce anche il numero di non credenti. E torna così in primo piano al figura dell’ateo, non tanto come colui che nega Dio ma come persona che crede in una morale laica senza valori assoluti. Anche perché, dice, la fede in un Grande Consolatore Celeste fa restare gli uomini eterni bambini

Remo Bodei, I senza Dio – Figure e momenti dell’ateismo, Morcelliana, pp.101, L.16.000

"Siamo in un’epoca dominata da un ateismo di massa". Questa la prima considerazione di Remo Bodei all’interno di un agile ma concettoso testo-intervista a cura di Gabriella Caramore intorno a I senza Dio, come il titolo del saggio chiama chi non si riconosce in alcuna fede religiosa. Alle soglie del terzo millennio, infatti, stiamo assistendo ad una situazione davvero paradossale: da un lato una massa incredibile di persone affolla il Giubileo, aumentano giorno dopo giorno le adesioni da parte di occidentali al Buddismo, c’è voglia crescente di spiritualità (si pensi solo al fenomeno New Age), ma al contempo mai come ai giorni nostri è stata così alta la percentuale degli agnostici o degli atei.

Bisogna dunque intendersi su che cosa oggi vogliamo indicare col vocabolo religione. Personalmente concordo senz’altro con Bodei quando afferma come essa rappresenti il tentativo da parte umana di individuare un "orizzonte onnicomprensivo di senso". Ma anche e forse soprattutto il cosiddetto ateismo (altra parola equivoca, la cui etimologia accetta pur sempre – almeno a livello terminologico – il concetto di dio, per negarlo) si misura con questa problematica, giacché fare a meno del paradigma dio comporta, se non si voglia cadere nel più sterile nichilismo, l’urgenza di dare un senso all’esistere e al mondo, senza però tirare in ballo la metafisica e/o dei principi superiori. Quindi gli atei non sono necessariamente degli scettici che non credono a nulla (come ritengono ancora molti) ma piuttosto soggetti impegnati a gestire una morale laica che non ha bisogno di valori assoluti (ovvero ab-soluti: sciolti, slegati da ogni contingenza) ma condivisi all’insegna di un umanesimo costretto a fare i conti con il limite e la finitudine. E’ forse questo l’ambito che, a mio avviso, divide maggiormente i chiamiamoli non-religiosi dai cristiani, per i quali la morte non è definitiva essendo stata sconfitta dalle resurrezione di Cristo: preludio a quella universale che il giorno del Giudizio coinvolgerà tutto il genere umano passato, presente e futuro.

Ma perché si è senza dio? Secondo Bodei l’ateismo scaturisce dalle eterne questioni con cui è costretta a misurarsi ogni fede, ossia: perché c’è il dolore, la morte, l’ingiustizia, l’oppressione nel mondo se esiste dio? E’ il problema, davvero cruciale per la coscienza religiosa, della "indifferenza" di dio; questione difficile da affrontare dopo Auschwitz e lo sterminio di milioni di ebrei innocenti: il popolo eletto dal dio dell’Antico Testamento. Sebbene, sottolinea Bodei, è proprio questo smarrimento di fronte all’assurdo e all’insensatezza di una vita destinata a concludersi nella morte che può far nascere l’inesausta domanda di senso. E ci ricorda la lezione di Levinas, secondo il quale noi abbiamo necessità di eliminare ogni immagine consolatoria (infantile) di dio per poterci aprire nei confronti dell’Altro per antonomasia. A questo proposito non è possibile fare a meno di citare Bonhoeffer e la sua concezione della "impotenza" di dio ad intervenire nel mondo, con tutto quel che ne consegue rispetto ad una religiosità adulta che non spera più nell’intervento miracolistico del padre eterno e per la quale la fede "è rischio e non sicurezza".

Giunti a questo punto, tuttavia, più che quale sia il perché dell’ateismo oggi, il tema di questo breviario colloquiale di Bodei mi sembra piuttosto ribaltarsi in quale sia il significato autentico di una fede non certo più tronfia e supponente come un tempo; in quale sia la valenza maggiormente significativa di un sentimento religioso – soprattutto nelle sue espressioni meno vincolate a questa o a quella dottrina o dogmatica – che, agli occhi del laico, appare da un lato la tensione scaturita appunto dalla domanda di senso (che, comunque, può sempre trovare una risposta non confessionale) e dall’altro la cifra di un dimorare assieme responsabile, di un patire assieme, di un prendersi cura l’uno dell’altro in un’ottica auspicabile di condivisione fraterna.

Francesco Roat

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