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redarrowleft.GIF (53 byte) Lettura Luglio 2001  
 

L’età dell’anima

C’è l’infanzia, l’adolescenza, la gioventù, la vecchiaia. Ma c’è anche un altro periodo della vita: quello in cui, anche per pochissimo tempo, un uomo normale per amore diventa un vero poeta

Vincenzo Esposito, La quinta stagione dell’anno, Avagliano Editore, pp.218, L.22.000

Quale potrebbe mai essere "la quinta stagione dell’anno"? Cosa rappresenta quest’ineffabile intervallo di tempo di cui parla una poesia della Achmatova e che Vincenzo Esposito ha preso a prestito per dare un titolo straniante al suo secondo romanzo? Poco importa che la poetessa russa con tale espressione sembri alludere ai giorni senza fretta della vecchiaia, dove l’uomo "respira l’ultima libertà". Ed è parimenti riduttivo prendere alla lettera le parole dell’io narrante del libro di Esposito quando definisce come quinta stagione una sorta di doppia primavera senza fine che il proprio genitore avrebbe conosciuto in gioventù, durante le prime fasi d’un innamoramento destinato a durare tutta una vita e che lo aveva trasformato in poeta solo per una breve, interminabile stagione: la quinta dell’anno, appunto.

Il lettore non si lasci quindi tentare dall’urgenza di definire esaustivamente tale immaginario lasso temporale (o, forse meglio, atemporale) e si gusti questo romanzo dal tono garbato, lieve e davvero primaverile intorno all’amore e alla poesia; intorno alle intermittenze del cuore, ai ricordi ed alla rievocazione d’un passato recente: quello dell’Italietta fascista durante gli anni trenta (per la precisione il 1930) in cui è ambientato questo insolito romanzo di formazione sentimentale. Anche se la voce narrante descrive la figura del padre mediante un’altalena temporale in cui la ricostruzione di quegli anni grami che preluderanno alla tragedia della guerra è compiuta attraverso salti cronologici in avanti e suggestivi flash back che vivacizzano la narrazione in barba a qualunque ordine cronologico.

Poiché, si diceva, ciò che preme ad Esposito è far gustare al lettore la magia della quinta stagione in cui un uomo qualunque (impiegato presso un pastificio) diviene "veramente un poeta", anche se in seguito "per tutto il resto della vita non compose più poesie". Anzi, venuta meno la moglie, l’anziano genitore distrugge quella breve raccolta di versi scritti su un quaderno a quadretti, giacché quelle liriche avevano senso in quanto testimoniavano d’un amore "che ormai apparteneva unicamente a lui e perciò voleva conservarlo soltanto nel segreto della sua anima". E’ infatti questa la cifra discreta di questo romanzo: un’estrema pudicizia nel trattare con assoluta delicatezza e devozione sentimenti come l’innamoramento prima, l’affetto coniugale poi, senza che la narrazione risulti mai banale o sopra le righe. Quindi ha un suo fascino sottile questa storia di gente semplice; questo racconto di vicende quotidiane sul cui sfondo Esposito non dimentica di tratteggiare un più ampio affresco generale, che coglie lo stridente contrasto fra proletari alle prese col problema di mettere insieme il pranzo con la cena e piccolo-borghesi spocchiosi ma servili coi gerarchi in camicia nera.

Ma nonostante vengano sfiorati temi drammatici (vedi l’attentato alla Casa del Fascio) il registro stilistico è sempre all’insegna d’una scrittura di grande levità. Talvolta si ha l’impressione che l’autore abbia optato per una prosa in grado di rendere quasi palpabile la gioia sottile per le piccole/grandi cose della vita: un incontro fuggevole con una bella donna, la sana stanchezza dopo una giornata operosa, una risata che esorcizzi ogni dispiacere. E sono felici immagini d’un tempo che non è più: di attività ormai passate di moda (come il ricamo in compagnia), di idilli sognati, d’innamoramenti vissuti a livello fantastico o esplicitati solo attraverso uno sguardo.

Così Esposito ripercorre l’esistenza di questo poeta per una sola, ma eccezionale primavera. Poiché la quinta stagione dell’anno pare sì interminabile a chi la vive, tuttavia essa ha pur sempre una durata. Così il padre del narratore, tornato all’improvviso consapevole di come il tempo sia trascorso, si sente di colpo "più vecchio e disincantato". Per cui la poesia che egli scrive in una notte di tristezza e agnizioni introduce nel canzoniere "un velo di malinconia" con cui il romanzo si chiude.

Francesco Roat

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