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redarrowleft.GIF (53 byte) Primopiano Luglio 2001  
 

 Taccuino G8 

III

"Mai viste cose del genere"

Genova, 20 luglio 2001

Al mattino arrivo a Piazza Brignole. C'ero stato ieri sera, davanti all'albergo dove sta Mauro Covacich, a chiacchierare davanti all'entrata, riparati dalla pioggia. Fino alle mezzanotte passata. Questa mattina, sembra un altro posto. Un luogo diverso. È circondata da enormi container e ci sono centinaia e centinaia di poliziotti e carabinieri in assetto di guerra. Uno che ne comanda un gruppo ha la faccia tesa e concentrata. Faccia da ustascia o cetnico, fate voi.

Meglio andare allo stadio Garlini, da dove partirà la manifestazione. Il posto giusto dove stare è quello. In ogni senso. Telefono a Gianfranco Bettin, prosindaco di Mestre, e a Beppe Caccia, assessore alle politiche sociali di Venezia. Loro sono già là dentro. All'entrata, due ragazzi del Rivolta. Non fanno entrare chi ha telecamere o macchine fotografiche. Poi però mi riconoscono e mi fanno entrare.

Dentro, sembrano i preparativi per una festa. Tutti quei colori, le tende variopinte piantate in mezzo al campo. Dicono che il comune di Genova abbia attrezzato lo stadio in modo perfetto. Bagni, docce. Un campeggio, insomma. Questo stadio era un velodromo, un tempo.

C'è anche Don Vitaliano, il prete del popolo di Seattle. Ha la maschera da sub che portano in tanti. Nessuno però ha con sé alcun oggetto di offesa.
Ci sono anche gruppi greci, spagnoli e francesi che faranno un percorso diverso.

La manifestazione parte ordinata. Davanti, il camion di Radio Sherwood, con due enormi altoparlanti che detterà le istruzioni agli altoparlanti. Dietro, una testuggine verde e gialla, lunga qualche metro e dei ragazzi vestiti da maiali.

Prima del camion, il gruppo di contatto: parlamentari, fra cui Luana Zanella, il prosindaco di Mestre Gianfranco Bettin, Don Vitaliano, Beppe Caccia. E giornalisti, tanti: Oreste Pivetta, Giulietto Chiesa, lo scrittore Mauro Covacich, Enrico Ghezzi. Poco dietro, i leader del movimento, fra cui Luca Casarini.

Il corteo procede a rilento, dal centro arrivavano le notizie che i Black Block, pseudo anarchici vestiti di nero, soprattutto tedeschi e francesi, stavano devastando auto, una banca, un distributore di benzina. A un certo punto arrivano fino all'inizio del corteo, armati di spranghe. Casarini e gli altri li disarmano subito. Uno di loro avrà almeno sessant'anni. Un altro urlava (delirava) agitato: "Dobbiamo fermare la delegazione americana". Loro, quattro deficienti armati di spranghe. Quattro deficienti che mettono paura, però. Se ne vanno e il corteo riprende la marcia.

Sul percorso, i segni del loro passaggio: auto bruciate, cassonetti rovesciati e dati alle fiamme. Le lacrime di una benzinaia che guarda i danni al suo distributore. Eppure, maledicendo gli uomini in nero, ha ancora la forza di dire ai ragazzi che cercano di consolarla, che lei era d'accordo con la manifestazione non violenta.

Dalle finestre, i pochi genovesi rimasti in città, osservano più attoniti che incuriositi.

Il corteo va avanti fino a qualche centinaio di metri da Piazza Brignole. A un incrocio, ci sono dei cassonetti che bruciano. Ci avviciniamo. Con me ci sono Enrico Ghezzi con la sua telecamerina, Giulietto Chiesa col suo taccuino, identico a quello di Mauro Covacich, poco più in là. A un certo punto appaiono da dietro un angolo, in assetto di guerra, scudi, maschere antigas, i blindati dietro. Polizia o carabinieri, non so. Ma poco importa.

Un agguato. Iniziano a sparare lacrimogeni ad altezza uomo. Che qui ci siano giornalisti e parlamentari, che ci siano dei dimostranti disarmati e non violenti, non gliene importata nulla. In pochi secondi è il caos. Non si respira più. Non ci si vede più. Scappiamo via e loro dietro. Lacrimogeni ancora, anche sotto il tunnel dove stiamo correndo.

Le scie luminose - basse - lo illuminano. Mi ritrovo in una piazzetta piena di quelli vestiti di nero. Degli altri, quelli che stavano con me, nessuna traccia. Incominciato a camminare quasi a caso.

Incontro prima una ragazza di Mestre, sperduta anche lei e poi una giornalista slovena insieme al suo cameraman. L'unica possibilità è raggiungere di nuovo il corteo. È quello il luogo più sicuro. Sembra, almeno. Arrivato lì, il corteo è smembrato. C'è chi voleva provare ad andare avanti, chi invece - e sono i più -propone di ritornare indietro. È pieno di gente con gli occhi rossi, qualcuno disinfetta dei graffi.

In fondo alla via, ancora, le scie dei lacrimogeni. Risalgo lentamente il corteo. Il sentimento che prevale è quello dell'incredulità. Si sapeva sarebbe stata dura. Non certo così, però.

Là davanti si combatte. E io devo andare a scrivere, anche se per la prima volta in vita mia sento il dovere morale irrinunciabile di stare qui, insieme a questi ragazzi. Stare con loro, semplicemente. Li lascio mentre lentamente stanno rientrando allo stadio.

E mentre scrivo, mi telefonano per dirmi che da dietro la polizia continua a sparare lacrimogeni e con gli idranti. Beppe Caccia mi confessa di non aver mai visto in vita sua una cosa del genere.

Cinque minuti dopo, è Gianfranco Bettin a far squillare il cellulare: "Un ragazzo è morto", mi dice. E aggiunge che qualcuno ha raccolto dei bossoli da terra. Poi telefono alla ragazza di Mestre. Dice che si stanno contando, manca un ragazzino di diciassette anni. Lei è schifata e vuole tornare a casa.

Arriva la notizia di una ragazza in coma. Nelle immagini trasmesse in tivù si vede un poliziotto che la colpisce con violenza al capo mentre lei è di spalle. Crolla a terra come una marionetta.

La sera scendo di nuovo giù in città. Passo davanti alla banca distrutta dai Black Block. Sarà almeno a cinque chilometri dalla zona rossa.

In Piazzale Kennedy, sede del Genoa Social Forum, l'atmosfera è quella di rassegnazione e smobilitazione. Dal microfono qualcuno scandisce i nomi dei punti di ritrovo dei vari gruppi che ritornano a casa. Dal cielo, un elicottero sorvola di continuo la piazza illuminando con un faro il piazzale.

Sarà difficile dormire stanotte. Per tanti motivi.

Roberto Ferrucci

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