Vai al numero precedenteVai alla prima paginaVai al numero successivo

Vai alla pagina precedenteVai alla prima pagina dell'argomentoVai alla pagina successiva

Vai all'indice del numero precedenteVai all'indice di questo numeroVai all'indice del numero successivo
Scrivi alla Redazione di NautilusEntra  in Info, Gerenza, Aiuto
 
redarrowleft.GIF (53 byte) Musica Febbraio 2001  
 

Speciale Sanremo (4)

28 febbraio 2001

Ancora Russell Crowe e Eminem. Del resto non c'è molto altro in questo Festival. Eminem che ha deluso le attese (o viceversa, a scelta) ha cantato nessuno ha capito bene cosa (a conferma che il suo americano è a noi incomprensibile e la polemica era perciò sterile) e Russell Crowe che quando parla ha una voce da brivido (dicono le colleghe ma mi par di capire che hanno ragione) e quando canta invece è niente più che un cantante da pianobar. Da ottimo conoscitore dello star system, il Gladiatore è calato a Sanremo con occhiali stile Bono e non li ha tolti nemmeno per un istante né durante le prove né in conferenza stampa e tantomeno sul palco. Proprio come fanno le rockstar. Il look, l'aura e la bellezza ci sono. Peccato manchi il grosso, il necessario. Ma a un Festival così debole poco importa.

Su Eminem c'è però altro da dire. Una riflessione da fare. Legata al Festival e - se possibile - a un suo "ruolo".

E Raffaella Carrà? "Maga Maghella, Maga Maghella, che si fa brutta, che si fa bella..." Faceva più o meno  così - eravamo bambini - una delle sue canzonette. Un tormentone. Un'ossessione. Soprattutto per chi poco più che decenne, già si era orientato su Pink Floyd e Genesis. Se a quel tempo ci avessero chiesto come avremmo immaginato il primo Festival del terzo millennio, non avremmo avuto dubbi. Una città degli spettacoli dentro una stazione orbitante, come minimo, con gli artisti che arrivavano in astronave o roba del genere. E a presentarlo? Be', trent'anni fa avremmo pensato a chiunque, ma non certo di avere ancora davanti a noi Raffaella Carrà. Quella di Maga Maghella, appunto. E averla in dosi ancora più massicce che a Canzonissima, dove almeno faceva solo la valletta. Insomma, è come se fossimo tutti ancora aggrappati a quell'ombelico, quello del Tuca Tuca, il ballo più assurdo e meno sensuale - pur volendo esserlo a tutti i costi - mai visto sul pianeta. Un look rimasto indelebile nel tempo, come un marchio, quel caschetto biondo finto, i pantaloni attillati e la risata non certo da dama di compagnia (l'ombelico, per ovvi motivi, è stato abbandonato a un certo punto). Neanche la Carrà fosse la Vespa o la Coca Cola.
Anche quando faceva Maga Maghella, a noi bambini di allora mica riusciva a intortarci. Ma che voleva quella lì?
Eppure piace, la Carrà. A chi non si sa. Mai sentito qualcuno ammettere il suo apprezzamento alla donna dell'ombelico. Mai. Come quando chiedevi a qualcuno se avesse votato DC. Misteri dello stivale.
Eppure questo è il suo Festival. Ne ha coniato pure lo slogan, "Più Sanremo che c'è", e sul manifesto c'è una silouhette nera e un caschetto biondo. Ricorda qualcosa tipo "A come Andromeda". Una extraterrestre, allora, Raffaella. Dev'essere per questo che è ancora qui.
Nonostante le sue insopportabili mossette, quelle che fa quando si esibiscono gli ospiti, tanto sa bene che il fido Japino è prontissimo a staccare su di lei, per non farci dimenticare - mai - che è il Festival della Carrà, questo. E che - ahinoi - lei è il personaggio più perfetto possibile per presentare il Festival di Sanremo." Più Carrà che c'è"...

E infine i Beatles. Hanno presentato un musical ai grandi magazzini Coin, a due passi dall'Ariston. Un musical dedicato a Brian Epstein, colui che molti considerano un po' "l'inventore" dei Beatles. Gli attori e il gruppo dei "Quarrymen" (bravissimi, quando sono entrato eseguivano "Get Back" e io credevo si trattasse di un disco...) si sono esibiti sopra a un lettone (stile Lennon e Yoko Ono) scatenandosi in danze sfrenate vestiti in pigiama (i maschietti) e in camicia da notte (le femminucce). Luogo inevitabile: il reparto biancheria intima di Coin. Strano modo di ricordare i Beatles, e di presentare uno spettacolo. A metà fra il kitsch e qualcosa di peggio. Anche in questo caso però, la forza dei Beatles, della loro musica, ha prevalso. E tutti cantavano canzoni che ormai sono dei veri e propri inni.

Per fortuna ci sono i Beatles e... i Camaleonti. Sì, quelli di "Io per lei" e di "Applausi". Un concerto dal vivo al Palafiori all'una di notte, per poche decine di spettatori. Il più classico dei revival, che spesso rasentano il patetico, nostalgia al rosolio ma che dopo i Gazosa e "Turuturu" sembrano l'essenza vera della musica. Potere del Festival, anche questo.

R.F.

np99_riga_fondo.gif (72 byte)

                                           Copyright (c)1996 Ashmultimedia srl - All rights reserved