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redarrowleft.GIF (53 byte) Cultura Febbraio 2001 

CyberLondra (8)

14 febbraio 2001

Questi sono gli appunti sparsi rimasti sulle pagine del mio Moleskine. Li riporto così come sono stati raccolti. Un po' alla rinfusa e forse poco comprensibili. Ma i diari di viaggio si mettono insieme anche in questo modo.

L'Art Bar Cafè all'interno dei magazzini Liberty è un posto molto tranquillo. Con una sterlina e mezzo bevete un tè o uno qualsiasi degli "hot drinks". Tre sterline o poco più per degli splendidi dolci a base di crema che non oso mangiare. La cameriera è italiana, forse di Roma (mi vede armeggiare con la teiera - incandescente - mi si avvicina e mi chiede se mi può aiutare). È pieno di ragazzi italiani che fanno i camerieri a Londra. In Italia forse non lo farebbero mai. Qui, diventa invece un'esperienza di vita. Avrei dovuto farla anch'io, ma ormai... Per chi fosse ancora in tempo, invece, in ciascun bar della catena italiana Caffè Nero, c'è un formulario a disposizione compilando il quale ci si propone come camerieri. E se vi va bene...

Il Lincoln Hotel è a due passi da Hyde Park. Attaccato allo Speaker's Corner. Domenica mattina ci vado. Vorrei anche registrare qualche voce. I suoni dello Speaker's Corner. Quando arrivo ci sono anche altri turisti. Mi guardo intorno, si guardano intorno anche loro. Controlliamo con attenzione ognuno la propria mappa. Sì, è proprio questo il posto. Ma non c'è nessuno. Nessuno ha più niente da dire? L'era Blair ha messo d'accordo tutti? Sarebbe un miracolo. Forse è solo perché è una giornata piovigginosa. Mah, qui dovrebbero essere abituati a un tempo del genere. Gironzolo là intorno per un po' di minuti, poi, come gli altri turisti, esco.

Sotto il ponte di Black Friars (a noi italiani noto per una vicenda che forse è meglio non ricordare ora) ci sono due ragazzi che sembrano usciti dritti dritti dagli anni '70. Uno da una parte, uno poco più avanti. Il primo ha un poncho in tela di sacco, l'altro è avvolto in una vecchia coperta. Entrambi leggono un libro e hanno un berretto messo davanti a loro per raccogliere qualche moneta. Non so dire bene il perché, ma non li ho fotografati.

Pellegrinaggio a Wimbledon. Ventidue anni dopo. Ricordo nitidamente la stazione di Southfields, dove conviene scendere se dovete andare a vedere il Centre Court. Ricordo tutto. Del resto, quel giorno avevo i sensi moltiplicati per tre, consapevole dell'evento che, per un appassionato di tennis, è il massimo possibile.

Piove, ovviamente. A Wimbledon "deve" piovere. Altrimenti non è Wimbledon. E adesso potrei parlarvi del Centrale, oppure di quella volta che ci sono stato, o del museo, della racchetta di Borg. Ma ci vorrebbero delle pagine intere..

Piove. Dopo Wimbledon, allora, niente di meglio che la Tate Gallery of Modern Art. Ingresso gratuito e luogo attraente già di per sé, al di là delle opere che contiene. Mangio al ristorante interno. La cameriera, guarda caso, è italiana. Poi visito la mostra Century City, appena inaugurata e che resterà aperta fino al 29 aprile.

A me le mostre piace vederle scardinando il percorso suggerito. Sono la negazione degli allestitori, io. Un po' me ne dispiace, ma è così Quando vedo un percorso prestabilito dentro a un museo mi viene naturale trovare subito una deviazione dal tracciato. In questo modo mi sento autorizzato a saltare con maggior disinvoltura le cose che non mi piacciono o non mi interessano.

Trafalgar Square. Subito cerco con lo sguardo "l'uomo dei piccioni" Bernard Reyner, l'ultimo venditore di mangime rimasto. Dicono si sia arreso proprio qualche giorno fa, accettando l'offerta che il Comune di Londra gli ha fatto per cessare l'attività. In effetti non c'è, eppure i turisti di mangime ne hanno. Ci sarnanno mica già gli abusivi?

Nei bar si sente frequentemente musica anni '70 e '80.

Da un bar di Notting Hill: uno yuppie che sta almeno mezzora a parlare al telefonino. Completo grigio, camicia azzurra, cravatta grigio chiaro. A tracolla ha la borsa del computer, nell'altro mano una borsa della spesa con dentro forse del pane o frutta. Parla e va su e giù nervosamente da un lato all'atro della strada. Ripete di continuo un percorso preciso, sempre lo stesso, un quadrilatero un po' sbilenco. Quando la telefonata termina, se ne va per la sua strada che ritorna finalmente normale, retta.

A pochi metri da dove sono seduto (uno dei bar della catena Caffè Nero) c'è un fruttivendolo irlandese che urla di continuo che una vaschetta delle sue more costa solo 2 sterline e 45, se capisco bene. Lo registro.

Uno mi chiede se si può sedere al tavolo. "sai, un sole del genere qui a Londra... Quando c'è non puoi perderlo". È jugoslavo di Belgrado. Era venuto in Inghilterra per starci una settimana, poi ha conosciuto una ragazza ed è qui da vent'anni. Il mio aereo parte fra quattro ore, penso. Faccio ancora in tempo anch'io, volendo... Non ho il coraggio di chiedergli se quella ragazza c'è ancora, né che mestiere fa lui. Ha l'aspetto dell'artista, comunque.

A un certo punto ci raggiunge un suo amico. Uno dei pochi londinesi di Londra, dice nel presentarmelo. Ha due grandi mazzi di rose rosse. "Vedi quanto è innamorato?".
Li lascio lì, al sole, uno innamorato di una donna, l'altro del sole del suo Mediterraneo di cui ha una profonda nostalgia.

Roberto Ferrucci

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